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 2013  dicembre 10 Martedì calendario

Ieri gruppi di scontenti genericamente definiti con la parola “Forconi” avrebbero dovuto dare l’assalto allo Stato, avendo come scopo la caduta del governo, la cacciata di tutti i politici e la fine della globalizzazione

Ieri gruppi di scontenti genericamente definiti con la parola “Forconi” avrebbero dovuto dare l’assalto allo Stato, avendo come scopo la caduta del governo, la cacciata di tutti i politici e la fine della globalizzazione. Effettivamente in tutt’Italia si sono svolti ieri cortei e manifestazioni, e si sono patiti blocchi stradali e ferroviari, e presidi, anche con qualche ferito (a Torino, 9 poliziotti e 5 carabinieri, niente di grave). Però nessuna massa in rivolta o marce da Quarto Stato: qualche centinaio di qua, quattrocento di là, fino a un massimo di duemila, sempre a Torino. Come accade con le manifestazioni sindacali, che mobilitano ormai appena poche decine di persone però in tante città diverse, così questi forconi hanno gridato la loro rabbia molto prima del 9 dicembre, ma arrivati al giorno fatale si sono rivelati pochi, maledettamente pochi per fare davvero paura.

Ma che vogliono?
Dovrebbe trattarsi di qualcosa che ha a che fare con l’autotrasporto, però anche col disagio dell’agricoltura. Le parole d’ordine sono «contro la classe dirigente che ancora una volta vuole farci pagare il conto» e «l’ipocrisia dei nostri politici». Richieste più concrete: defiscalizzazione dei costi dell’energia elettrica e blocco delle procedure esecutive di Equitalia.  

Hanno ragione?
Il ministro Lupi dice che tutto quello che si poteva concedere è stato concesso e che la baraonda di ieri è del tutto ingiustificata (anche se i politici si dicono sempre pronti a trattare).  

• Come esce fuori questa parola, «forconi»?
L’anno scorso un movimento detto dei Forconi, e guidato da un Mariano Ferro, aveva messo l’isola in ginocchio con blocchi che tra l’altro impedivano i rifornimenti di carburante. Quella protesta è rimasta nella memoria di tutti ed è per questo che all’annuncio di un nuovo assalto, stavolta a livello nazionale, il ministero dell’Interno si è mobilitato, il prefetto Pansa ha fatto sapere che non sarebbe stato ammesso nessun blocco stradale, nessun impedimento all’uscita dai mercati di generi di prima necessità, nessun assedio alle stazioni di servizio e, di conseguenza, nessun atto di violenza. Dopo una vigilia, sempre in Sicilia, piuttosto movimentata (presidi ai caselli che immettono nelle tre grandi città Palermo Messina Catania, poi al porto di Messina, al petrolchimico di Priolo, sulla statale Palermo-Sciacca, sulla ferrovia tra Messina e Palermo, al porto di Pozzallo), i contestatori devono essersi spaventati: ieri si sono affrettati a dire che si sarebbero mossi in armonia con i permessi di polizia, «i violenti li cacciamo noi», «quale mafia? che ci siano infiltrazioni mafiose lo scrivete voi giornalisti» eccetera eccetera. L’appoggio dei fascisti, per esempio di quelli di Forza Nuova, è conclamato. Adesso i Forconi e i loro alleati promettono di continuare la lotta a oltranza almeno fino a venerdì, secondo loro, mazzinianamente, la scintilla che hanno acceso darà fuoco a tutto il Paese, oggi alle cinque dovrebbero essere a Roma, preparandosi a un grande assedio domani, durante il discorso di Letta sulla fiducia, «se non se ne andranno tutti a casa...».  

In concreto che è successo ieri?
Il disagio più forte s’è sentito a Torino, al punto che il sindaco Fassino a un certo punto è sbottato: «Non rispettano la città». Alta tensione anche a Genova: in tutt’e due i capoluoghi sono stati occupati i binari, Genova Brignole, Torino Porta Nuova e Torino Porta Susa (altri blocchi, intanto, si organizzavano a Imperia, Diano Marina e Arma di Taggia con paralisi della circolazione sulla Genova-Ventimiglia ed effetti a catena, però contenuti, sulla circolazione nazionale). I forconiani, o chi per loro, si sono visti anche in Veneto (19 presidi con i grossi mezzi messi di traverso) a Bologna (i manifestanti hanno anche litigato tra di loro), a Parma, a Firenze, naturalmente a Roma e a Milano, a Napoli, a Bari, a Palermo, a Catania. Niente di memorabile se non questo: che Grillo a un certo punto ha cercato di mettere il cappello su questa mesta rivoluzione. È stato quando a Torino i poliziotti si sono tolti i caschi e i manifestanti che li fronteggiavano (siamo in piazza Castello) li hanno applauditi. Grillo allora ha scritto (pasolinianamente): «Bravi ragazzi. Le forze dell’ordine provengono dal popolo di cui fanno parte». Poco dopo però la polizia ha smentito che si fosse trattato di un gesto di solidarietà con i dimostranti: gli agenti si sono tolti i caschi semplicemente per esigenze di servizio.  

La polizia s’è comportata con durezza?
Direi di no. Nelle manifestazioni di Torino s’erano infilati parecchi ultrà della Juve e del Toro. Nicola Tanzi, segretario del sindacato di polizia Sap, ha scritto che, pur comprendendo «il malessere dei cittadini che protestano», «in Italia c’è troppo permissivismo. Voglio provocatoriamente affermare che anche la polizia polacca, recentemente, ci ha dato una lezione su che cosa significhi gestire l’ordine e la sicurezza pubblica».