12 dicembre 2013
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Biografia di Nino Di Matteo
• (Antonino) Palermo 26 aprile 1961. Magistrato. Sostituto procuratore a Palermo. Con Antonio Ingroia pubblico ministero nel processo al generale dei Ros Mario Mori, è uno dei magistrati che indagano sui misteri del papello e della trattativa fra Stato e mafia fra il ’92 e il ’93 (Salvo Palazzolo) [Rep 9/12/2009; Rep 10/2/2010].
• È stato più volte minacciato da Totò Riina, detenuto nel carcere di Opera, a Milano. Nel dicembre 2013, intercettato dalla Dda mentre chiacchierava durante l’ora d’aria con un boss pugliese, affiliato alla Sacra corona unita, «il boss punta il dito contro i pm che lo accusano e sostiene che lo stanno processando perché “vogliono fare carriera” con giudizi che lui definisce “inesistenti” e il riferimento è al dibattimento che si svolge in Corte d’assise sulla trattativa. Sbraita Riina: rispolvera lo stile che incuteva terrore nei suoi picciotti e attacca il pm Nino Di Matteo: attacca il magistrato per il modo in cui lo guarda durante le udienze e per come, secondo lui, “si accanisce” nei suoi confronti. Il capo dei capi è inferocito: “Ma che vuole questo da me? Perché mi guarda?”. E poi non trattiene la minaccia più pesante: “A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri”. Questo a cui si riferisce è Di Matteo e gli “altri” di cui parla sono i giudici Falcone e Borsellino. In questo modo Riina per la prima volta ammette, senza sapere di essere ascoltato dagli investigatori, di essere l’autore delle stragi del 1992. (…) Riina ha preso di mira Di Matteo: senza nominarlo, lo indica come il magistrato “che si dà un gran da fare” e che “a Caltanissetta ha creduto” al falso pentito sulla strage di Borsellino. Alla sua maniera, il boss tenta di smontare il processo sulla trattativa Stato-mafia: “Ci mise un morto che non ci entra per niente”, dice Riina facendo riferimento all’omicidio del politico democristiano Salvo Lima» (Lirio Abbate) [Esp 22/11/2013]. In seguito a queste ultime minacce, Di Matteo ha rinunciato a partecipare all’udienza sulla trattativa Stato-mafia che si è svolta l’11 dicembre 2013 a Milano e in cui ha deposto il pentito Giovanni Brusca.
• «Da oltre un anno il pm antimafia Nino Di Matteo, che sostiene l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è minacciato di morte proprio per quel processo e per le indagini collegate tuttora in corso. Nel settembre 2012 gli giunse un dossier anonimo di 12 cartelle con lo stemma della Repubblica italiana, di chiara fonte investigativo-istituzionale: lo avvertiva che insieme ai colleghi impegnati sul caso trattativa era spiato da “uomini delle istituzioni” che poi riversano le informazioni a una “centrale romana”, che si stava inoltrando su terreni pericolosi, che doveva fidarsi solo di Ingroia, che una serie di politici della Prima Repubblica coinvolti nella trattativa non erano stati ancora toccati dalle indagini e che l’agenda rossa di Borsellino era stata trafugata da un carabiniere. Seguirono alcune lettere anonime con minacce mafiose e annunci di un imminente attentato avallato da Totò Riina dal carcere. Il 26 marzo, un mese dopo le elezioni, giunse la famosa doppia lettera scritta al computer da un anonimo sedicente “uomo d’onore della famiglia trapanese” che annunciava l’eliminazione di Di Matteo “in alternativa a quella di Massimo Ciancimino”, “chiesta dagli amici romani di Matteo” (il boss Messina Denaro) con l’“assenso di Matteo” (sempre il capomafia di Trapani), “perché questo paese non può finire governato da comici e froci”. Anche quell’anonimo era uomo di apparati istituzionali, conoscendo a menadito gli spostamenti di Di Matteo e di un altro pm palermitano in servizio a Caltanissetta (forse Nico Gozzo) e i punti deboli dell’apparato di sorveglianza. Per tutta l’estate vari confidenti delle forze dell’ordine hanno confermato progetti di attentato contro Di Matteo con 15 kg di tritolo già arrivati a Palermo, mentre un superesperto di esplosivi illustrava anonimamente i sistemi per neutralizzare il “bomb jammer”, il robot che da mesi si pensa di assegnare alla scorta del pm per il disinnesco preventivo di eventuali ordigni. A fine giugno Riina confidava a un agente penitenziario, che lo scortava in una trasferta processuale, che per la trattativa “io non cercavo nessuno, erano loro (lo Stato, ndr) che cercavano me” e “mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. A quel punto Di Matteo decide di intercettare Riina in un luogo aperto del carcere di Opera dove il boss è solito appartarsi nell’ora d’aria con un boss della Sacra corona unita pugliese, Alberto Lorusso. Dal 2 agosto in poi è un’escalation di minacce di morte: Riina è ossessionato da Di Matteo e da quel che potrebbe emergere dal processo e dalle nuove indagini sulla trattativa (“questi cornuti portano pure Napolitano”, cioè i magistrati citano il presidente come teste). E ripete continuamente che bisogna “fargli fare la fine del tonno”. L’ultima volta, il 16 novembre, prima delle fughe di notizie che inducono i pm a levare le cimici, il capo dei capi ordina: “Tanto deve venire al processo, è tutto pronto. Organizziamola questa cosa, facciamola grossa, in maniera eclatante, e non ne parliamo più, dobbiamo fare un’esecuzione come quando c’erano i militari a Palermo”. (…) Di Matteo – fatto mai accaduto a un magistrato antimafia, neppure nel ’92 – non ha potuto presenziare per motivi di sicurezza all’udienza milanese del processo sulla trattativa, proprio quella dedicata all’audizione di Giovanni Brusca, che nel ’96 svelò i negoziati fra il Ros e Riina tramite Ciancimino. Avrebbe dovuto muoversi su un carrarmato Lince tipo Afghanistan, e comprensibilmente ha rifiutato» (Marco Travaglio) [Fat 12/12/2013].
• Nel dicembre del 2014 Vito Galatolo, ex boss dell’Aquasanta, ora collaboratore di giustizia rivela che il tritolo per uccidere il magistrato veniva dalla Calabria e che l’ordine di morte venne direttamente da Matteo Messina Denaro «"Dottore, i mandanti per lei sono gli stessi del dottore Borsellino" ha detto il neo pentito al pm, raccontando che Cosa Nostra aveva anche preparato un agguato a colpi di bazooka e kalashnikov da eseguire quando Di Matteo si trovava a Roma: il potenziamento della scorta del magistrato aveva però fatto sfumare quest’ipotesi» [Pipitone, Fat 9/12/2014].
• È stato per un anno e mezzo (fino al dicembre 2013) sotto procedimento disciplinare del Csm, assieme al procuratore Francesco Messineo, per le intercettazioni tra Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino: il pm ne avrebbe confermato l’esistenza ai giornali e il capo non glielo avrebbe contestato (Fog 31/5/2013).
• È tra i dieci nomi proposti dal M5s per le presidenziale del 2015. Sul blog di Grillo si legge: «L’uomo dell’anno è l’Onesto una specie rara, ma ancora presente nel nostro Paese. Può sembrare un caso da manuale psichiatrico. Un signore (signora) che non si fa corrompere, che paga le tasse, che non parcheggia in doppia fila, che insegna ai suoi figli il piacere dell’onestà»