26 novembre 2013
Tags : Francesco Calamandrei
Biografia di Francesco Calamandrei
• San Casciano Val di Pesa (Firenze) 27 agosto 1941 – San Casciano Val di Pesa (Firenze) 1 maggio 2012. Farmacista. Per 20 anni accusato di essere un mandante del «mostro di Firenze» che, dal 1968 al 1985, uccise 16 persone (8 coppie), il 21 maggio 2008 fu assolto (il fatto non sussiste).
• «Non è Calamandrei il mandante dei delitti, il capo della “banda dei tre”, il “dottore” che ordinava al contadino Pietro Pacciani, al manovale Giancarlo Lotti detto “il katanga” e al postino Mario Vanni, chiamato “il torsolo”, di uccidere le coppiette nei giorni di novilunio. Non era lui il professionista che pagava per avere in cambio orribili feticci da portare in una villa nascosta nelle campagne toscane dove si consumavano festini orgiastici e riti esoterici alla presenza di insospettabili, tra i quali anche Francesco Narducci, medico perugino, trovato morto nel lago Trasimeno (nel 1985). I pm, Paolo Canessa e Alessandro Crini, avevano chiesto l’ergastolo, pena da ridursi a 30 anni per il rito abbreviato. E avevano portato come prove faldoni di documenti, vent’anni di indagini, difficili, coraggiose, contraddittorie. Testimonianze, tante. Forse troppe. E poco credibili. La prima, che fa scattare l’indagine, è quella dell’ex moglie di Calamandrei, Mariella Ciulli, interdetta perché incapace. Poi ci sono altri testi, che raccontano di festini a base di feticci, che si organizzano anche quando si consumano delitti senza escissioni e dunque non c’è “materia organica” per i riti. E ancora si racconta di ville segrete, orge e personaggi americani, mai identificati o morti, pagamenti mai dimostrati. “Come ha stabilito il giudice applicando l’ex articolo 530 secondo comma del codice di procedura penale – spiega il difensore di Calamandrei, l’avvocato Gabriele Zanobini –. Tecnicamente significa che è mancata la prova. Quale? Quella che avrebbe dovuto dimostrare che Calamandrei avrebbe pattuito, pagato e ricevuto da Pacciani i reperti delle vittime”» (Marco Gasperetti) [Cds 22/6/2008].
• «“Da innocenti ci si difende malissimo. Un colpevole sa che cosa deve nascondere alla giustizia. Ma un innocente non ha idea delle cose che gli chiedono di rivelare”. Vent’anni di sospetti, accuse e “giornalate” come presunto mandante della metà dei delitti del mostro di Firenze, culminati in un’assoluzione, hanno fatto di Francesco Calamandrei (...) un uomo disilluso. Scagionato, Calamandrei non prova né sollievo né allegria. A marzo 2008, nel pieno di un’udienza, gli è stata annunciata la morte per overdose del figlio Marco. “Per anni” racconta “il dolore per quel figlio aveva anestetizzato la sofferenza per un’accusa assurda. È ancora una ferita aperta” (...) Come e quando è cominciato? “Nel 1988, con una perquisizione all’alba. Mia moglie, Mariella, mi aveva denunciato alla Sam, la squadra antimostro. Sosteneva che tenessi in casa, nel freezer, i feticci delle donne uccise. Eravamo separati da 3 anni. Ero andato via di casa, dopo quasi vent’anni di matrimonio, perché aveva comportamenti strani, violenti. Non sapevo che fosse malata. Invece delirava. Ma con deliri lucidi. (...) Io rimasi scosso, ma pensai a un dispetto. Dopo la separazione, m’ero ammalato di depressione. E mio figlio Marco cominciò con la tossicodipendenza. Fino al ’92 al mostro non pensai più. (...) Mi chiamò il padre di una ragazza uccisa. Mi disse: ‘Dottore, l’ho sputtanata. Sua moglie mi aveva convinto che lei fosse il mostro. L’ho denunciata alla Sam. È stata una sciocchezza, mi dispiace’ (...) Andai da un avvocato. Potevo denunciarlo per calunnia, mi suggerì. Ma aggiunse: ‘Si vince la causa e lei che ci guadagna? Giornalate, solo giornalate’. Lasciai perdere”. E sua moglie? “Era ormai in cura al dipartimento di salute mentale, ma continuava ad andare per magistrati. Era ossessionata dal mostro di Firenze, leggeva tutto. Si presentò pure dal pm Paolo Canessa. Gli disse che andavo in giro con l’ex procuratore della Repubblica Piero Luigi Vigna in cerca di coppiette: lui sparava, io tagliavo. Canessa chiese l’archiviazione: le accuse, scrisse, venivano ‘da persona gravemente disturbata’”. Al processo, però, il pm Canessa ha chiesto (...) una condanna a 30 anni. “Sì, ma questo è accaduto dopo. Per me la storia riprese nel 1998. Nella sentenza di condanna contro i ‘compagni di merende’ (Pietro Pacciani, Giancarlo Lotti, Mario Vanni) si leggeva che Lotti aveva saputo dal Vanni che i feticci servivano al ‘dottore’. Il commissario Michele Giuttari scattò alla ricerca del mandante. (...) Mi arrivò un fax con l’ordine di presentarmi in questura a Firenze. Andai, mi interrogarono per 4 ore. Poi la polizia mi portò a casa, perquisì tutto, portò via libri, quadri, agende, giornali (...) era tutto così assurdo. Volevano sapere che cosa sapevo delle messe nere. E se conoscevo Pacciani, Lotti, Vanni... (...) Pacciani (...) mai visto. Vanni per forza: era il postino. Il centro di San Casciano sarà mezzo chilometro, sicché ci si conosce tutti. Anche Lotti conoscevo: era il grullo del paese, ma non ci ho mai nemmeno parlato. (...) Presero un libro, Diva satanica. Conteneva una raccolta di disegni di Franco Saudelli. Li ricopiavo: dipingo da sempre, a 13 anni ho fatto la prima mostra. È una passione mai abbandonata. Ma il sequestro del libro diventò un fatto clamoroso. (...) Il titolo sembrava una conferma ai peggiori sospetti. Una giornalista bionda andò in tv, da Maurizio Costanzo. Mostrò la copertina: ‘Guarda che cosa hanno trovato in casa a Calamandrei. Non significa niente, ma insomma...’” (...) Non rivide mai Giuttari? “Una volta, per caso, davanti a un’edicola nel centro di Firenze. Lo salutai, non mi riconobbe. Mi presentai, andammo a prendere un caffè. Parlammo di mio figlio, non del mostro. Lo raccontò in uno dei suoi libri. Mi disse: ‘Io sono un semplice scrittore di romanzi, lei è un artista’. Mi fece piacere. Come lo sa, domandai. ‘Dai suoi diari e dai disegni’ rispose. (...) Nel 2004, il 20 gennaio, alle 6 del mattino, mi suonarono alla porta. Erano agenti di polizia giudiziaria. Perquisirono tutto, portarono via 30-40 agende, libri, una cartina di Perugia. (...) Nel frattempo un’altra testimone m’aveva accusato d’aver ordinato l’omicidio di un medico, Francesco Narducci, morto annegato nel Lago Trasimeno e poi accusato d’aver a che fare con i delitti del mostro. Narducci era di Perugia. Nel 2005 seppi di essere sotto inchiesta anche lì, con un giornalista fiorentino, Mario Spezi. (...) Comunque, in quel gennaio 2004, durante la perquisizione, mi venne chiesto se andavo spesso sul Trasimeno. (...) Dissi che, ogni paio d’anni, tornavo ad Assisi per vedere il ciclo di affreschi di Giotto. Mi consegnarono un avviso di garanzia. Lessi, non capii niente. ‘Guardi che è grave’ mi avvertirono. (...) Mi accusavano di essere il mandante di quattro degli otto duplici delitti del mostro. (...) Ero attonito, impaurito, sbigottito. Pensavo: sono in un film dove non conosco nessuno. La mia depressione, intanto, si aggravava. La storia stava cominciando a diventare un incubo”. Arriviamo al processo. “Si aprì il 30 marzo del 2007. Il mio avvocato aveva chiesto il rito abbreviato, da celebrare, però, in forma pubblica. Per la prima volta incontrai i pm che mi accusavano. (...) Di essere stato il ‘dottore’ che commissionava a Pacciani i feticci escissi dal corpo delle donne uccise. Piccolo dettaglio, mi si accusava d’aver pagato per questo ma nessuno aveva ordinato un accertamento bancario sui miei conti”» (Bianca Stancanelli) [Pan 5/6/2008].