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 2013  novembre 17 Domenica calendario

Il Pdl, o Popolo della Libertà, non esiste più. Al suo posto ci sono adesso due formazioni politiche

Il Pdl, o Popolo della Libertà, non esiste più. Al suo posto ci sono adesso due formazioni politiche. La prima si chiama Forza Italia ed è guidata da Silvio Berlusconi. La seconda si chiama Nuovo centrodestra ed è guidata da Angelo Alfano. La prima andrà all’opposizione. La seconda continuerà a sostenere il governo Letta.

Lei non lo dice, ma questo è il frutto della scissione. Da due giorni i quotidiani titolano: «Spaccatura nel centro-destra» con quel che segue.
Sì, è così. Si tratta di una scissione. La mattina del 2 ottobre, come ricorderà, Berlusconi s’era svegliato deciso a buttare giù Letta, argomentando che non si poteva restare alleati di un partito - il Pd - che avrebbe votato la sua decadenza da senatore. Ma, giunto in Senato, era stato affrontato da Alfano, Sacconi, Cicchitto, Giovanardi, Formigoni. Costoro gli avevano spiegato che non avrebbero votato contro il governo. Schifani, capogruppo a Palazzo Madama, gli annunciò che avrebbe obbedito e votato contro, salvo lasciare subito dopo il partito. Spaventato dalla spaccatura in arrivo, il Cav aveva cambiato idea all’ultimo minuto e, terreo in volto, aveva soprendentemente annunciato che avrebbe votato la fiducia. Da allora e fino a venerdì scorso è stato un susseguirsi di incontri e di tentativi estenuanti di arrivare a una mediazione, a un punto d’incontro. L’ultimo venerdì: Alfano e gli altri, le cosiddette “colombe” o “governativi”, hanno posto come condizione del loro passaggio a Forza Italia la permanenza del nuovo partito nella maggioranza di governo e una presenza al vertice degli alfaniani (una vicepresidenza, oppure un ruolo di coordinatore) che garantisse una parola pesante sulla futura formazione delle liste e sul governo del partito. Condizioni da accettare per iscritto. Berlusconi avrebbe anche ceduto, ma i falchi, dall’altro canto, hanno risposto: «Non se ne parla nemmeno». E quindi ieri mattina, al Palazzo dei Congressi dell’Eur, lo stesso da dove il Cavaliere aveva cominciato la sua avventura politica, Berlusconi ha annunciato la nascita di Forza Italia e, nello stesso momento, il divorzio dai governativi: «Non abbiamo più i numeri per far cadere il governo Letta, dopo la decisione di 23 nostri senatori del 2 ottobre, e perché ci sono senatori dei cinque stelle, capitati lì per caso a 14 mila euro al mese, che non sarebbero disposti a perdere il titolo di senatore e l’assegno».  

Gli scissionisti sono 23?
No, sono 56. 26 alla Camera e 30 al Senato. È un numero che sembra destinato a crescere.  

Che discorso ha fatto Berlusconi?
Diamo per conosciuti gli attacchi ai comunisti e ai magistrati. I punti davvero importanti sono due: la svolta anti-euro, molto netta, e i toni morbidi verso gli scissionisti, con i quali Berlusconi immagina comunque una futura alleanza elettorale.  

Parlando male dell’euro, Berlusconi intercetta un sentimento crescente. E si mette di traverso sulla strada di Grillo.
Intanto il Cavaliere individua nell’Europa un nemico vero, che ha brandito lo spread («un vero imbroglio: a Merkel e Sarkozy davo fastidio») come un’arma per abbatterlo. Oltre a questo, c’è la definizione dell’euro come «moneta straniera» e il giudizio negativo sul governo Letta, «non vedo attualmente ministri che trattano queste questioni con il necessario coraggio e statura. Non possiamo pensare che leggi finanziare come l’attuale legge di stabilità possano portare ad alcun minimo risultato». Nell’intemerata contro la moneta unica viene coinvolto anche Monti: «Il signor Monti si è messo in ginocchio di fronte alla Germania» (non ha nessuna importanza che a un certo punto Berlusconi gli avesse offerto la guida del centrodestra). «Il governo deve andare in Europa a ridisscutere il fiscal compact. Bisogna cambiare la missione della Bce e questa politica di austerità. Per noi l’euro è una moneta straniera. Siamo come l’Argentina che emetteva bond in dollari». Berlusconi ha anche difeso il Porcellum («brutto nome, ma non è una cattiva legge elettorale») e annunciato che di fronte a un governo Pd-Cinquestelle «molti di noi saranno coistretti a espatriare».  

• E Alfano?
Il Cav non lo ha mai nominato, salvo dire più tardi a un parlamentare: «Di tutti gli altri non mi interessa ma di Alfano ci sono rimasto male. Lo consideravo come un figlio...». Alfano lo ha contraccambiato: nei discorso ai giornalisti tenuto nella sede della stampa estera, ha ricoperto il suo ex capo di elogi anche commossi. «Ho profonda stima e gratitudine per Berlusconi e gli sono riconoscente. Credo di aver fatto tutto per evitare questa scelta dolorosa. Ho avuto tantissimo da Berlusconi e io, nel mio piccolo, credo di aver dato tutto. Ho un rapporto di grande vicinanza. A me è capitato tante volte, da figlio, di litigare con mio padre e di dissentire. Spesso aveva ragione lui, altre volte io, ma in ogni caso è proseguito il rapporto di grande amore e rispetto. Spero che con il presidente Berlusconi, nei cui confronti ho l’atteggiamento di colui che ha ricevuto tanto e dato nel mio piccolo tutto, che il rapporto resti saldo». Quanto a Enrico Letta, l’appoggio è garantito: il governo delle ex larghe intese, ha detto, deve restare in piedi fino alla fine del 2014 e solo a quel punto essere giudicato.