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 2013  dicembre 09 Lunedì calendario

Biografia di Pierangelo Daccò

• Sant’Angelo Lodigiano (Lodi) 1956. Imprenditore, consulente, intermediario, faccendiere. Coinvolto nelle indagini sulla bancarotta della Fondazione San Raffaele, il 16 novembre 2011 la procura di Milano ne chiese il fermo (l’ipotesi è che ricevesse denaro in contante dal braccio destro di Don Verzé, il suicida Mario Cal, distraendoli dall’ospedale attraverso fatture gonfiate). Il 3 ottobre 2012 è stato condannato in primo grado per concorso in bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere finalizzata a reati fiscali e appropriazione indebita a dieci anni di reclusione e al versamento di una provvisionale di 5 milioni di euro alla Fondazione Monte Tabor del San Raffaele. L’11 giugno 2013, in appello, la pena è stata ridotta a nove anni. È imputato inoltre nell’inchiesta sui fondi neri della regione Lombardia alla clinica Maugeri, insieme con l’ex presidente Roberto Formigoni.
• «In principio erano le Tessiture Daccò di San Colombano al Lambro, provincia di Lodi, un’aziendina a pochi passi di distanza dal suo principale cliente, l’ospedale psichiatrico gestito dai frati dell’ordine di San Giovanni di Dio, meglio noti come Fatebenefratelli. Parte da qui, dall’impresa di famiglia ereditata dal padre, l’incredibile avventura di Pierangelo Daccò, per tutti Pierino, descritto dai pm di Milano, che lo hanno fatto arrestare (…) come il gran ciambellano dei fondi neri del San Raffaele, l’organizzatore e il gestore delle operazioni truffaldine che hanno svuotato le casse dell’impero ospedaliero fondato da don Luigi Verzé. Tutto qui? No, c’è molto altro. E molto di più. In oltre vent’anni di onorata (si fa per dire) carriera, quel piccolo imprenditore della bassa lodigiana è diventato un punto di riferimento per il sistema di potere, e di affari, che ruota attorno a Roberto Formigoni, il ciellino che dal 1995 siede sulla poltrona di presidente della regione Lombardia. Il governatore conosce e frequenta Daccò da almeno un ventennio: vacanze in comune, feste. Non è una sorpresa, del resto. Già nei primi anni Novanta il rampantissimo Pierino era ben inserito nel giro degli uomini di punta del Movimento popolare, espressione politica di Comunione e Liberazione. (…) La sua scalata al potere, e alla ricchezza, è tutta sottotraccia. Prima che esplodesse il caso San Raffaele con il crack dell’ospedale e il suicidio di Mario Cal, braccio destro di don Verzé, il riservatissimo Daccò si è sempre mosso ben lontano dai riflettori. L’unico incarico pubblico, se così si può dire, è quello di consigliere d’amministrazione dell’Inter, tra il 1989 e il 1995, ai tempi della presidenza di Ernesto Pellegrini. Un onore, per Daccò, che è un interista sfegatato, ma forse c’entrano anche gli affari. Insieme a lui, infatti, troviamo nel consiglio dell’Inter di Pellegrini anche Giancarlo Abelli, uno degli uomini più potenti della politica lombarda, considerato una sorta di ras della sanità, anche lui, manco a dirlo, molto vicino a Formigoni. Particolare importante: una delle due figlie di Daccò, Erika, ha sposato il consigliere regionale lombardo Massimo Buscemi, pure lui formigoniano. (…) Daccò era abilissimo a non dare nell’occhio. Sfuggiva ai giornalisti, ai magistrati e anche al fisco, tant’è che da tempo (…) ha trasferito la residenza Londra, ad Hampstead, uno dei sobborghi più eleganti e rinomati della città. (…) È lo stesso Daccò a spiegare le sue origini in un verbale d’interrogatorio che risale al gennaio 1994, quando, nel pieno di Mani Pulite, la procura di Milano stava indagando sulle forniture al sistema sanitario. L’amico di Formigoni, sentito dai magistrati in qualità di persona informata dei fatti, spiega che la sua azienda ha “come clienti unicamente istituti gestiti da ordini religiosi (….) i quali a loro volta sono convenzionati con enti pubblici”. Il cliente principale, come detto, era l’ordine dei Fatebenefratelli. Il legame con i frati di San Giovanni di Dio, con cui tra l’altro si lancia in operazioni immobiliari in Israele (a Nazareth) e in Cile, permette a Daccò di entrare nel giro grosso della sanità. Nasce da lì un rapporto destinato a durare nel tempo, quello con il manager Renato Botti che nel 1990 era segretario amministrativo dei Fatebenefratelli. Botti nel 2003 approda al San Raffaele come direttore generale. Giusto due anni dopo, Daccò comincia a trafficare con i fondi neri di don Verzé (…)» (Vittorio Malagutti) [Fat 22/12/2011].
• «(...) Ruota da tempo intorno a Comunione e Liberazione, un movimento che in Lombardia catalizza una quantità incredibile di voti e posti di potere, grazie anche all’appoggio che da sempre fornisce al presidente della Regione, Roberto Formigoni. Sarebbe stato Daccò a gestire una delle operazioni più discusse della Fondazione di don Luigi Verzé, la ricerca e l’acquisto di un nuovo aeroplano per il gruppo ospedaliero. Un lavoro remunerato con una consulenza di oltre un milione di euro, pagata a una società neozelandese. Era il 2007, quando Don Verzé pensò bene di vendere un vecchio Hawker 1000 della Bae per comprare un più lussuoso Challanger CL 604, un aeroplano in grado di effettuare voli transoceanici. Ma siccome l’aeroplano tardava ad arrivare, Daccò fu ingaggiato per studiare delle soluzioni alternative e accelerare le pratiche. Alla fine la Airviaggi, la società deputata all’operazione e partecipata al 60% dal San Raffaele, al 30% dall’attore comico Renato Pozzetto e per il 10% da Peppino Marascio, decise di rilevare il 100% del capitale della Assion Aircraft & Yatching Chartering Service Ltd, una scatola con sede ad Aukland (Nuova Zelanda) e con in pancia un’opzione di acquisto per un Challanger 604. I soldi, circa 13 milioni di euro, li garantisce la Fondazione, ma arrivano attraverso una società finanziaria, la Sg Equipment Finance Schweiz, una società del gruppo francese Société Générale e in particolare dalla filiale di Zurigo con la quale la Airviaggi apre un leasing. L’aereo non viene molto usato, qualche volta viene affittato alla famiglia Berlusconi o agli Agnelli, altre volte trasporta “per piacere” qualche politico. Certo i voli effettuati non sembrano giustificare l’investimento, che produce un buco di bilancio di oltre 10 milioni di euro. L’altra consulenza affidata a Daccò passa invece attraverso una società austriaca la Harmann Holding, una società sconosciuta cui è stato affidato un delicatissimo incarico dal San Raffaele: gestire i contenziosi legali esteri, in Paesi come la Polonia, il Mozambico o in regioni come la Palestina. Un lavoro remunerato per mezzo milione di euro. Consulenze o altro? Non si capisce, ma il dubbio è lecito visto che non si capisce nemmeno quali siano al riguardo le specifiche competenze garantite da Daccò» (Walter Galbiati) [Rep 31/8/2011].
• «Una decina di società in Italia riconducibili direttamente a lui e altre quattordici a persone che gli sono vicine e che si intrecciano con gli uomini di Comunione e Liberazione e i vertici della Regione Lombardia (...) Le società sono le teste di ponte attraverso le quali l’imprenditore, vicino a Cl, tanto legato al governatore della Lombardia Roberto Formigoni da trascorrere con lui le vacanze in barca, operava in Italia (...) Tutto ruota intorno alle sue società, le cui catene sono “così complesse – dicono gli inquirenti – che neppure Daccò senza qualche aiuto è riuscito a ricostruirle” (...) I suoi legami politici spuntano grazie a due suoi compagni d’affari: Antonio Simone, ex assessore al territorio e alla sanità della Lombardia, anche lui vicino a Cl, e (...) Massimo Buscemi (Pdl), sposato con una delle sue figlie. Secondo la ricostruzione della procura, Simone ha la residenza a Londra allo stesso indirizzo di Daccò, a Maresfield Gardens 33/E, e le sue società sarebbero gestite dallo stesso fiduciario di Daccò, Antonio Zanetti. Il suo nome compare nelle carte degli inquirenti perché Simone avrebbe “costituito un usufrutto (per la durata di 25 anni) in favore della società neozelandese Negua Limited”, amministrata dallo stesso Zanetti, su diverse unità immobiliari nella frazione di San Pantaleo, località Schina Manna, e su alcuni terreni nel comune di Nuchis. Un posto incantevole della Costa Smeralda, in provincia di Olbia. Lo stesso dove è sorto uno degli ospedali di Don Verzé. Buscemi, invece, è risultato controllare fino al dicembre 2010 la maggioranza del gruppo Hsl, una società che opera nei servizi (dal portierato ai centralini telefonici, dal facchinaggio alle pulizie), alla cui guida sedeva la moglie, Erika Daccò. La società viene venduta a un tale Luigi Pezzella e dopo soli sette mesi a luglio del 2011, pochi giorni dopo il suicidio di Cal, viene chiusa. (...) Il vero centro delle attività di Daccò, prima di entrare in contatto col San Raffaele, è la Juvans, una società schermata a partire dal 1999 da veicoli olandesi (la Karmal e la Juvans International Bv). E intorno a questa si sarebbe consumata un’anteprima della vicenda del San Raffaele, una prova generale del sistema che Daccò avrebbe poi applicato con Cal e Don Verzé. La Juvans lavorava non con i Sigilli, l’ordine di don Verzé, ma con i Fatebenefratelli, devoti a San Giovanni di Dio e anche loro come don Verzé attivi nella sanità. Il loro ordine ospedaliero non è meno potente, perché è presente in cinquanta Paesi sparsi nei cinque continenti e conta su 400 opere apostoliche. “Avendo ricevuto come eredità il carisma dell’ospitalità, seguendo l’esempio del nostro Fondatore ci dedichiamo per missione ai malati e ai bisognosi”, recita il loro motto. A guidarli è l’irlandese Fra Donatus Forkan, al secolo William. In Italia, hanno sede a Roma, ma controllano strutture ospedaliere anche in Lombardia, a Cernusco sul Naviglio, a San Colombano, a Brescia, a Como (la Sacra Famiglia) e a Pavia, tutte convenzionate con il servizio sanitario nazionale attraverso la Regione Lombardia. (...) “La storia della società – recita un’annotazione della sezione di Polizia giudiziaria della Guardia di finanza e della Polizia di Stato – è stata caratterizzata da un rapporto con l’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli. Tale rapporto fu formalmente di appaltatore, nel senso che l’ente ecclesiastico commissionava alla Juvans la realizzazione ex novo, ovvero la ristrutturazione di centri ospedalieri, cliniche e comunque immobili di proprietà; a sua volta la Juvans, che è sempre stata priva di una propria struttura operativa di costruttore, subappaltava a terzi la concreta realizzazione delle opere”. Gli inquirenti parlano della Juvans come di “un mero strumento e supporto tecnico del Fatebenefratelli” per costruire gli ospedali e individuano perfino due contratti d’appalto intermediati nel 2000 direttamente da Daccò con l’Ordine di San Giovanni di Dio per 21,5 miliardi di lire. Gli affari però iniziano ad andare male, proprio come nel caso del San Raffaele, e nel 2003 quando l’Ente cessa di pagare le fatture, la Juvans finisce in fallimento. Pochi anni dopo, il cambio di cavallo. Il nome di Daccò inizia a comparire nelle agende di Cal, per appuntamenti in cui ritirare i contanti procurati al braccio destro di don Verzé dal gruppo Zammarchi, “lo strumento e supporto tecnico” del San Raffaele» (Emilio Randacio e Walter Galbiati) [Rep 30/11/2011].
• «Lui, Pierangelo Daccò, il lobbista, faccendiere, mediatore occulto di affari milionari, è considerato l’“apriporte” in Regione, fondamentale per ottenere fiumi di denaro pubblico. Non solo è amico di Formigoni, ma gli offriva – secondo l’accusa – vacanze gratis e benefit milionari, come cene, yacht e villa in Sardegna (per un totale di 7 milioni di euro). Un presunto scambio di soldi pubblici e favori privati che – per la Procura – è alla base dell’iscrizione nel registro degli indagati di Formigoni per corruzione aggravata» (Mario Gerevini e Simona Ravizza) [Cds 5/10/2012].