19 novembre 2013
Tags : Valerio Battista
Biografia di Valerio Battista
• Arezzo 8 gennaio 1957. Manager. Ingegnere. Dal 2005 amministratore delegato di Prysmian, nel 2010 fu uno dei sei italiani inseriti dalla rivista Institutional Investor nella classifica denominata “All Europe Executive Team”.
• «È nato e cresciuto dentro la Pirelli, un gradino alla volta. Ha iniziato a Sesto Fiorentino, ha fatto il pendolare tra Italia e Germania, è diventato direttore acquisti globale per i pneumatici a 44 anni. Fino a quando a inizio 2002 – l’inverno dopo la tragedia delle Torri gemelle – è squillato il cellulare e la sua vita è cambiata dalla sera alla mattina. Marco Tronchetti Provera, appena entrato nella stanza dei bottoni di Telecom Italia, gli ha proposto di prendere le redini della divisione cavi del gruppo. “Un mondo che non conoscevo per niente”, ammette Battista oggi, ricordando la tensione di quei primi giorni passati fino a tarda sera in ufficio per studiare la sua nuova creatura. Quando ha capito cosa si era ritrovato tra le mani, gli sono tremati i polsi: la campagna acquisti del suo predecessore Giuseppe Morchio (“senza la quale però non saremmo la realtà che siamo oggi”) gli ha lasciato in eredità un’azienda con 40 milioni di ebitda e 600 milioni di debiti. (…) Nel 2004 l’area cavi della Bicocca “era già una realtà ripulita e rimessa in piedi”. (…) Tronchetti Provera, costretto a sacrificare qualche gioiello di famiglia per far quadrare i conti del gruppo dopo lo sboom di Telecom, ha fatto allora l’errore che forse non si è mai più perdonato. Ha acceso un faro sul perimetro del gruppo e ha deciso di tenersi stretti i mattoni della Prelios (a che prezzo si è capito dopo) e dare l’addio al business dei cavi. “Ci aveva promesso di non venderli a un concorrente ed è stato di parola”, dice l’ingegnere aretino. Goldman Sachs ha messo sul piatto 265 milioni di dollari, ha costituito il veicolo Prysmian e ha chiesto a Battista di imbarcarsi nell’avventura. “E il 28 luglio del 2005, con una certa dose di incoscienza, mi sono trovato davanti a tre tavoli a otto posti coperti di documenti da firmare per sbloccare il prestito da 1,056 miliardi necessario per far partire l’operazione”. Il giorno dopo, ammette il supermanager, “mi sono svegliato con un po’ di mal di testa”» (Ettore Livini) [Rep 5/11/2012].
• «È il capo di un’azienda da 3,7 miliardi di fatturato (...) e nell’anno della crisi globale non ha licenziato neanche uno dei suoi 12 mila dipendenti (dato del 2010, ndr). Nei due settori dove opera è il numero uno e due del mondo (...) la Prysmian, un colosso dei cavi che trasportano energia e telecomunicazioni in un capo e nell’altro del globo, via terra e sotto il mare. Un tempo apparteneva alla Pirelli. Nel 2005, per sostenere i debiti contratti per la Telecom, Marco Tronchetti Provera l’ha venduta a un fondo di private equity della banca Goldman Sachs per 1,3 miliardi. Per entrare al suo quartier generale, si passa ancora oggi dal vecchio portone Pirelli alla Bicocca. Ma per fatturato e capitalizzazione la Prysmian è diventata più grande della sua ex padrona. Il fondo della Goldman Sachs, che l’ha portata in borsa nel 2007, se n’è andato definitivamente il 4 marzo 2010. Dal giorno dopo la Prysmian non ha più un azionista di riferimento. Caso quasi unico in Italia, è diventata una public company, una vera società a capitale diffuso. I soci più grossi, una decina di fondi blasonati, hanno quote intorno al 2 per cento. Gli altri, che sono la maggior parte, meno ancora» (Alessandra Gerli) [Pan 15/4/2010].
• «L’elettricità che da Pittsburgh arriva a San Francisco correndo per 80 chilometri sotto le acque dell’omonima Baia. Quella che va dai parchi eolici in pieno Mar del Nord, a 23 km dalla costa di Suffolk, alla terraferma inglese. Ancora: i dati trasmessi dalla Nbn, la società governativa che sta costruendo la rete in banda larga australiana. E quelli che attraverseranno l’Amazzonia lungo il margine sinistro del Rio delle Amazzoni. Tutti questi bit e megawatt hanno una cosa in comune: viaggiano su cavi prodotti da una multinazionale italiana con base a Milano: la Prysmian. Non di rado si tratta di cavi usciti da uno stabilimento in prossimità di Napoli» (Lorenzo Dilena) [Ink 31/10/2012].
• «(…) Battista sa farsi capire meglio di un manuale della Harvard school. Almeno a giudicare dai risultati della Prysmian, leader mondiale dei cavi, la formula funziona: 22 mila dipendenti, 17 centri di ricerca, 50 paesi serviti dai cavi per l’energia e le comunicazioni che escono dai 97 stabilimenti, che sfornano un filo infinitamente lungo (200 milioni di chilometri nel solo 2011) di fibre infinitamente piccole, su cui scorre il flusso delle informazioni, cioè il centro della nostra società. La redditività è al top del settore (…). Un piccolo-grande miracolo italiano cresciuto in meno di 10 anni da una grande scuola, la Pirelli, ma laureatosi all’università del private equity, nientemeno che la Goldman Sachs, prima di approdare con successo in borsa per la gioia di tanti piccoli azionisti. Perché la Prysmian è davvero una public company, così come ce ne sono tante a Wall Street ma solo una, ahimè, parla italiano. Anche se pensa in chiave mondiale, per niente sazia di avere conquistato la vetta del mercato dopo l’acquisto, un anno fa (2011, ndr), della concorrente Draka, in terra d’Olanda. (…) E la Prysmian, che ormai detiene dopo l’acquisto della Draka l’unica tecnologia per le fibre ottiche made in Europe, si accinge a sfidare un po’ dappertutto, dal Brasile (“In cui siamo di casa”) alla Cina (“Dove siamo primi, ma la competizione è agguerrita e i margini sono bassi”), i concorrenti Usa, giapponesi e gli stessi cinesi. Mica si conquista per caso una leadership mondiale. Occorre essere pronti a piazzare i tradizionali cavi in rame in paesi emergenti e meno avanzati, ma anche a servire la nuova rete ad alta velocità che connetterà l’intero territorio australiano. O a cablare il nuovo World trade center di New York, piuttosto che a tendere 1.000 chilometri di cavi ottici a Novosibirsk, metropoli siberiana. Si contano sulla punta delle dita le aziende italiane che hanno l’ambizione e i mezzi per essere cacciatore e non preda nel mercato globale» (Ugo Bertone) [Pan 5/5/2012].