18 dicembre 2013
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Biografia di Giovanni Favia
• Bologna 20 febbraio 1981. Politico. Giovane dei Meetup di Bologna Amici di Beppe Grillo già eletto in Consiglio comunale, nel gennaio 2009 fu tra gli autori dello striscione «Napolitano dorme, il popolo insorge» esposto per pochi secondi in piazza Navona durante una manifestazione di Antonio Di Pietro e dell’Italia dei valori. Nel 2010, candidato presidente dell’Emilia Romagna, prese il 7% e fu eletto in Consiglio regionale. Il 6 settembre 2012, a Piazzapulita di Corrado Formigli, su La7, venne trasmesso un fuorionda registrato mesi prima, in cui usava parole dure nei confronti del cofondatore e amico di Grillo Gianroberto Casaleggio: «“Casaleggio prende per il culo tutti. Da noi la democrazia non esiste” (…) Lo descrive come “spietato, vendicativo”, una sorta di padre padrone che parla di democrazia ma non la applica all’interno del movimento. E che ha risolto i problemi di scarsa trasparenza evitando di “andare in televisione”. Perché “stavano già andando in crisi con questo aumento di voti” e così “si sono salvati”. (…) Ha anche parlato di “infiltrati” tra i 5 Stelle per consentire al guru della comunicazione di controllare meglio le dinamiche interne. (…) Tocca anche la querelle intorno al simbolo dei 5 Stelle, di uso esclusivo di Grillo. Dice il consigliere: “Se lui (Gianroberto Casaleggio, ndr) non facesse il padre padrone io il simbolo glielo lascerei anche: adesso in rete non si può più parlare, neanche organizzare incontri tipo quello di Rimini che non usavano il logo del movimento”» (Fat 6/9/2012). Il 12 dicembre 2012 Grillo lo cacciò di fatto dal movimento, vietandogli di utilizzarne il logo. Nel gennaio del 2013 si candidò alle elezioni politiche con la lista Rivoluzione civile di Antonio Ingroia ma, non avendo superando la soglia di sbarramento, non venne eletto. A marzo annunciò di rimanere all’interno del Consiglio regionale come indipendente del Movimento 5 Stelle.
• «Mi sono trovato in un bar, dove c’erano quattro pazzi che discutevano di leggi popolari, ambiente, politica civica. (…) Mi hanno conquistato. Ero imbranato, non sapevo mettere due parole in croce, non avevo mai parlato in pubblico. A giugno del 2008 venivo eletto in consiglio comunale. (…) Io sono al servizio dei cittadini. Presento al movimento un bilancio di quello che spendo, di quello che metto da parte, di quello che mi serve per le mie esigenze, e deve essere approvato: affitti, trasporti, spese particolari... Tutto il resto viene destinato alla politica (…) Noi ci consideriamo dipendenti degli elettori, siamo dei Co.co.co della politica. (…) Sono stato dodici ore chiuso nel mio ufficio al gruppo, ma l’ho aperto al mondo. Ho fatto dodici mazzi di chiavi. Nei periodi di lavoro qualcuno cucinava a casa e mi portava da mangiare, e le ragazze mi lavavano le camicie e me le stiravano, perché io potessi concentrare il massimo del tempo alla rappresentanza» (a Luca Telese) [Fat 2/4/2010].
• «Farsi infilzare da un “fuori onda” (vecchio colpo basso di un vecchio medium come la tivù) è, per un grillino, il classico colmo: come per un astronauta avere un incidente di motorino. La forza (e/o la presunzione) delle Cinque Stelle, infatti, sta soprattutto nell’idea di appartenere a una cultura mediatico-politica superiore. Nella convinzione che il web consenta di bypassare qualunque altra forma di mediazione e di comunicazione. (…) È (anche) per questo che Grillo non gradisce che i suoi compagni di avventura vadano in tivù: perché ritiene di avere trasferito in una dimensione molto più evoluta – appunto il web – ogni forma di relazione “economica e politica”. Il resto, come ripete spesso, è vecchio, è morto, è inutile ma soprattutto è inaffidabile. (…) Lo sfortunato consigliere regionale Giovanni Favia, non bastandogli la sola “vita nova” che la rete dona a chi vi trasmigra (lasciandosi alle spalle il nostro farraginoso mondo, con tutti i suoi equivoci), ha voluto fare un passo indietro, tornando a precedenti e più rudimentali forme di vita come la televisione. Ci è rimasto intrappolato; ma quel che è peggio, si è lasciato sfuggire sostanziosi dubbi sulla sua nuova dimensione di appartenenza. Il più devastante dei quali è che “la conoscenza delle regole del web” (Casaleggio) ne consenta un uso manipolatore. Ad opera “di una mente freddissima, molto acculturata e molto intelligente, che di organizzazione, di dinamiche umane, di politica se ne intende”. E aggiungendo quella che, nei suoi paraggi, è la più terribile delle bestemmie: “Io non ci credo, alle votazioni on line”. Il giorno dopo, ovviamente sul web, il Favia cliccante ha parzialmente smentito il Favia parlante, definendo “sfogo infelice” la sua tirata, un po’ come avrebbe fatto un politico vecchio stile, a dimostrazione di quanto sia difficile, per tutti, cambiare registro, ed essere finalmente e definitivamente “nuovi”. Resta il sapore, abbastanza indefinibile, di un “incidente politico” che, in realtà, va a toccare sfere, e pratiche, e credenze che non sono tutte interpretabili con il metro della politica. (…)» (Michele Serra) [Rep 8/9/2012].
• «Dalle stelle, 5, alle stalle: Giovanni Favia, il golden boy, quello che si faceva fotografare, all’indomani della sua elezione (plebiscitaria) alla Regione Emilia Romagna con un paio di ragazze attorno che lo baciavano, quello che Grillo prima era un padre, poi un patrigno, quello che era. Quello che è. La parabola discendente di questo trentaduenne bolognese è stata fulminea almeno quanto quella ascendente che nel 2009, ai tempi delle amministrative nel capoluogo emiliano, lo fece entrare in comune. Lui, fino a poche ore prima uno dei tanti attivisti anonimi: cameraman, magazziniere, precario. Lui uno come tanti ma con un paio di qualità che per un paio d’anni ne hanno fatto l’uomo più in vista dei 5 Stelle, Grillo escluso e va da sé. Chiusa la parentesi di pochi mesi in comune (dopo lo scandalo che costò le dimissioni del sindaco Flavio Delbono e il primo commissariamento della storia del bastione rosso d’Emilia), Giovanni Favia ci riprova in Regione. Ce la fa, ancora una volta, entra e, assieme al suo compagno di banco Andrea Defranceschi, inizia a bacchettare tutti: Pd, Pdl, Lega, Sel. Di questo giovane uomo, ai politici attempati che se ne stanno seduti in consiglio, fanno paura la vivacità e lo stakanovismo: Favia è sempre l’ultimo ad uscire dal suo ufficio. È uno che ci mette la faccia, che è anche pulita e carina, e che anche in tv (quando il padre non ancora patrigno glielo concede) sa farsi valere. È ambizioso, Favia, ha tutte le carte in regola per provare il salto tra i grandi, per mettersi in marcia per Roma. (…) La parabola di Favia inizia ad inclinarsi (…). In molti iniziano ad accusarlo di essere interessato a una più comoda poltrona (quella da parlamentare). Lui non ci sta e rispedisce ogni accusa al mittente. Intanto iniziano i primi screzi con Grillo e Casaleggio: il culmine è il fuori onda a Piazzapulita in cui, in sostanza, accusa Grillo di essere un fantoccio nelle mani di Casaleggio. Tre mesi dopo, il fantoccio padre padrone, lo sbatte fuori. Ma lui non ci sta: resta in Consiglio regionale (…) e, un mesetto dopo l’espulsione, accetta la mano tesa da Antonio Ingroia e si candida, numero due, alla Camera per Rivoluzione civile. Il risultato elettorale lo punisce: a Roma non arriverà» (Deborah Dirani) [S24 26/2/2013].