18 novembre 2013
Tags : Nadia Battajon
Biografia di Nadia Battajon
• Treviso 8 maggio 1967. Medico. Esperta in Patologia neonatale all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, nel novembre 2008 fece scalpore rivelando a un convegno di aver staccato la spina a 4-5 neonati («Anche i neonati, come gli adulti, hanno diritto a una fine dignitosa. Ed è al punto di non ritorno che si decide di sospendere la terapia farmacologica. Inutile. Questo ho fatto e nient’altro»).
• «Il racconto della neonatologa (...) è stato riassunto e raccontato dal Corriere del Veneto, suscitando clamore, polemiche e l’intervento della magistratura. Ma anche la reazione dei dirigenti di Ca’ Foncello (...) e della stessa Battajon, pronti a respingere l’etichetta di “fuorilegge”. A supporto della loro linea, citano documenti ministeriali sulle cure palliative e i limiti dell’accanimento terapeutico. Il fatto è che, di questi tempi (si veda il caso Englaro), la materia è incandescente. La neonatologa, dunque, prendendo spunto dal caso di un bebè di cinque giorni, affetto da gravissime malformazioni e “senza alcuna speranza di vita”, ha voluto sottolineare come l’équipe di Ca’ Foncello (...) ha attivato un protocollo interno da seguire di fronte a situazioni estreme. In sintesi: che fare, terapeuticamente ed umanamente, quando i neonati prematuri (e non) evidenziano patologie incurabili. “C’è una qualità della vita e una qualità della morte – afferma –. Dobbiamo garantire entrambe”. E spiega come nel suo reparto, nel momento cruciale (“è successo quattro o cinque volte”), vengono coinvolte le madri dei piccoli, così da prepararle all’evento inevitabile del trapasso. “La decisione finale spetterebbe comunque al medico – puntualizza –. In casi come questi, la linea deontologica da seguire non si presta ad equivoci. Il documento più recente del Comitato di Bioetica neonatale e pediatrica (gennaio 2005) ritiene non solo lecito, ma doveroso, interrompere trattamenti medici privi di qualsiasi prospettiva terapeutica”. I neonatologi dell’ospedale trevigiano, però, vanno oltre. “Spieghiamo ai familiari che è sopraggiunto il punto di non ritorno – dice Nadia Battajon –. Quindi, riduciamo fino a interromperla la terapia farmacologica, mantenendo il bimbo intubato, ventilato e sotto analgesici. Così, senza soffrire, si spegne nelle braccia della mamma” (...) Se un genitore dicesse no, se volesse insistere con le cure (...) che risponderebbe? “Per fare che? Allungare le sofferenze del bambino?”» (Marisa Fumagalli) [Cds 23/11/2008].