Corriere della Sera, 16 novembre 2013
Tags : Banksy a New York
Tutti pazzi per Banksy un artista invisibile a New York
Corriere della Sera
Un mese di installazioni, eventi intrisi del suo spirito beffardo, apparizioni improvvise (e mascherate). I cinque quartieri della metropoli, da Lower Manhattan al Bronx, disseminati di sculture precarie come un castello di carte e di disegni murali comparsi nella notte e subito vandalizzati, rubati. Oppure protetti con guardie private e coperture di plexiglass dai proprietari degli edifici scelti dall’artista inglese. Finisce oggi, giorno di Halloween, la «performance» di Banksy a New York.
Lui la festa dei morti viventi l’ha celebrata con una settimana d’anticipo: si è fatto riprendere (e poi ha messo sul suo sito «Better Out Than In» che ha certificato, giorno dopo giorno, l’autenticità delle scorribande) mentre guida un autoscontro vestito da angelo della morte, mantello nero e volto coperto da un teschio.
Un mese da «tutti pazzi per Banksy» con folle di fan a correre su e giù per la città, cercando di vedere la sua ultima silhouette murale prima dell’arrivo dei vandali. O, magari, di poliziotti e imbianchini comunali decisi a cancellare l’opera d’arte abusiva. Perché il misterioso disegnatore britannico, le cui opere di street art sono state sistematicamente vandalizzate dai graffitari locali, è stato a sua volta definito un vandalo dal sindaco Michael Bloomberg, assai rancoroso e suscettibile in questi ultimi giorni del suo mandato.
Banksy gli ha indirettamente e ironicamente risposto con la sua ultima opera definita da lui stesso un atto vandalico. È un quadro a olio che Banksy ha comprato da un rigattiere per 50 dollari. Ritrae una banale scena di quiete autunnale: una panchina e degli alberi sulle rive di un lago con uno sfondo di montagne. L’artista ha dipinto sopra la figura di un soldato in divisa nazista, seduto in contemplazione. Poi ha intitolato l’opera «vandalizzata», «La banalità della banalità del male» e l’ha fatta trovare sulla porta di una fondazione non profit che aiuta i senzatetto della zona. Messo all’asta, il quadro è stato offerto a 76 mila dollari e già ieri mattina c’erano offerte superiori ai 200 mila dollari. L’asta termina oggi e qualcuno prevede prezzi stellari, forse fino a un milione di dollari.
Un finale in beneficenza dopo settimane di caccia all’uomo e di guerra dichiarata dei graffitari «autoctoni» che, quando hanno potuto, hanno coperto con scritte ingiuriose le silhouette nere di Banksy: odiato in quanto invasore straniero del loro spazio e perché campione di una street art molto più raffinata e discreta dei loro caratteri cubitali tra violente esplosioni di colore.
Un mese nel quale Banksy ha infilato di tutto: l’omaggio alle spogliarelliste dello Hustler Club (un uomo con un mazzo di fiori ritratto su una saracinesca del locale di Larry Flint) e l’editoriale contro la bruttezza del grattacielo costruito al posto delle Torri Gemelle, rifiutato dal New York Times . Fino alla bancarella a Central Park sulla quale Banksy ha venduto per un giorno intero a 60 dollari le sue opere (quotate decine di migliaia di sterline) a passanti ignari. Altra beffa riuscita, col filmato finito sui siti. Ma proprio qui Banksy comincia a perdere un po’ del suo fascino di «Primula Rossa». L’artista (la sua identità potrebbe essere quella di Robin Gunningham, nato a Bristol nel 1973, ma ci sono anche altre ipotesi) non si è mai mostrato, ma, se il mistero rimane, svanisce la fama di «lupo solitario»: le sue performance pubbliche a New York sono state protette da una squadra di collaboratori e guardie del corpo.
Mentre disegnava una delle sue silhouette, un fotografo è anche riuscito a riprenderlo, da lontano e di profilo, prima che fosse tappato un buco nella tenda protettiva: sembra effettivamente un 40enne.
Non è certamente lui l’ultrasessantenne della bancarella che vendeva Banksy (peraltro autentici). Solo una grande operazione commerciale per far salire il valore delle opere di un artista che forse nemmeno esiste come persona singola, sostengono gli scettici. Per esistere, probabilmente esiste. Ma forse sarebbe più giusto chiamarlo Banksy & Co.
Un mese di installazioni, eventi intrisi del suo spirito beffardo, apparizioni improvvise (e mascherate). I cinque quartieri della metropoli, da Lower Manhattan al Bronx, disseminati di sculture precarie come un castello di carte e di disegni murali comparsi nella notte e subito vandalizzati, rubati. Oppure protetti con guardie private e coperture di plexiglass dai proprietari degli edifici scelti dall’artista inglese. Finisce oggi, giorno di Halloween, la «performance» di Banksy a New York.
Lui la festa dei morti viventi l’ha celebrata con una settimana d’anticipo: si è fatto riprendere (e poi ha messo sul suo sito «Better Out Than In» che ha certificato, giorno dopo giorno, l’autenticità delle scorribande) mentre guida un autoscontro vestito da angelo della morte, mantello nero e volto coperto da un teschio.
Un mese da «tutti pazzi per Banksy» con folle di fan a correre su e giù per la città, cercando di vedere la sua ultima silhouette murale prima dell’arrivo dei vandali. O, magari, di poliziotti e imbianchini comunali decisi a cancellare l’opera d’arte abusiva. Perché il misterioso disegnatore britannico, le cui opere di street art sono state sistematicamente vandalizzate dai graffitari locali, è stato a sua volta definito un vandalo dal sindaco Michael Bloomberg, assai rancoroso e suscettibile in questi ultimi giorni del suo mandato.
Banksy gli ha indirettamente e ironicamente risposto con la sua ultima opera definita da lui stesso un atto vandalico. È un quadro a olio che Banksy ha comprato da un rigattiere per 50 dollari. Ritrae una banale scena di quiete autunnale: una panchina e degli alberi sulle rive di un lago con uno sfondo di montagne. L’artista ha dipinto sopra la figura di un soldato in divisa nazista, seduto in contemplazione. Poi ha intitolato l’opera «vandalizzata», «La banalità della banalità del male» e l’ha fatta trovare sulla porta di una fondazione non profit che aiuta i senzatetto della zona. Messo all’asta, il quadro è stato offerto a 76 mila dollari e già ieri mattina c’erano offerte superiori ai 200 mila dollari. L’asta termina oggi e qualcuno prevede prezzi stellari, forse fino a un milione di dollari.
Un finale in beneficenza dopo settimane di caccia all’uomo e di guerra dichiarata dei graffitari «autoctoni» che, quando hanno potuto, hanno coperto con scritte ingiuriose le silhouette nere di Banksy: odiato in quanto invasore straniero del loro spazio e perché campione di una street art molto più raffinata e discreta dei loro caratteri cubitali tra violente esplosioni di colore.
Un mese nel quale Banksy ha infilato di tutto: l’omaggio alle spogliarelliste dello Hustler Club (un uomo con un mazzo di fiori ritratto su una saracinesca del locale di Larry Flint) e l’editoriale contro la bruttezza del grattacielo costruito al posto delle Torri Gemelle, rifiutato dal New York Times . Fino alla bancarella a Central Park sulla quale Banksy ha venduto per un giorno intero a 60 dollari le sue opere (quotate decine di migliaia di sterline) a passanti ignari. Altra beffa riuscita, col filmato finito sui siti. Ma proprio qui Banksy comincia a perdere un po’ del suo fascino di «Primula Rossa». L’artista (la sua identità potrebbe essere quella di Robin Gunningham, nato a Bristol nel 1973, ma ci sono anche altre ipotesi) non si è mai mostrato, ma, se il mistero rimane, svanisce la fama di «lupo solitario»: le sue performance pubbliche a New York sono state protette da una squadra di collaboratori e guardie del corpo.
Mentre disegnava una delle sue silhouette, un fotografo è anche riuscito a riprenderlo, da lontano e di profilo, prima che fosse tappato un buco nella tenda protettiva: sembra effettivamente un 40enne.
Non è certamente lui l’ultrasessantenne della bancarella che vendeva Banksy (peraltro autentici). Solo una grande operazione commerciale per far salire il valore delle opere di un artista che forse nemmeno esiste come persona singola, sostengono gli scettici. Per esistere, probabilmente esiste. Ma forse sarebbe più giusto chiamarlo Banksy & Co.
Massimo Gaggi