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 2013  dicembre 02 Lunedì calendario

In futuro mangeremo cavallette e scarabei?


Oggi sulla Terra siamo sette miliardi di persone, entro il 2050 diventeremo nove. Il problema è capire come far mangiare tutti e, soprattutto, come garantire a tutti un apporto alimentare equilibrato. Nel maggio scorso la Fao ha diffuso un rapporto dal titolo “Insetti commestibili: prospettive future per la sicurezza alimentare e il nutrimento animale”, affermando che una dieta a base di insetti contiene gli stessi valori proteici della carne. Il tema è stato ripreso la scorsa settimana al Forum Barilla a Milano [1].

«Da quando abbiamo fatto posto a tavola a qualche miliardo di cinesi e indiani, che reclamano giustamente la loro quota di carne e formaggi, si è scoperto che non ce n’è abbastanza per tutti. E che non ce ne sarà mai. Nel 2000 il mondo consumava 14 milioni di tonnellate di bistecche e fettine. Nel 2030, ne chiederà 39 milioni di tonnellate. Eravamo a 21 milioni di tonnellate di salami e salsicce. Arriveremo a 56 milioni. Nel 2000 bastavano 22 milioni di tonnellate di cosce e petti di pollo. Nel 2030 ce ne vorranno 82 milioni di tonnellate. In breve: da qui al 2050, la domanda di proteine animali crescerà del 75 per cento. Ora, i conti sono semplici: non c’è abbastanza posto nel mondo per allevare tutti gli animali che sarebbero necessari» (Maurizio Ricci) [2].

Gli insetti, il più grande raggruppamento animale sul nostro pianeta. Ne esistono un milione di specie [1].

Gli insetti sono ovunque, si riproducono rapidamente, crescono altrettanto velocemente ed hanno un basso tasso di impatto ambientale. Per produrre un chilogrammo di insetti bastano due chili di vegetali mentre per un chilogrammo di carne bovina ne occorrono dieci [3].

La Fao ha iniziato nell’ultimo decennio la corsa alla proteina. Allevare mucche, polli e maiali, nutrirli con cibo coltivato ad hoc, smaltire i loro rifiuti è un’attività sempre meno conveniente. Soprattutto, quella zootecnica è la singola industria più inquinante del pianeta. Più delle automobili o delle centrali a carbone. Quello delle proteine sostenibili è uno dei grossi problemi dell’umanità dei prossimi decenni [4].

«E ricordate, se vi sembra buono, mangiatelo» (così Andrew Zimmern, apre e chiude il programma di cucina Orrori da gustare) [5].

In Africa, Asia e America Latina già due miliardi di persone mangiano 1.900 specie diverse di insetti. I più consumati: coleotteri (31%), bruchi (18%), api, vespe, formiche (14%), cavallette, locuste e grilli (13%) [6].

In Giappone si raccolgono con cura le larve di vespe o api per cuocerle in salsa di soia e zucchero e mangiarle come snack croccante, cosi come le termiti crude, arrostite alla brace o fritte nell’olio ricordano il sapore di carota ai mangiatori di insetti di Cambogia e Venezuela [7].

Stranamente manca nell’elenco la larva della mosca comune, che gli scienziati considerano il cibo potenzialmente più nutritivo. Ricci: «In ogni caso, i numeri sono dalla loro parte. Ci sono quaranta tonnellate di insetti per ogni essere umano, assicurando riserve pressoché inesauribili» [2].

Al mercato di Kampala, in Uganda, la Ruspolia Nitidula (il nostro Saltamartino) costa il 40% in più del vitello. Ettore Livini: «Un motivo c’è. Il valore alimentare degli insetti non ha nulla da invidiare rispetto a quello della carne rossa. I vermi da pasto come il Tenebrion, una prelibatezza in mezzo mondo, hanno un contenuto di Omega 3 e di grassi essenziali pari a quello del pesce e molto superiore a quello del maiale; le termiti-regina – non a caso la miglior cura alla malnutrizione in Zambia e Centrafrica – hanno una componente proteica che arriva al 64%; nelle locuste c’è il triplo del ferro di una bistecca» [3].
A gennaio scorso l’Unione Europea ha stanziato un finanziamento di tre milioni di euro per ogni Paese che incoraggi l’uso degli insetti in cucina [8].

In Indonesia si allevano a livello artigianale i grilli, nel Laos le cavallette. Nell’Africa australe il mercato della larva del Mopane vale 85 milioni di euro. In Thailandia si mettono in scatola le uova di formica, in Giappone sono richiestissime le piccole “pupe” di vespa. Ma si tratta di eccezioni. L’allevamento industriale di insetti, ammette la Fao, fatica a decollare. Bisogna creare le economie di scala e una filiera adeguata [3].

Ognuno di noi, ogni anno, mangia senza saperlo 500 grammi di insetti [9].

Tra i difetti naturali del cibo, la Fda, l’agenzia federale americana per la nutrizione e i farmaci, classifica la presenza di parti d’insetto nei nostri piatti. Una normale barretta di cioccolato contiene in media 60 parti d’insetto. Mangiando pesche si ingerisce anche un tre per cento di vermi. E via elencando con la verdura verde e i pomodori. «D’altra parte i formaggi più estremi, dalla Sardegna, alle Alpi alla Francia, hanno i loro vermi o gli acari, eppure i fanatici li apprezzano» [10].

«E avete presente i cibi e le bevande colorate di rosso, dagli aperitivi allo yogurt, fino ai rossetti? Sono prodotti con il colorante naturale E120, ottenuto grazie alla cocciniglia Dactylopius coccus, che viene essiccato e triturato. Altri cibi, come frutta e caramelle, vengono lucidati con la gommalacca E904, che è la secrezione dell’insetto Kerria lacca» (lo scienziato olandese, Marcel Dicke, direttore del laboratorio di entomologia dell’Università di Wageningen) [9].

«Basta pensare alle aragoste, come faceva David Foster Wallace in un suo strepitoso articolo del 2004, per non stupirsi che gli insetti possano entrare nella cucina di uno chef. Con i loro occhi a spillo, le antenne, l’esoscheletro di chitina le aragoste, scriveva Foster Wallace, “sostanzialmente sono degli insetti di mare giganti”» [4].

Carlo Cracco impana i tuorli d’uovo con larve tritate, René Rezdepi, chef del pluristellato Noma di Copenhagen, è grande amante delle formiche fritte [11].

Negli Stati Uniti e in Europa si possono trovare alcuni ristoranti come l’Oyamel di Washington, il Guelaguetza di Los Angeles che servono taco con cavallette, bachi da seta in salsa di soia, zucchero e pepe, oppure cavallette con contorno di cipolle, peperoncini e pomodori. Ma sono rarità più legate ad una moda da ecologisti elitari. Roberto Perrone: «Ci si può spingere oltre un certo limite per curiosità o spirito di avventura, ma alla fine torneremo sempre qua, alla migliore cucina del mondo, la nostra. Potendo scegliere, perché mangiare le cavallette al posto dei tonnarelli cacio e pepe o dei pansotti con la salsa di noce?» [5].

Fa notare lo scienziato Marcel Dicke: «Una locusta è un gamberetto di terra e, se mangiamo aragoste e lumache, perché non dovremmo mangiare insetti? Credo però che, all’inizio, dovremmo rendere gli insetti irriconoscibili, adottando la “strategia del bastoncino di pesce”» [9].

«Probabilmente, finiremo per mangiare insetti – consapevolmente o no – macinati: in hamburger o in salsicce. Oppure, più facilmente, in polvere da aggiungere ai cibi. Ecco cosa diremo a tavola, nel 2050: “Per favore, mi passi la scarabiera?”» (Ricci) [2].

Note: [1] Giovanni Caprara, Corriere della Sera 26/11; [2] Maurizio Ricci, la Repubblica 6/10; [3] Ettore Livini, la Repubblica 14/5; [4] Il Foglio 23/8; [5] Roberto Perrone, Corriere della Sera 26/11; [6] Franca Roiatti, Panorama 29/8; [7] Flaminia Giurato, La Stampa 22/5; [8] il Fatto Quotidiano 23/5; [9] Monica Mazzotto, La Stampa 21/12/2011; [10] Claudio Gallo, La Stampa 14/5; [11] Elena Meli, Corriere della Sera 8/7.

(a cura di Luca D’Ammando)