20 novembre 2013
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Biografia di Francesco Belsito
• Genova 4 febbraio 1971. Politico. Sottosegretario alla Semplificazione nel Berlusconi IV (dal febbraio 2010 al novembre 2011). Ex tesoriere della Lega Nord, si dimise nell’aprile del 2012 perché indagato per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato nell’inchiesta milanese sulle distrazioni dei fondi del partito, utilizzati, secondo l’accusa, anche per le spese personali di Umberto Bossi e dei suoi familiari. Il 24 aprile 2013 fu arrestato per appropriazione indebita, riciclaggio, truffa e false fatturazioni. Prima in carcere, poi agli arresti domiciliari, è tornato libero nell’ottobre 2013 per decorrenza dei termini della misura cautelare.
• «Da volenteroso e diligente autista di Alfredo Biondi (“non gli davo una lira”), proprio lui che a 22 anni era stato condannato a un mese e 10 giorni per guida senza patente, a sottosegretario alla Semplificazione ben remunerato. Da buttafuori e animatore della discoteca genovese Cezanne a vicepresidente di Fincantieri. Da giovane squattrinato simpatizzante di Forza Italia a custode dei segreti finanziari della Lega. Straordinariamente rapida l’ascesa, e altrettanto veloce la discesa, per Francesco Belsito, quarantunenne genovese, tesoriere del Carroccio indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato e appropriazione indebita. La leggenda narra che sia riuscito a ingraziarsi Umberto Bossi e il suo cerchio magico portando focacce e vino in via Bellerio. Quel che è certo è che c’è riuscito soprattutto diventando l’ombra di Maurizio Balocchi, l’ex tesoriere, seguito e accudito anche durante la malattia, fino alla scomparsa del 2010. Macinare chilometri e deferenza ha portato bene al giovane Belsito, ma il percorso non è stato privo di intoppi: diplomi traballanti, lauree fittizie, abuso di Porsche, fallimenti societari, amicizie compromettenti. Il colpo più eclatante, qualche settimana fa, con la notizia dei sette milioni di fondi padani investiti creativamente in Tanzania e a Cipro. (…) Il giovane Belsito si avvicina a Balocchi nel 2002. Ma è solo tre anni più tardi che ne diviene il fedele assistente. Una carriera che, come accade spesso nella Lega, passa per la vicinanza al Capo. Belsito non manca mai quando Bossi va in vacanza ad Alassio: lo accompagna al Bar Lido e offre volentieri il palmo della mano per il consueto “diretto” scherzoso del Senatur. L’ex autista alterna le sortite politiche, come la mobilitazione contro il minareto al Lagaccio, a quelle folcloristiche, come la partecipazione al Raduno nautico padano, presenti Renzo Bossi e Roberto Castelli. Tutti in muta appassionatamente davanti al “mar di Padania” e poi in delegazione a rendere omaggio alla tomba di Balocchi. Le cronache del Secolo XIX, per la rabbia di Bruzzone, lo tallonano da vicino. La Porsche Cayenne di Belsito (nel garage, ne aveva altre due di Porsche), in sosta nei parcheggi riservati della Questura, non passa inosservata. Lui si difende: “Sono autorizzato per motivi di sicurezza”. In effetti è sotto protezione per un proiettile ricevuto e la scritta “bastardo razzista”. Poi c’è la “doppia” laurea. Sul sito del governo risulta dottore in Scienze politiche. Nel curriculum della Regione, invece, laureato in Scienze della comunicazione. Lui spiega che i titoli sono stati presi a Malta e a Londra (ma sono istituti non riconosciuti). A casa di Ruby Rubacuori spunta, misterioso, un suo biglietto da visita. Il malessere cresce, ma aumenta anche la vicinanza al cerchio magico: a Manuela Marrone e a Rosi Mauro. Si moltiplicano gli incarichi: vicepresidente della Fincantieri, consigliere della Filse (la cassaforte della Regione), amministratore della Editoriale Nord (che edita la Padania). Nel suo curriculum, non esattamente in evidenza, ci sono anche le partecipazioni a due società poste in liquidazione. (…) Ai cronisti genovesi raccontava di essersi diplomato al Palazzi, in città. Ma in realtà il diploma sarebbe stato preso (o inventato) in una scuola di Frattamaggiore (Napoli) specializzata in “recupero anni”: secondo i carabinieri, il nome di Belsito non era nell’elenco degli esaminandi e la firma del preside non corrispondeva. La carriera professionale gli riserva altri guai. Un curatore fallimentare lo accusa di essersi intascato centinaia di milioni di lire, Belsito viene coinvolto in due crac e viene segnalato in un giro di amicizie “pericolose”. Davanti ai magistrati ammette anche una bizzarra pratica: “Sì, facevo regali ai finanzieri, ma non mi sembrava una forma di corruzione”. Di fronte alla valanga di scandali, Umberto Bossi non muove un dito, difendendo anzi Belsito: “È un buon amministratore, ha scelto bene come investire, non in Africa ma in Norvegia”. Eppure lo stesso Senatur dice di non conoscere la destinazione dei soldi leghisti. Così come Roberto Castelli e Piergiorgio Stiffoni, che lo affiancavano nel Comitato degli amministratori. I magistrati parlano di fondi per la ristrutturazione della villa di Bossi e per la campagna di Renzo. E di contatti con la ’ndrangheta. Accuse tutte da provare, ovviamente. A rileggerla oggi, la Padania, fa una certa impressione. L’inviato ad Alassio, nel 2010 definiva così Belsito: “Un ligure doc. E dunque uno che con i numeri ci sa fare”» (Alessandro Trocino) [Cds 4/4/2012].
• «Il caso dell’ex cassiere della Lega aveva causato un terremoto nella Lega, portando alle dimissioni di Umberto Bossi e all’espulsione di diversi fedelissimi del Senatur come Rosi Mauro, all’epoca vicepresidente del Senato, e lo stesso Belsito» (Lib 24/10/2013).
• «Per i pm, oltre ai 7,5 milioni di euro – tutti i soldi del Carroccio – che tentò di portare in Tanzania, a Cipro e in Norvegia per alcuni investimenti, Belsito distrasse dai conti del partito anche 400 mila euro per comprare oro e diamanti. Il 17 aprile del 2012, parte di questo gruzzolo tornò poi nei forzieri leghisti: l’ormai ex tesoriere, attraverso il suo legale, restituì 11 diamanti per un valore di 100 mila euro e 11 lingotti d’oro per un peso totale di 5 chili» (Cds 8/4/2013).
• È stato arrestato all’alba del 24 aprile 2013: «Belsito, che era indagato a piede libero per truffa ai danni dello Stato, finisce in carcere per associazione a delinquere, appropriazione indebita e riciclaggio. Insieme a lui l’ordine di custodia chiesto dalla procura di Milano raggiunge altre tre persone tra cui Stefano Bonet, l’intermediario della Lega per gli investimenti in Tanzania. In cella anche Romolo Girardelli, detto “l’ammiraglio”, procacciatore d’affari genovese che – secondo le procure di Milano e Reggio – costituisce il punto di contatto tra Belsito e alcuni esponenti della ’ndrangheta calabrese, in particolare la famiglia De Stefano. (…) Secondo l’ordine di custodia i quattro “si associavano tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati di appropriazione indebita, riciclaggio, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche”. Belsito avrebbe agito “quale tesoriere della Lega Nord e sottosegretario alla presidenza del Consiglio, vicepresidente di Fincantieri (società controllata dallo Stato) in grado di influenzare le decisioni di istituzioni e grandi imprese pubbliche e private e quali ad esempio Fincantieri, Siram, Grandi Navi Veloci in forza del potere politico derivante dalle cariche rivestite”. Otto milioni l’importo complessivo contestato ai quattro» (Luca Fazzo) [Grn 24/4/2013].
• «Il bancomat di casa Bossi, oltre a saldare i conti personali del Senatur, lavorava in proprio. “Utilizzava – sostiene il gip di Milano Gianfranco Criscione – la propria influenza politica per procurare commesse in tutto o in parte fittizie”. (…) L’indagine muove i suoi primi passi nel dicembre del 2011, quando sui giornali si scopre che la Lega ha investito il proprio patrimonio di rimborsi pubblici elettorali, in una spregiudicata operazione in Tanzania in diamanti. Belsito, all’epoca semisconosciuto tesoriere del Carroccio, finisce nel mirino. Nel giro di pochi mesi, emergono altre operazioni scellerate compiute dall’ex portaborse genovese convertito al dio Po, e soprattutto le spese personali che Umberto Bossi e la sua famiglia faceva con i soldi del partito. Belsito, lo stesso Bossi e due suoi figli finiscono indagati per appropriazione indebita. E proprio sulle operazioni finanziarie fatte da Belsito che si concentra il lavoro di due procure: Napoli e Reggio Calabria, mentre a Milano viene trasferito il filone sulla gestione della cassa della Lega. (…) Dopo che erano emersi i maldestri investimenti in Tanzania dei fondi della Lega, Francesco Belsito finisce nella bufera, espulso dal partito» (Emilio Randacio) [Rep 25/4/2013].