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 2013  dicembre 27 Venerdì calendario

Biografia di Paolo Genovese

• Roma 20 agosto 1966. Regista. David di Donatello 2016 per il miglior film con Perfetti sconosciuti. Altri film: La banda dei Babbi Natale (2010, con Aldo, Giovanni e Giacomo, più di 20 milioni di euro di incasso), Immaturi (2011) e il suo seguito Immaturi – Il viaggio (2012); Una famiglia perfetta (2012) e Tutta colpa di Freud (2014). Prima ha lavorato in coppia con Luca Miniero (Incantesimo napoletano, 2002; Nessun messaggio in segreteria, 2005; Questa notte è ancora nostra, 2008).
• Laureato in Economia e Commercio, ha iniziato come pubblicitario per McCann Erickson. È stato docente di Tecnica e linguaggio audio visivo all’Istituto Europeo di Design. Nel 2003 è stato eletto miglior regista pubblicitario dell’anno da una giuria nominata dalle riviste di settore.
• «Le scuole elementari le ho fatte alla Montessori, nel quartiere africano, a Roma, dove i nomi delle strade, da via Tripoli a via Asmara, portano tutti dall’altra parte del Mediterraneo. Si chiamava Libia anche il primo cinema in cui entrai, una sala parrocchiale, per vedere le commedie francesi di stampo cinepanettonesco come Cinque matti al supermercato. All’epoca in cui la Rai trasmetteva esclusivamente sceneggiati, per vedere i film esisteva soltanto la sala. A 14 anni ho comprato un telecamerone e una centralina di montaggio. Oggi è tutto catturato con i telefonini, ma all’epoca la sola idea di poter unire musica e immagini mi sembrava lunare (…) Papà lavorava alla divisione commerciale della Esso, mamma era casalinga. In una famiglia della media borghesia, l’idea del posto fisso era basilare. Così, in anni più facili e felici di questi, con una tesi sul marketing in pubblicità, trovai immediatamente lavoro. Mi assunse la Deloitte, una multinazionale che si occupa di revisionare i bilanci aziendali. A Roma mi annoiavo e sognando il trasferimento a Parigi o a Londra chiesi di cambiare sede. Mi mandarono a Tirana in un Paese in apnea appena riemerso dalla dittatura di Hoxha. Non c’era niente e tutto andava ricostruito. La Deloitte era responsabile del controllo dei fondi europei. Dovevamo assicurarci che i soldi stanziati per scuole, case e acquedotti venissero impiegati correttamente. Andavamo nei borghi remoti, dove ancora era in voga il baratto. I vecchi ti accoglievano nelle loro case e ti raccontavano storie (…) Dopo 18 mesi mi licenziai da Deloitte e venni assunto in McCann Erickson, una grande agenzia di pubblicità. Dopo due giorni, con gli scatoloni ancora chiusi mi dicono: ‘Perché non vai sul set così capisci cosa significa uno spot?’. Vado, vedo il carrello, le luci, gli elettricisti, la macchina da presa e rimango folgorato. Lo spot era il Camamostro del Televideo. Uno spot assurdo. C’è un uomo che si aggira in una città spettrale in cui tutti gli abitanti, avvertiti dal Televideo, sono rinchiusi in casa perché sanno che per strada si aggira un alieno. Il messaggio era semplice: “Se segui il Televideo, davanti alle emergenze, non rimani come un coglione”» (a Malcom Pagani) [Fat 13/3/2016].
Perfetti sconosciuti – con Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher e Kasia Smutniak – ha incassato oltre venti milioni di euro, è andato in concorso al Tribeca Film Festival, sono stati venduti diritti in decine di paesi per farne un ramake. «È stato un successo inatteso. Ho capito che le sorprese servono. Ti danno un pizzico al culo. Ti fanno dire: “Si può fare qualcosa di diverso”. Di film su commissione, stando attento a non derogare dai cosiddetti gusti del pubblico, ne ho fatti anch’io. Ed è un errore. I fratelli Taviani dicono che non bisogna sempre girare il film che piace al pubblico, ma anche quello che il pubblico ancora non sa se potrebbe piacergli. Hanno ragione (…) Gli spettatori mi scrivono lettere lunghissime. Non mi dicono semplicemente è bello o fa schifo, ma si aprono. Per qualche strana alchimia condividono una paura, una minaccia, un senso di colpa, il peso di una bugia. Da un’idea semplice. Mi sono chiesto: “Possibile che nessuno abbia fatto un film sulle relazioni governate dai telefonini? Su quello che affidiamo al mezzo: messaggi, foto, segreti?”. Ho cercato tanto, ma non ci aveva pensato nessuno (…) La gente entra in sala pensando di ridere e poi esce turbata. Non volevo rassicurare nessuno e ho cambiato la conclusione strada facendo. Nella sceneggiatura il film finiva male, ma, mi pareva, non abbastanza male. Volevo un finale spietato, drammatico e senza speranza che lasciasse la stessa amarezza che guardando un thriller proviamo quando l’assassino la fa franca» (a Malcom Pagani).
• Da ragazzo era molto di sinistra. «Ci fu una manifestazione contro Pinochet sotto l’ambasciata cilena e nonostante il divieto dei miei democristianissimi genitori: “Non vai, è pericoloso” mi presentai per tenere in prima fila lo striscione: “Compagno Allende, il Cile non si arrende”. A riprendere il tutto, una troupe del Tg3. A casa, davanti alla tv, i miei genitori. Prima si preoccuparono, poi si incazzarono molto. Io, ignaro, rientrai tardi e trovai un piccolo inferno».
• Tre figli.
• Laziale. Ha girato gli spot della Vodafone con Francesco Totti: «In Italia abbiamo pochi miti, calcisticamente lui è l’ultimo rimasto, è come Mastroianni per il cinema» (a Giulia Zonca).