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 2013  novembre 21 Giovedì calendario

Jfk, la verità non esiste (int. a Scott Turow del 17/11/2013)

La Lettura, domenica 17 novembre 2013
Quella tragica mattina di 50 anni fa a Dallas era destinata a segnare la coscienza di una nazione. E a diventare la molla che avrebbe spinto future star del foro — come Scott Turow — a intraprendere la carriera legale. «Avevo 14 anni quando Jfk fu ammazzato — racconta il celebre avvocato penalista e scrittore — e come il resto del Paese rimasi incollato alla tv per giorni, seguendo in diretta anche l’assassinio di Lee Harvey Oswald per mano di Jack Ruby». Al telefono da Dublino, dove è giunto per promuovere il suo nuovo libro, Identical , in uscita da Mondadori il prossimo gennaio, il maestro del thriller legale (autore di una dozzina di bestseller tradotti in oltre venti lingue che hanno venduto più di 25 milioni di copie) dimentica il jet lag per tuffarsi in un’appassionata analisi di quello che non esita a definire «il giallo del secolo». La morte di Kennedy «possiede tutti gli elementi del grande thriller storico-politico», spiega: «Dai legami di Oswald con l’Unione Sovietica a quelli di Ruby con la mafia, furibonda per la crociata del ministro della Giustizia, Robert Kennedy, contro Cosa Nostra. Dall’ira di Fidel Castro contro l’America dopo la fallita invasione nella Baia dei Porci alla figura centrale e controversa di Lyndon B. Johnson, di cui era noto l’odio per i Kennedy».
Anche lei crede alla tesi della regia di Johnson, avanzata per la prima volta nel 1968 da Joachim Joesten in The Dark Side of Lyndon Baines Johnson?
«Da ragazzino ne ero convinto. Johnson allora veniva descritto come la pecora nera aliena a Camelot, un sudista di destra che nessuno voleva come presidente. Oggi mi è difficile credere alla tesi del complotto ordito ai massimi livelli che si affida a uno psicolabile come Oswald, dipinto dalla stessa moglie Marina come “emotivamente instabile”. È forse questo il tipo di sicario che sceglieresti se sei la Cia?».
Certo, se sai che un’altra tua pedina di nome Ruby lo avrebbe messo a tacere subito dopo.
«Il proprietario di un night club ed ex venditore ambulante di hot dog anche lui parte della cospirazione manovrata dalla Cia? Ne dubito. La tipologia di 007 usata allora dai servizi Usa si era vista alla Baia dei Porci: soldati di fortuna e mercenari con un provato pedigree in quel tipo di operazione, non loschi debuttanti che improvvisano. La mafia si era alleata con la Cia per assassinare Fidel? Certo, ma neppure quel sodalizio porta a Oswald. Se il boss Sam Giancana voleva eliminare Jfk perché andava a letto con la sua Marilyn non avrebbe usato uno psicolabile».
Immagino che il film Jfk non le sia piaciuto.
«Oliver Stone, che conosco bene, mi rivelò di essere persuaso di aver raccontato la verità assoluta. Rispetto la sua opinione».
In The Men Who Killed Kennedy, l’amante di Johnson, Madeleine Brown, lo accusò di essere a capo di una congiura che coinvolgeva Cia, Fbi, mafia, politici e giornalisti.
«Numerosi storici hanno bollato come inattendibile quel documentario. Ciò non ha fermato i teorici della cospirazione che fanno leva sulla paranoia in ognuno di noi per foraggiare il redditizio filone letterario-cinematografico alla Manchurian Candidate, che immagina elaborati complotti del governo Usa per sovvertire la democrazia».
Oggi quasi nessuno crede più alla tesi della Commissione Warren secondo cui Oswald agì da solo.
«Eppure il più esaustivo trattato sui misteri dell’assassinio Kennedy, le oltre 1.600 pagine di Reclaiming History pubblicate nel 2007 dal talentuoso avvocato italoamericano Vincent Bugliosi, arriva alle stesse conclusioni. Il pm che incastrò Charles Manson lavorò a quel progetto per sette anni, cento ore alla settimana e in maniera quasi ossessiva».
Secondo i suoi detrattori la Warren Commission si rifiutò di usare detective indipendenti, affidando l’indagine ad agenti Cia e Fbi alle dirette dipendenze dei congiurati.
«La tesi di un coinvolgimento di Cia e Fbi è fantascienza. Se fosse vera si sarebbe trattato di un coup d’état che avrebbe coinvolto innumerevoli persone, alcune delle quali prima o poi si sarebbero fatte avanti per spifferare. Non è possibile coprire un tale scandalo per così tanto tempo. Se i membri della Warren Commission avessero cospirato per sopprimere la verità, si sarebbero resi ostaggi della politica, impedendo a uno come Gerald Ford di candidarsi».
Ci fu poi una ulteriore Commissione d’indagine sul caso, istituita negli anni Settanta, che avvalorò l’ipotesi del complotto sulla base di una registrazione sonora?
«Molti testimoni dichiararono di aver sentito spari provenienti dalla collinetta erbosa, la Grassy Knoll, situata sul lato destro di Elm Street e anche le fotografie mostrano gente che corre da quella parte. È difficile accettare che il presidente possa essere stato ucciso da uno squilibrato solitario che sparava da una finestra, colpendo un obiettivo in movimento. È anche possibile che a sparare non sia stato lui; però quando sono partiti quei colpi Oswald era sicuramente al sesto piano del deposito di libri della Texas School».
È plausibile che Oswald, noto tra i Marines come scarso tiratore, sia riuscito a far raggiungere il bersaglio alla «pallottola magica» che causò sette ferite complessive tra Kennedy e Connally, il governatore del Texas?
«Molti sostengono che l’unica postazione dalla quale si poteva ottenere la visuale per uno sparo e una traiettoria compatibili con quelle ferite fosse la staccionata nei pressi della collinetta erbosa. Ma in nessun punto della Dealey Plaza sono state rinvenute prove di un’altra arma da fuoco o proiettili diversi da quelli sparati dal fucile Carcano di Oswald».
Come spiega che all’inizio le autorità texane descrissero l’arma come una pistola Mauser 7.65, identificandola solo più tardi con il Carcano 91 acquistato per corrispondenza da Oswald?
«Tutti i test balistici hanno confermato che a uccidere Kennedy fu il Carcano. Quando fu arrestato con in tasca una pistola carica, dopo l’uccisione dell’agente di polizia Tippit, la sua mano risultò positiva al test dei nitrati: la prova che aveva sparato».
Che cosa rivela il famoso filmato del sarto Abraham Zapruder che riprende il momento dell’attentato?
«Dimostra senza ombra di dubbio che Kennedy fu colpito da due proiettili sparati da dietro, cioè dal deposito della scuola dove si trovava Oswald, come confermò la seconda commissione secondo cui il cecchino o i cecchini nel Grassy Knoll mancarono il bersaglio. Ripeto: è assolutamente plausibile che Oswald agisse con altri, ma ciò non prova il mandante di Cia, Johnson o mafia».
Secondo alcuni Jfk sarebbe stato ucciso dall’industria bellica, preoccupata di un possibile disimpegno in Vietnam.
«Nonsense. Anche se oggi amiamo pensare che Kennedy non intendesse impelagarsi in Vietnam, non esiste prova che volesse ritirarsi. L’allora segretario della difesa Robert MacNamara credeva fortemente in quella guerra e lo stesso Kennedy aveva aumentato le truppe».
Chi poteva volere la sua morte? Nel corso degli anni si sono ipotizzati mandanti di ogni genere, inclusa la destra che lo accusava di appeasement nei confronti dell’Urss.
«L’unica pista cospiratoria secondo me plausibile è quella sovietico-cubana. Oswald aveva vissuto in Urss ed è possibile che Castro, deciso a vendicarsi per la tentata invasione della sua isola, non sia riuscito a reclutare candidati migliori in America. Ciò spiegherebbe come mai in mezzo secolo non siano emerse gole profonde come il Mark Felt dello scandalo Watergate. Il regime dell’Avana è l’unico in grado di garantire il silenzio totale».
Eppure molti si sono fatti avanti per denunciare intimidazioni, soppressioni di prove e persino la morte di testimoni in circostanze misteriose.
«È un intrigo troppo ricco di contraddizioni questo, per non generare infinite teorie cospiratorie. In America oggi c’è gente convinta che John Wilkes Booth non abbia agito da solo nell’uccidere il presidente Lincoln, ma sia stato il sicario di Edwin Stanton, che voleva prendere il suo posto».
In una recente intervista il figlio di Robert Kennedy ha rivelato come suo padre fosse convinto che Oswald non avesse agito da solo. E Jackie sospettava il coinvolgimento di Johnson.
«Anche John Kerry crede nel complotto e così moltissimi altri americani. In ogni indagine criminale ci sono errori e il “sentito dire” diventa verità. Sotto lo stress e l’eccitazione di un delitto, i testimoni tendono a fornire cronache dei fatti errate, travisando ciò che hanno visto e sentito. Nonostante il modo in cui i miei thriller sono scritti, nella mia pluridecennale attività di penalista ho imparato che dietro i crimini più complessi e all’apparenza insolubili, la verità è sempre la più semplice».
Ma allora chi ha ucciso Kennedy?
«Forse non lo sapremo mai. L’unica cosa certa è che nella nostra era di Instagram e Twitter la verità verrebbe a galla subito, anche se ciò non impedirebbe alla gente di costruire teorie alternative, affermando che foto e documenti sono stati manomessi digitalmente».
Alessandra Farkas