18 novembre 2013
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Biografia di Eugenio Baroncelli
• Rimini 3 giugno 1944. Scrittore. Nel 2011 ha vinto con Mosche d’inverno (Sellerio) il premio Mondello. Ultimo libro: Pagine bianche. 55 libri che non ho mai scritto (Sellerio, 2013).
• «(...) Di lui sappiamo poco: che è nato nel 1944 e vive a Ravenna; nei suoi stessi testi, poche, elusive notizie sui genitori [...] sappiamo che pubblicò un primo libro, Outfolio, a sessantun anni, e un secondo, Libro di candele, nel 2008, assai simile al terzo, Mosche d’inverno (...) Questi ultimi due li ha pubblicati Sellerio: Libro di candele ha come sottotitolo: “267 vite in due o tre pose”; Mosche d’inverno: “271 morti in due o tre pose”» (Franco Cordelli) [Cds 15/1/2011].
• «Il suo è un esordio tardivo, che cos’ha fatto prima di iniziare a scrivere? “Ho vissuto! E poi scrivevo libri specialistici che parlavano di cinema. In particolare teoria del cinema. Quei libri lì contano o non contano? Erano vagamente strutturalisti, vagamente lacaniani, adesso mi sembrano scritti da un altro. All’epoca, nel ’68, si poteva essere lacaniani un giorno, strutturalisti il successivo... Quando uscì il numero monografico di Tel quel (celebre rivista francese di letteratura, politica e filosofia) dedicato a Mao, diventammo tutti maoisti. (...) Mi piaceva leggere fin da ragazzino. Ho un biblioteca da 6000 volumi e quando ho fatto l’ultimo trasloco mi sono disperato (...) Abito a Ravenna. A Ravenna si può vivere una vita walseriana, tutta nell’ombra. Robert Walser era il genio dello stare in disparte. Però mi piacciono alcuni luoghi, certi alberghi, come l’hotel delle Palme a Palermo, e certi cimiteri, anche se detesto quelle piantine che ti danno all’ingresso, per orientarti tra le tombe. (...) Borges è un modello. Il suo Storia universale dell’infamia soprattutto. Ma anche José Lezama Lima, e Adolfo Bioy Casares. (...) Ho insegnato in un liceo, italiano e latino. Mi piaceva insegnare, perché insegnare vuol dire imparare. Seneca diceva che il buon maestro è quello che impara dal suo allievo. Ma non mi piacciono molto i professori, specie i professori che fanno gli scrittori. Non mi piace la pedanteria. L’autorità non deve mai diventare stile. (...) Io penso che scrivere vuol dire invecchiare. Che è una cosa che a me riesce benissimo anche senza scrivere. Del resto io non sono uno che vive per scrivere. Io vivo per vivere (...) Per me Internet non esiste. Passo le giornate dentro le biblioteche, e mi piace molto. A Ravenna c’è una delle più importanti biblioteche di Europa, la Classense, che nasce da un monastero e possiede persino un incunabolo di Aristotele. La frequento spesso. Prendo appunti. Seduto, nel silenzio. Non come Hemingway che scriveva in piedi davanti a un banco del bar, o piegato con la macchina da scrivere sulle ginocchia. Per me il metodo di lavoro è fondamentale. Al metodo ti affezioni, con una specie di idolatria. Stare in quel posto, con quei libri, con quel disordine calcolato, in quelle ore lì. È una superstizione che ti tiene in vita. Non leggerei mai un libro elettronico. Mi fa orrore. Mi piace avere libri di carta, metterli in ordine. Organizzare la libreria rivela il tuo modo di vivere ”» (Rep 1/8/2011).
• «“Si sa cosa capita a chi racconta la vita di un altro: che poi perde la sua”, scrive Eugenio Baroncelli, scrittore di Ravenna, biografo di mille vite. I suoi libri sono una delizia. Uso questo termine, sicuramente improprio, per rendere in sintesi il piacere di leggere ciò che scrive. Avere tra le mani un suo libro significa questo: toccarlo, aprirlo e leggere tutto, a partire dalla fine, dall’indice. Mi si chiederà cosa ci sia di così diverso da un qualsiasi libro si abbia tra le mani. Tutto rispondo. E se non tutto, molto. (…) Leggere Baroncelli è come leggere un quotidiano ben scritto, ricco di storie, anche di quelle che non restano, di quelle che durano un giorno e che poi nessuno ricorda più. (…) Raccontare una biografia, raccontarne cento, farne una raccolta, ha senso solo perché tutte hanno in comune davvero un solo punto: la morte. Quindi la raccolta di vite espressa attraverso parole, altro non è che la massima celebrazione, senza utilizzare alcuna parola, di quanto rende tutti gli uomini uguali: ciò che non è più vita. (…) I suoi tre libri di biografie – Libro di candele: 276 vite in due o tre prose (Sellerio 2008), Mosche d’inverno: 271 morti in due o tre prose (Sellerio 2010) e Falene: 237 vite quasi perfette (Sellerio 2012) – li porto in borsa da molto tempo. Da poggiare sui comodini dove mi capita di dormire. Leggo una biografia a notte e ogni volta ho l’impressione di aver conosciuto, davvero conosciuto, una persona diversa. Perché Baroncelli è un virtuoso della vita altrui. Perché divora migliaia di pagine per partorire una stilla di cristallo o una pietra dura. Osserva vite e ne riporta tracce altissime, talvolta infime o persino ordinarie» (Roberto Saviano) [Esp 7/9/2012].
• «Si dedica a una letteratura così bizzarra che è anche difficile definirla: scrive minuscole biografie di persone note o sconosciute, soggetti raccolti in volume, epifanie di grazia e intelligenza» (Elena Stancanelli) [Rep 18/6/2012].
• «Con quella faccia da commendatore paolocontiano tutto impermeabile, sigaro e savoir faire, Eugenio Baroncelli – riminese che vive a Ravenna – si presenta così: “Io sono per la brevità”. (…) “Sa che io ho la fobia delle falene? (…) Giuro, l’ho scoperta da ragazzo. E le ho studiate seriamente, non ha idea di quante ne esistano. Andò in questo modo: era una sera d’estate, stavo in un albergo milanese, e rientrando, ne vidi una, innocua e inoffensiva, lì, nera sulla parete bianca. Nella sua fatuità, mi terrorizzò. Scesi nella hall, c’era un tizio che dormiva sulla Gazzetta. Gli chiesi aiuto e lui mi guardò come si guarda un matto. Ma non è finita”. È incredibile, ma non è finita davvero – non ancora. “Andai da uno psicanalista freudiano ortodosso, per capire questa fobia assurda. L’infanzia, i simboli, eccetera. Bè, non ne uscimmo. Poi lui cominciò a raccontarmi i suoi casini e io cominciai a dargli qualche consiglio. Morale della favola? Non ho mai saputo da cosa derivi la mia fobia per le falene”» (Marco Archetti) [Cds 14/3/2013].