17 dicembre 2013
Tags : Stephan El Shaarawy
Biografia di Stephan El Shaarawy
• Savona 27 ottobre 1992. Calciatore. Attaccante. Dal 2011/2012 al Milan, con cui ha vinto una Supercoppa italiana (2011). Ha giocato con Genoa e Padova. L’esordio in Nazionale il 15 agosto 2012 in un’amichevole contro l’Inghilterra. Nel 2013 vincitore del Pallone d’argento. Il 3 ottobre 2012, segnando il suo primo gol in Champions League contro lo Zenit San Pietroburgo, a 19 anni e 342 giorni, è diventato il più giovane marcatore della storia del Milan ad aver segnato un gol in Champions (da quando la competizione si chiama così, nella Coppa Campioni il primato spetta a Gianni Rivera). Soprannominato il Faraone («Alle finali nazionali con la Primavera, ho fatto un gol che per me era importantissimo e il mio amico Perin ha imitato la posizione dell’airone. Io ero lì, ai suoi piedi, e ho fatto quella dell’egiziano da geroglifico. È da allora che mi chiamano Faraone»), gioca con la maglia numero 92.
• «Tira in porta da qualunque posizione, ha la precisione di un orefice. (…) El Shaarawy sembra un laser, sembra sapere sempre prima dove il pallone andrà a chiudersi. Mai visto un ragazzino così leggero e così continuo, così insistente nelle cose impossibili» (Mario Sconcerti) [Cds 18/11/2012].
• «Padre egiziano e madre svizzera (...) “(...) Sono un trequartista che ama partire da sinistra per poi accentrarsi e cercare l’assist o il tiro di destro”. Il soprannome di Stephan non è particolarmente originale (il Faraone), il suo punto d’arrivo è molto alto: “Mi ispiro a Kakà e qualcuno mi ha detto che un po’ gli somiglio, per come tocco il pallone spesso di esterno e per come vado via in progressione a testa alta. (...)”» (Luca Valdiserri) [Cds 19/1/2011].
• Da bambino «imitava i trucchetti di Ronaldinho ai giardinetti e nel corridoio di casa e non andava a dormire finché non riusciva a ripeterli. Ha proseguito, con modelli sempre nuovi, sul campetto del Legino e poi a Cogoleto e a Pegli, nelle giovanili del Genoa, fermandosi per ore, dopo gli allenamenti, a provare punizioni e giochi di prestigio coi piedi» (Enrico Currò) [Rep 23/11/2012].
• Vive a Milano con la mamma Lucia, mentre il padre Sabry, ex psicologo, va e viene da Savona: «Sono molto legato al Paese di mio padre e in Egitto torno sempre volentieri a trovare i parenti. Però mi sento italiano» (ad Alberto Costa) [Cds 24/11/2012].
• Il suo sport preferito, dopo il calcio, è il tennis. Il suo idolo è Federer, «ma anche Djokovic. L’ho conosciuto, è tifoso del Milan. Forse a pensarci bene più Djokovic di Federer» [Costa, cit.].
• Gli piace ascoltare musica («viaggio sempre con le cuffie in testa»), soprattutto il pop-rap italiano e americano.
• Il suo hobby preferito è il biliardo: «A Milanello ci sono due tavoli, nella sala relax. Il confronto classico è Pazzini-Montolivo-El Shaarawy» (a Micol de Pas) [Icon.panorama.it].
• È famoso per il taglio di capelli con la cresta («Da bambino avevo sempre i capelli sparati, diciamo che pettinarli in questo modo è una conseguenza logica»). Il suo barbiere si chiama Salvo e lavora ad Arenzano, vicino Genova: «Gli ho detto: inventiamoci qualcosa. (…) A quell’epoca la portava solo Hamsik. Adesso so che ci sono ragazzini che si pettinano come me, e mi fa piacere» (a Maurizio Crosetti) [Rep 27/12/2012]. All’inizio Silvio Berlusconi gli consigliò di cambiare pettinatura: «Berlusconi lo scorso anno mi ha consigliato di accorciarla ed io l’ho fatto. Quest’anno, invece, mi ha detto basta che continui a segnare e te la puoi tenere ed io me la tengo» (Gazzetta.it 24/1/2013).
• Cura molto l’immagine, non porta l’orecchino e non ha tatuaggi: «Bisogna distinguersi. Se mi copro di tatuaggi, poi divento uguale a tutti» [Crosetti, cit.].
• Religione È musulmano: «Sono credente, ma mi limito a non mangiare maiale e non bere. La religione per me è soprattutto una questione di valori e di abitudini quotidiane legate alla mia famiglia. (…) Quando mia madre ha incontrato mio padre, si è appassionata alla lettura del Corano e poi ha deciso di convertirsi. Lei è molto credente, ma noi ragazzi siamo cresciuti in Italia, con compagni italiani» (a Micol de Pas) [Icon.panorama.it].
• «Stephan El Shaarawy è la schiuma che esce dalla bottiglia di champagne appena la stappi. Esplode in fretta. Era lì, nel collo. Era lì, pronta per essere versata. Solo che il tappo qui era Zlatan Ibrahimovic. (…) Zlatan era un guaio per El Shaarawy, mica per il resto. Cioè, con Ibra ancora a Milano, Stephan non sarebbe mai esploso così. La schiuma sarebbe rimasta nel collo, il talento sarebbe rimasto confinato ancora un po’ in panchina. (…) Poi Ibra è andato, Cassano pure. Il Milan sarà pure quello che è, però ha trovato la cosa migliore del calcio italiano degli ultimi dieci anni. Sì, c’è Balotelli: ma a 20 anni scarsi, Mario non faceva quello che a 20 anni fa Stephan. Sono numeri, non suggestioni. Sono fatti, non idee. Dieci gol in campionato in tredici partite: negli ultimi quindici anni di Milan, solo Andriy Shevchenko è riuscito a fare meglio di lui. Il dettaglio tutt’altro che trascurabile è che nel 2003, quando Sheva fece 12 gol in 13 giornate, aveva 27 anni. (…) E poi, per dirne una, in quei 12 gol c’erano pure i rigori. Stephan non li calcia. Però sta lì, a dieci gol, da pivello sbocciato in fretta, da ragazzino buttato dentro per vedere l’effetto che fa, da sostituto del sostituto del sostituto. (…) El Shaarawy abbatte i luoghi comuni sull’Italia che non ci crede. Sì, ci mette un po’. Sì, deve incastrarsi l’addio di Ibra, l’infortunio di Pato e quello di Robinho. Però c’è. (…) Stephan corre per se stesso e per gli altri. Non è una metafora, è la verità. (…) Quelli come lui, nati negli anni Novanta, giovani, freschi, forti, sono i nativi digitali del pallone: saranno drogati dei videogame di Pes e di Fifa, ma esattamente come gli avatar multimediali rincorrono gli altri fino all’ultimo secondo e poi si ributtano in avanti per segnare. Sono i nuovi giocatori multitasking: difesa e attacco, fatica e talento. (…) Giocare e segnare sono stati altri assist emotivi. Una specie di dose settimanale di convinzione nei propri mezzi, che poi è quello che troppo spesso manca ai ragazzi, nei campi da calcio e fuori. Stephan ce l’ha. Cresce, cresce, cresce. E quindi: gol, gol, gol. Allora può dirlo senza altri problemi: “Se mi arrivano i palloni, io la porta la vedo”. (…) Non era un personaggio. Ora sì. Per la chioma buffa e curiosa che ha stuzzicato le battute di Berlusconi e che ispira i titolisti di tutti i quotidiani italiani: si legge di continui “su la cresta”, “giù la cresta”, “sulla cresta dell’onda”. Banalità che funzionano per gli slogan e che a lui garantiscono ancora più visibilità di quella che già ha. Poi c’è il cognome straniero che trascina dietro si sé la nuova Italia, con il carico di novità e anche di retorica che la accompagna. (…) Corsa, talento, creatività, agonismo, forza, gol. Non è bellissimo da vedere, nel senso che a volte corre un po’ sbilenco, con la schiena un po’ inarcata, col baricentro basso. Però è forte. Fortissimo. Però segna. Però ride. Si chiedono: perché tutta questa sicurezza? E trovano la risposta fuori. Nella famiglia. Nel padre psicoterapeuta. Allora sappiamo molte cose di lui. Per esempio che alla maturità scelse il tema socioeconomico: “Siamo quello che mangiamo”. Era l’estate del passaggio dal Genoa al Milan e i giornali raccontarono in diretta il suo esame. Succede sempre con i calciatori, come se fossero delle scimmiette fotografate quando si comportano da umani. “Sono un atleta e da tempo ho imparato ad avere cura del mio corpo. Eppoi mio padre mi ha fatto capire subito quanto fosse importante l’alimentazione corretta per una persona. Penso sia andata bene”. Ci raccontano la sua pagella, altro classicissimo: italiano 7, storia 7, inglese 6, economia domestica 6, diritto 6, psicopedagogia 7, igiene 6, statistica 6, educazione fisica 7, musica e canto 8. I dettagli da fan servono a sorridere e a fare simpatia a buon prezzo. Lui non c’entra. Lui è triturato da un mondo che ha fatto del cliché una cifra costante. Così accade sempre che il talento un po’ estroso debba essere anche un po’ cazzeggione. Allora il look, l’accento, le curiosità estremizzate. Come il racconto di Berlusconi che gli chiede di tagliarsi i capelli. Come la storia delle sue canzoni hip hop cantate in ritiro. Come l’iPhone ricevuto di recente al compleanno, come i film di avventura che preferisce rispetto agli altri, come la foto di lui con Ibrahimovic fatta a Marassi qualche anno fa: Ibra nell’Inter, lui ragazzino del Genoa e allora tutta una serie di analogie e coincidenze che gli hanno fatto dare l’etichetta di “predestinato”. È la scoperta del talento nuovo fatta con gli occhi anni Ottanta, quando di Falcao bisognava scoprire “l’uomo fuori dal campo”. Quindi la chitarra, le canzoni, il ballo e il resto. Vi ricordate Aristoteles dell’Allenatore nel pallone: tutti così. Vediamo che c’è dietro all’apparenza. Gli anni Duemila non hanno aggiornato il canovaccio. L’altro El Shaarawy, prima del vero El Shaarawy. Quello dei dieci gol in tredici partite. Quello che calcia di destro e di sinistro. Quello che domani gioca con la Juventus da leader. Possibile? A vent’anni? Adesso sì. Perché il pallone ha trovato un giovane in cui credere senza doverlo per forza catalogare come un ribelle. Questo corre, gioca e segna. Questo che serve al Milan e al calcio italiano (…)» (Beppe Di Corrado) [Fog 24/11/2012].