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 2013  novembre 26 Martedì calendario

Biografia di Stefano Calvagna

• Roma 21 settembre 1970. Regista. Attore. Nell’ottobre del 2010 fu condannato in primo grado a tre anni e otto mesi per calunnia aggravata, ricettazione, simulazione di reato e detenzione di una pistola (per avere architettato ai suoi danni un agguato e attribuito poi la colpa al produttore Alessandro Presutti). Nel giugno 2011, in appello, la pena fu ridotta a tre anni e un mese.
• «È un corpulento romano (...) nato a Capannelle e cresciuto tra Cinecittà e i Colleferro di Guidonia, osservando il lavoro del padre Benito, dilettandosi fin dall’adolescenza in remake casalinghi in super 8 dei film di Tomas Milian. Colleziona film come Il cinico, l’infame e il violento, poi un giorno, durante una rapina, quando ha già ventidue anni, nell’oreficeria del padre, viene ferito alla gamba da un colpo di 7,65 durante una rapina. Guarisce, osserva la cronaca e propone istantanee della realtà da girare in economia di mezzi. Esordisce con Senza paura, filiazione diretta delle tante città violente introiettate in gioventù con gli amati polizieschi all’italiana. Gian Luigi Rondi improvvido, parla di “Nuovo Tarantino italiano”. Lui prosegue. Il suo secondo film, profetico, è Arresti domiciliari, poi dopo L’uomo spezzato, sulla scia delle gesta di Luciano Liboni, rapinatore omicida in fuga, nel 2007 firma Il lupo, sfacciata apologìa delle gesta di Liboni che gli provoca anche la protesta ufficiale dell’arma dei carabinieri. In mezzo, un’altra opera a stretto contatto con la cronaca Il peso dell’aria, storia di usura e loschi giri (...) Nel febbraio 2009, mentre fuma una sigaretta all’esterno del Teatro Anfitrione a Roma, Calvagna viene raggiunto da sette colpi di pistola esplosi da due uomini coperti dal casco e a bordo di una Honda che lo aspettano all’esterno. Ne va a segno uno solo, ancora alla gamba. Viene ricoverato, se la vede brutta. Lui indirizza i sospetti verso due ex soci, Alessandro Presutti e Carlo Bernabei, che vantavano crediti nei suoi confronti vicini al mezzo milione di euro. Riconosce in una delle foto segnaletiche una persona riconducibile a uno degli ex sodali, ma la Procura non si fida e non esegue arresti. Così Calvagna si spinge più in là. Escogita un piano, si cala in uno dei suoi film. Suggerisce ai finanzieri la chiave del giallo. Se cercheranno nell’ufficio di Cinecittà di Bernabei, troveranno la pistola che lo ha colpito in Via di San Saba, fuori dal teatro. L’arma c’è ma (...) ci sono anche le telecamere a circuito chiuso. È il novembre del 2009. Nelle immagini sgranate, si intravede un uomo appositamente mandato in loco per incastrare l’ex socio. Così dall’accusa di tentato omicidio si passa all’arresto dell’uomo (un altro ex finanziere convinto all’effrazione da Calvagna in cambio di un provino alla figlia) e poi, dopo la confessione dello stesso, a quello del regista che finisce dentro per detenzione abusiva di armi, calunnia aggravata, truffa e falso. Nel frattempo, a Calvagna erano già accadute strane cose. Eventi border line, distanti dall’immaginario hollywodiano. Fanno saltare il negozio del padre a settembre 2007. Un boato in piena notte. La Polizia parla di rapina, lui si dice certo del dolo. Braccato dagli estorsori, parla: “Vogliono uccidermi, vivo in incognito in giro per l’Italia”. Si parla di debiti non estinti, di cattive amicizie, di romanzi criminali senza lieto fine. Se il cinema è meno redditizio di un ristorante per riciclare denaro, i film di Calvagna risultano comunque operazioni economiche di cui si fatica a percepire il senso. Il peso dell’aria incassa 42 mila euro, Il lupo 22 mila e l’opera precedente E guardo il mondo da un oblò, meno di diecimila. Ogni tanto arriva anche un finanziamento regionale, come nel caso de L’ultimo ultras, foraggiato dal Veneto, con l’assessore Udc Valdegamberi in prima fila alla presentazione. L’omaggio alla militanza quasi quindicennale di Calvagna con gli Irriducibili, girato grazie ai denari veneti negli scenari del lago di Garda è un film incredibile, in cui Calvagna firma sceneggiatura, regia, e un altro paio di mansioni. Si racconta la latitanza di un tifoso omicida (Calvagna, sempre in tuta), e oltre al malcapitato Mattia Sbragia, si alternano sul set lombardo-veneto, maschere con spiccato accento romano. Il coprotagonista è Giancarlo Lombardi capobranco dei guerrieri ultras (nello sbrindellato copione acerrimo nemico di Calvagna) mentre nelle scene in cui ci si picchia allegramente tra un tirapugni e un fumogeno, appaiono anche Francesco e Luca Lucci, condannati per aver pestato a sangue durante un derby milanese, un tifoso interista della Banda Bagaj che, per l’episodio, perse un occhio. Nella produzione c’è anche Giancarlo Capelli, il barone della curva milanista, imputato insieme con Lombardi di estorsione alla società di Berlusconi. Ad un tratto, nei pressi di un cesso, appare anche Andry Shevchenko. Dialoga con Calvagna sull’amore degli ultras incompresi dai campioni con il portafogli pieno e gli promette metallico un “Ci penserò, mi ha fatto bene parlare con te”. Per L’ultimo ultras, Calvagna ebbe l’endorsement della curva milanista (defossizzata da anni, a colpi di bastone e minacce) “Domenica tutti a vedere L’ultimo ultras” e l’ausilio di Loris Grancini, capo ultrà dei Viking Juve, dalle dubbie frequentazioni milanesi, ringraziato nei titoli di coda. Calvagna amava presentare le sue pellicole a Regina Coeli» (Malcom Pagani) [Fat 2/3/2010].
• Di recente ha scritto e diretto MultipleX (2013), un thriller girato interamente all’interno di un grande multisala.