12 novembre 2013
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Come i servizi segreti usano i media
Tratto da Come i servizi segreti usano i media
di Aldo Giannuli, Ponte alle grazie, 2012
• L’ipotesi di un collasso contemporaneo e generalizzato del sistema informativo mondiale è molto remota, ma quella del collasso di un singolo paese lo è molto meno: un massiccio cyber-attacco potrebbe ottenere un effetto del genere. Dunque la tutela del sistema delle telecomunicazioni è in primo luogo un problema di ordine militare. E questo spiega perché la sorveglianza delle telecomunicazioni è una delle priorità assolute di qualsiasi apparato di sicurezza.
• Ogni giorno noi assumiamo decisioni sulla base delle informazioni che ci sono arrivate tramite i mass media e che si sono trasformate (più o meno consapevolmente) in giudizi consolidati. Qualche volta la decisione sarà determinata da informazioni private (ad esempio un amico bancario che ci avvisa del prossimo crollo delle azioni), ma la grande maggioranza delle informazioni proviene dai media direttamente o anche indirettamente (attraverso l’amico che ha letto il giornale o ascoltato quella tale trasmissione).
• Negli anni Cinquanta e Sessanta, la CIA si procurava la Pravda mentre ancora era in stampa e si faceva punto d’onore di stamparne un’edizione in inglese per il presidente, prima ancora che giungesse nelle edicole russe.
• Per quanto un servizio informativo possa essere forte, ricco e ramificato, non riuscirà mai a produrre neppure il 10% delle notizie prodotte dal sistema dei mass media. Solo in Italia i giornalisti iscritti all’ordine sono circa 100.000 di cui almeno 30.000 in servizio effettivo, cioè che svolgono effettivamente mansioni giornalistiche. I servizi segreti in totale hanno un organico intorno alle 20.000 unità, che, però, solo in parte si occupano della raccolta informativa. Pertanto non è eccessivo stimare il rapporto fra gli agenti dei servizi effettivamente impiegati in compiti informativi e i giornalisti in una proporzione di 1 a 6. E in altri paesi (come gli USA) il rapporto è ancora più sbilanciato a favore dei giornalisti.
• Ai tempi di Stalin, il capo della GPU Vjačeslav Menžinskij venne probabilmente avvelenato dal suo vice, Genrich Jagoda, che lo sostituì. Ma per poco, perché il suo vice, Nikolai Ivanovič Ežov, con la benedizione di Stalin gli fece le scarpe e lo fece fucilare. Ma nemmeno a Ežov andò bene, perché finì fucilato per ordine di Stalin, che gli preferì Lavrentij Berija, che a sua volta….
• Il compito principale dei servizi segreti è acquisire tutte le informazioni necessarie a tutelare gli interessi del loro dante causa, che può essere uno Stato o anche un privato (multinazionali, agenzie di rating o organizzazioni terroristiche e persino di organizzazioni criminali).
• Uno dei primi casi di «operazioni informative» dei servizi segreti avvenne proprio in Italia, fra l’estate del 1914 e la primavera del 1915: i francesi volevano che l’Italia entrasse in guerra e finanziarono una serie di giornali (fra cui Il Popolo d’Italia di Mussolini) per sostenere la campagna interventista, mentre i tedeschi brigavano (sempre corrompendo giornalisti e politici) perché quantomeno restasse neutrale.
• Nei primi anni della rivoluzione bolscevica la stampa occidentale si trovò esclusa dalla Russia, per cui i corrispondenti si concentrarono a Riga, in Lettonia, da dove cercavano di fare il loro mestiere raccogliendo notizie da nobili, pope e alti ufficiali in fuga dalla Russia. Risultato: Il New York Times tra il 1917 ed il 1919 raccontò 91 volte che il governo bolscevico era caduto; 4 volte che Lenin e Trotskij si stavano preparando alla fuga; 3 volte che Lenin e Trotskij erano fuggiti dalla Russia; 3 volte che Lenin era stato arrestato ed 1 volta che Lenin era stato ucciso.
• Dal punto di vista dei servizi segreti, il nodo strategico decisivo sono proprio le agenzie. Se si vuole diffondere o far sparire una notizia è molto più produttivo operare su tre o quattro agenzie di stampa (a volte ne basta una sola) che non cercare di intervenire su tutte le testate giornalistiche e televisive: un lavoro enorme e dispersivo che, per di più, espone al rischio di fuga di notizie sul tentativo del servizio. Il lavoro sulla singola testata verrà fatto in casi particolari, quando sia necessario e sufficiente operare su una testata particolarmente prestigiosa o come singolo sviluppo di una più ampia operazione, o ancora quando occorra un’azione di dettaglio su una determinata area politica o geografica. Ma, quando si lavora «all’ingrosso», è il mondo delle agenzie quello che serve.
• «Ricordo di aver conosciuto negli anni Settanta un giornalista bravissimo – anche se non esattamente uno stakanovista – che aveva un repertorio di pezzi «precotti», che scongelava in base alla stagione o alla tipologia di evento (sciopero generale, siccità, incidente sul lavoro, riapertura delle scuole e doppi turni ecc.) con i ritocchi necessari. A volte mandava l’articolo prima che il fatto si verificasse e poi se ne andava a passeggio. Così una volta mandò un pezzo su una manifestazione antifascista che si sarebbe svolta in serata: «1500 studenti, lavoratori e partigiani sono sfilati per le vie della città… gli slogan più gridati sono stati… alla fine della manifestazione tafferugli fra i giovani della FGCI e quelli di Lotta Continua». Perfetto, solo che nel pomeriggio un commissario di Polizia di Stato fu ucciso in un conflitto a fuoco con due malavitosi, per cui la questura chiese e ottenne che, in segno di lutto, la manifestazione fosse disdetta. Era tardi, per cui non si fece a tempo a fermare il pezzo e, all’indomani, il giornale dava notizia di una manifestazione mai avvenuta. Quello che è più divertente è che, in effetti, se la manifestazione ci fosse stata, le cose sarebbero andate esattamente in quel modo e anche gli incidenti fra FGCI e LC si sarebbero verificati come da copione».
• Negli anni Sessanta il quotidiano milanese Il Giorno (di proprietà dell’Eni) si collocava in una posizione fra PSI e sinistra DC aperta verso il PCI e pertanto era la punta progressista più avanzata della stampa di opinione. Era fra i primi quattro o cinque quotidiani per ordine di importanza e vendeva quasi 250.000 copie, anche se questo non copriva i costi, per cui nel 1971 il direttore Italo Pietra venne sostituito da Gaetano Afeltra. In realtà i motivi economici furono solo la copertura di un’operazione finalizzata a portare il quotidiano su posizioni più moderate. I lettori non gradirono: quando nacque la Repubblica molte firme del Giorno vi traslocarono e, con loro, anche moltissimi lettori.
• Il luogo di certe nomine sono determinati salotti, da dove poi si passa nelle sale dei consigli di amministrazione. Questo spiega il rilievo che possono avere (o aver avuto) particolari sodalizi molto esclusivi come l’Opus Dei o la Massoneria (si pensi alla P2 di Gelli) nella nomina di direttori di giornali o di reti televisive. E spiega anche il ruolo, in questo senso, dei partiti, soprattutto nella Rai. Fra quanti esercitano una certa influenza nella selezione dei vertici delle testate i servizi segreti fanno la loro parte.
• Nel 1906 Ivy Lee, esperto delle nascenti pubbliche relazioni, pubblicò una Dichiarazione dei principi che stabiliva le norme deontologiche della professione: informare in modo aperto, dando notizie verificate accuratamente, aprendo la porta ai giornalisti perché svolgessero al meglio il loro lavoro. Le pubbliche relazioni dovevano contribuire a migliorare la società, aumentandone il tasso di democrazia e trasparenza. Nel 1914, durante uno sciopero in uno stabilimento della società di John D. Rockefeller, la proprietà decise di andare per le spicce ingaggiando una squadra di agenti della Guardia del Colorado che attaccò lo stabilimento; ne derivò un incendio nel quale persero la vita due donne e undici bambini. La cosa scatenò, comprensibilmente, polemiche violentissime contro i responsabili dell’azienda che, per difendersi, arruolarono proprio Ivy Lee. Un’ottima scelta, dato che il consulente mise insieme una brillante difesa: l’incendio era stato causato da una stufa rovesciata proprio dalle donne e dai bambini e non dal fuoco appiccato alle tende dalle Guardie del Colorado. Lee condusse una campagna stampa capillare ottenendo ottimi risultati. In seguito divenne consulente anche della IG Farbenindustrie (quella che nella seconda guerra mondiale produsse il gas Zyklon B usato nei campi di sterminio) e ottenne significativi riconoscimenti da un intenditore del ramo come il dottor Joseph Goebbels per i suoi metodi di lavoro.
• Una severa critica a Lee venne fatta da Edward Bernays, nipote acquisito di Sigmund Freud, che teorizzò – con maggiore onestà del suo predecessore – che non era affatto compito delle pubbliche relazioni (e della pubblicità in genere) migliorare il mondo e che, semmai, andavano esaltati i promettenti sviluppi che la psicologia del profondo dischiudeva nella manipolazione delle masse. L’uomo sapeva quel che diceva, avendo studiato con entusiasmo le teorie della psicologia dell’inconscio dello zio, che cercò di sfruttare commercialmente. Consulente della Chesterfield, ottenne un notevolissimo successo di vendite con una trovata indubbiamente geniale: nel 1929 organizzò una marcia di una parata femminile per le strade di New York, durante la quale un folto gruppo di ragazze accese sigarette con aria di sfida (che una donna fumasse era ancora cosa ritenuta sconveniente anche solo in privato). La sigaretta divenne il simbolo dell’emancipazione femminile e la Chesterfield ne fu molto contenta.
• Per quanto possa sembrare strano, la maggior parte delle operazioni di intelligence è fatta con operazioni indirette. Il mondo dei servizi è, per sua natura, sospettoso, per cui non si può far arrivare una notizia direttamente dalla fonte interessata: anche se si trattasse di alleati, un’informazione troppo consonante con gli interessi di chi la fornisce sarebbe presa con molto scetticismo. Per non parlare di nemici e neutrali. È per questo che si ricorre alla tecnica della «triangolazione»: la notizia viene fornita a un terzo non interessato da cui rimbalzerà a chi ci interessa. Questo le darà un minimo di credibilità. Ma, a volte, questo non è sufficiente, perché l’altro potrebbe immaginare un giro del genere, indagare e scoprire che all’origine della notizia c’è proprio il suo nemico. Pertanto, in molti casi occorre procedere con rimbalzi successivi: da X ad A, da A a B, da B a C, e da C a Y, che è l’obiettivo di X.
• Queste le tecniche base con cui i servizi riescono a penetrare il circuito informativo: a. infiltrazione diretta b. ricatto c. scambio di convenienze ineguali d. scambio di informazioni e. «coltivazione inconsapevole» f. controllo g. disseminazione coperta e «intossicazione ambientale».
• Non sempre il giornalista è consapevole del fatto che l’interlocutore è un agente di qualche servizio, magari gli si presenta come collega o come attivista politico o, ancora, come frequentatore del suo stesso club; la notizia che gli si vuol fare arrivare scivolerà con nonchalance durante un’innocente chiacchierata. Se la cosa funziona e il giornalista è davvero importante, si provvederà ad affiancarlo con più di un uomo del servizio, magari in ambienti diversi, così da esercitare un condizionamento costante che trasformerà il giornalista in uno «strumento cieco di occhiuta rapina»: è il caso della «coltivazione inconsapevole».
• I servizi non sono ostili alla verità, sono indifferenti.
• Le montature sono tanto più efficaci quanto più somigliano alla normalità quotidiana e a quello che la gente si aspetta che accada.
• Nel 1941 gli inglesi avevano bisogno che la Russia entrasse in guerra contro la Germania e, per questo, avevano tutto l’interesse di far arrivare a Stalin le notizie della prossima aggressione tedesca. Ma Stalin non prestò ascolto a quanti (come Richard Sorge, uno dei migliori agenti informativi dei servizi russi) gli segnalavano l’imminente attacco nazista, proprio perché sospettò si trattasse di una manovra di disinformazione inglese per indurlo alla guerra con la Germania.
• In teoria la maggioranza delle notizie che si leggono sui giornali e si ascoltano in tv sono verificabili. In realtà questo non accade, perché ogni giorno si riversano sul mercato decine di migliaia di informazioni: impossibile verificarle tutte, e nemmeno una loro parte significativa, per cui l’attenzione si concentrerà su quelle di maggiore portata o su quelle più sospette. Dunque, mentre il «grandissimo scoop» andrà incontro ad attente verifiche, la notizia minore ha molte più possibilità di passare inosservata e conseguire il suo risultato, per quanto piccolo.
• I problemi sorgono quando la notizia è trapelata: come «sopprimerla»? Ovviamente, la maniera meno efficace è smentirla: come diceva Churchill, una smentita è una notizia data due volte.
• Tecniche adoperate per sopprimere una notizia:
1 - «frittata rigirata»: tutto falso, si tratta di una calunnia dietro cui c’è qualche avversario. In sé la cosa è abbastanza plausibile: stiamo appunto spiegando che per colpire gli avversari si fanno operazioni di disinformazione, per cui è possibilissimo che le cose stiano in quel modo. Ma il punto è che si tratta di una difesa abusata, scontata, poco efficace, che al massimo conforta amici e sostenitori dell’attaccato, ma non sposta di un millimetro tutti gli altri.
2 - «smentita implicita»: un giornale ha pubblicato che il tale politico sta brigando per favorire un contratto fra l’ente petrolifero di Stato e la grande conglomerata russa, e fa intendere che dietro ci sia una tangente. La difesa migliore del politico è una mossa di judo: l’onorevole presenta un’interrogazione parlamentare violentemente ostile all’ente russo, in modo da essere percepito non come suo amico ma come avversario. Poi, nel comunicato stampa che riguarda l’interrogazione, si aggiungerà di sfuggita una frase del tipo «questo destituisce di ogni fondamento la fantasiosa notizia...». Tanto i russi capiranno: quello che conta in queste circostanze non sono le sparate pubbliche, ma le manovre coperte. Sistema non infallibile, ma in alcuni casi di sufficiente efficacia.
3 - «censura additiva»: utilizzabile sia nell’uso offensivo che in quello difensivo. La prima soluzione (sperimentata migliaia di volte da tutti i servizi segreti del mondo, ma nella quale eccellono gli americani) è quella del «diversivo»: occorre proteggere il governo in carica da un’insidiosa campagna che sta preparando uno scandalo. In questo caso la cosa migliore è «cancellare» la notizia da giornali e tv con la tecnica del «chiodo schiaccia chiodo»: si crea una clamorosa notizia che conquisti le prime pagine «coprendo» l’altra, respinta nelle pagine interne. Può trattarsi di un altro scandalo: non è importante che si tratti di un fatto vero, ma che sia più grave e che, ovviamente, colpisca gli avversari, costringendoli sulla difensiva.
• Nel 1953 Piero Piccioni, figlio dell’allora ministro degli Esteri, venne coinvolto in un pesante caso di costume: festini nei quali si consumava cocaina e durante i quali era morta una ragazza, Wilma Montesi. Piccioni alla fine ne uscì scagionato, ma per mesi la stampa scandalistica e le opposizioni, tanto di destra quanto di sinistra, fecero un fracasso d’inferno. In particolare il PCI accusò la classe politica democristiana di essere dedita a pratiche immorali (tanto più gravi trattandosi del partito cattolico): Ma il 16 novembre l’avvocato Sotgiu (avvocato difensore del giornalista all’origine dello scandalo, nonché esponente del PCI e presidente della Provincia di Roma) viene scoperto in una casa di appuntamenti di Roma dove assiste agli amori della moglie con alcuni giovanotti. I «moralisti di sinistra» sono sistemati. Si era ovviamente trattato di un’operazione della polizia di Roma opportunamente stimolata dal ministro Scelba. Un caso che presenta qualche somiglianza con quello più recente che ha coinvolto il direttore del quotidiano cattolico Avvenire, Dino Boffo. Per non dire del torbidissimo caso Marrazzo.
• Una tecnica di raffinata perversione è quella dell’autoscandalo che definiremmo «della rovesciata». L’esempio da manuale è il caso Cirillo-Maresca. Le BR avevano rapito l’assessore regionale Ciro Cirillo, e il suo partito, la DC, al contrario che nel caso Moro, aveva accettato di trattare e pagare per salvarlo, anzi, per mediare con le BR si era rivolto al capo camorrista Raffaele Cutolo, appositamente sollecitato dal SISDE. La notizia filtrò e giunse all’Unità, allora diretta da Claudio Petruccioli, che la rivelò al pubblico, bisogna riconoscere, con molta correttezza. La questione era molto delicata, sia perché dimostrava imbarazzanti contiguità con la camorra, sia perché poteva riaprire aspetti molto scabrosi del caso Moro. Marina Maresca, giornalista dell’Unità, portò al giornale un esplosivo documento che sostenne le fosse stato dato da un noto magistrato della procura napoletana e che dimostrava la compromissione nel caso del ministro dell’Interno Enzo Scotti (fra l’altro deputato della circoscrizione di Napoli). È facile intuire il fracasso che ne seguì, con il PCI che chiese le dimissioni del ministro. Ma, pochi giorni dopo, emerse che il documento era falso, che non era stato nessun magistrato a darlo alla Maresca ma un tal Rotondi, vicino ad ambienti DC e forse anche ad altro.
• C’è anche chi sostiene che anche l’arresto di Enzo Tortora, che avvenne proprio in quelle settimane, sia stato un diversivo per il caso Cirillo. Non so quanto ci sia di vero in quest’ultima ipotesi, ma è possibile anche questo.
• Nel caso in cui, invece, si volesse differenziare fra il pubblico di un paese e quello di un altro, può essere utile cambiare lingua, e su internet la cosa è molto semplice. Ad esempio, dopo gli assalti alle ambasciate seguiti al film «blasfemo» su Maometto, i Fratelli Musulmani hanno mandato molti messaggi su Twitter: quelli in inglese esprimevano il cordoglio per le vittime e l’auspicio del ritorno a buone relazioni fra Occidente e mondo islamico, invece quelli in lingua araba invitavano il popolo a moltiplicare le manifestazioni di protesta esprimendo indignazione per l’offesa fatta al Profeta.
• I servizi segreti sono i massimi inquinatori dell’informazione.
• Alcuni consigli per il comune lettore o telespettatore che non ha i mezzi dei servizi segreti per verificare le informazioni: 1. Capire chi sta parlando. 2. Fare attenzione al linguaggio. 3. Leggere la notizia nel contesto. 4. Verificare logicamente il messaggio. 5. Usare la matematica. 6. Confrontare le notizie con quelle del passato. 7. Confrontare fonti diverse. 8. Fare attenzione alle fonti audiovisive. 9. «Smontare il pezzo». 10. Inserire le notizie nel quadro generale di riferimento.
• Per quanto un giornalista possa essere spudorato nel dare per certe cose quantomeno dubbie, è inevitabile che – quantomeno per proteggersi da querele – cerchi di sfumare qui e là le sue affermazioni e quei condizionali e quelle figure retoriche sono una spia importante che avverte sul grado di attendibilità del pezzo.
• Molto più spesso di quanto non si creda, ci sono brani informativi che contengono palesi violazioni al «principio di non contraddizione», per cui una cosa non può essere vera e falsa nello stesso tempo. Eccone un classico del genere, quello della «pallottola magica di Oswald». La versione ufficiale dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, escludendo la teoria del complotto, assumeva che ci fosse stato un unico cecchino, appunto Lee Oswald; ma Oswald aveva sparato 3 colpi, mentre le ferite di Kennedy e del governatore del Texas che viaggiava con lui erano 8. Dato che, oltretutto, una delle tre pallottole di Oswald aveva ferito uno spettatore che era ai bordi della strada, delle rimanenti due una aveva causato la ferita mortale al presidente mentre l’ultima, da sola, aveva provocato ben 7 ferite in due persone diverse entrando e uscendo dal corpo dei due e rimbalzando da una parte all’altra.
• Una forma particolare di verifica logica di un messaggio è quella di fare qualche conto, spesso assai semplice. Spesso si scoprirà di essere di fronte a una notizia illogica, montata o semplicemente sensazionalistica, un esempio: subito dopo l’occupazione di Baghdad, quando la città era ancora in preda al caos, i giornali dissero che dal museo della città erano stati trafugati ben 170.000 oggetti. Tre anni più tardi, David Randall appurò che gli oggetti scomparsi erano solo 13.864, così come risultava dalla relazione di un colonnello dei Marines che aveva fatto un’inchiesta in proposito, che poi era stata pubblicata in una rivista accademica. A pensarci bene, per contenere 170.000 oggetti il museo di Baghdad sarebbe dovuto essere come un palazzo di 10 piani con 755 metri per piano. Poi ci vorrebbero depositi per contenere (si spera accuratamente e in ordine) i restanti 113.000 oggetti.
• Si ritiene che la fonte audiovisiva sia autoesplicativa e non abbia bisogno di alcuna ermeneutica. Si tratta di una delle più rotonde bestialità che circolano: quello audiovisivo è uno dei documenti più complessi da interpretare, e infatti nei servizi esiste una branca che si dedica alla «fotointerpretazione» (che, per estensione, include anche le immagini in movimento, come filmati e servizi televisivi).
• I pezzi giornalistici non vanno presi a scatola chiusa: «tutto vero» o «tutto falso». E la comparazione fra due versioni di un medesimo avvenimento non va fatta all’ingrosso, ma notizia per notizia. Per la ricostruzione complessiva ci sarà tempo alla fine. Dunque, come prima operazione è utile «smontare» ciascun pezzo da sottoporre a confronti, isolando ogni singola notizia.
• Incongruenze del caso Dominique Strauss Kahn: DSK, come tutti i direttori del FMI, disponeva di un lussuoso appartamento nel centro di New York, nessuno ha mai spiegato perché stesse in albergo pur disponendo di quell’appartamento. 2. Che la direzione di un albergo di superlusso possa essersene infischiata di chi fosse l’illustre ospite e aver chiamato subito la polizia è cosa lodevole, ma non proprio credibile. La reazione tipo della direzione di un albergo di quel livello sarebbe stata piuttosto quella di soffocare lo scandalo, magari prendendo tempo e consentendo a cotanto personaggio di prendere il volo. Anche per evitare una pubblicità sfavorevole per lo stesso albergo. 3. Anche il comportamento della polizia è stato insolitamente zelante: DSK, come presidente del FMI, godeva di immunità diplomatica. Vero è che in caso si flagranza di reato l’immunità non si applica e la fuga è data come continuità del fatto, però la questione era almeno dubbia e si è arrivati a bloccare il decollo. Non solo: si è data una insolita pubblicità all’arresto ammanettando DSK già nell’aereo, mentre sarebbe stato sufficiente chiamarlo presso la cabina del comandante per poi procedere in modo più discreto.
• I maggiori sospettati del caso Dominique Strauss Kahn: 1. Sarkozy, che tramite i suoi servizi si sarebbe così sbarazzato di quello che individuava come il suo più pericoloso concorrente; va ricordato che l’albergo in cui era DSK, il Sofitel, appartiene a una catena di alberghi francesi nella quale non sarebbe stato difficile per i servizi di Parigi infilare qualche proprio agente. 2. Gli ambienti di Wall Street – magari per il tramite della Kroll – per una manovra speculativa sull’euro che, in parte, ci fu. Anche perché l’improvviso arresto di DSK mandò a monte l’incontro che avrebbe dovuto avere con la Merkel a proposito della situazione greca. 3. L’amministrazione americana, forse per favorire Sarkozy ma forse per un’altra ragione più importante: in febbraio DSK si era pronunciato per il superamento del dollar standard, un tema al quale gli USA sono notoriamente molto sensibili.
• Oggi Finmeccanica, la grande holding delle armi italiane, di cui il ministero dell’Economia e delle Finanze è l’azionista di riferimento con il 32,4% delle azioni (nessun altro azionista raggiunge il 3%), rappresenta una delle voci attive di maggiore importanza della nostra bilancia commerciale, in particolare nel settore delle armi individuali e, più ancora, nel settore aerospaziale, nel quale si è conquistata una posizione di riguardo a livello mondiale. Tutti settori che, da sempre, hanno un forte odore di tangenti in entrata e in uscita, e nei quali operano istituzionalmente i servizi militari (tanto l’AISE, ex SISMI, quando il SIOS, che ha compiti diretti di sorveglianza nelle fabbriche di armi).
• Incongruenze nella cattura di Osama Bin Laden: 1. Vengono fornite diverse versioni non collimanti per più aspetti. 2. La decisione di uccidere Osama sul posto mentre si sarebbe potuto catturarlo, sottoporlo a processo con effetti psicologici deprimenti sulla sua organizzazione, per giustiziarlo in un secondo momento. 3. L’assenza di qualsiasi foto del cadavere. 4. L’inumazione in mare: è assolutamente falso che sia prevista dalle regole coraniche, che vanno in tutt’altro senso. Successivamente si dirà che è stato fatto per evitare che la tomba potesse diventare un luogo di culto, ma si sarebbe potuto evitarlo seppellendo il corpo in una località sconosciuta negli USA, magari in una base militare; poi la versione viene ulteriormente modificata: nessun paese era disposto a ospitare la sepoltura – ma, appunto, si sarebbe potuto seppellirlo nascostamente negli USA. 5. Il carattere incredibilmente raffazzonato dei primi accertamenti sull’identità del cadavere che, in mancanza di un metro a nastro, venne misurato stendendogli accanto un membro del commando che era «più o meno» della stessa altezza di Bin Laden (1,93 m).
• Molti elementi fecero sorgere il dubbio che il morto non fosse Osama, che in realtà sarebbe deceduto prima oppure vivrebbe ancora, mentre il cadavere apparterrebbe a un suo sosia. L’ipotesi che il morto non fosse il vero Bin Laden fu autorevolmente sostenuta da un esperto della materia come Steve Pieczenik (uno dei massimi tecnici dell’intelligence USA, noto in Italia per il suo ruolo nel caso Moro): Osama era morto già prima dell’attentato dell’11 settembre, che fu un autoattentato. E questo farebbe tornare molti conti: la foto non c’è perché si teme che un eventuale fotomontaggio possa essere svelato, e così il corpo è stato fatto sparire per evitare esami imbarazzanti e c’è stata fretta di «ucciderlo» perché, ovviamente, non si poteva portare davanti alle telecamere un sosia.
• L’ipotesi di un collasso contemporaneo e generalizzato del sistema informativo mondiale è molto remota, ma quella del collasso di un singolo paese lo è molto meno: un massiccio cyber-attacco potrebbe ottenere un effetto del genere. Dunque la tutela del sistema delle telecomunicazioni è in primo luogo un problema di ordine militare. E questo spiega perché la sorveglianza delle telecomunicazioni è una delle priorità assolute di qualsiasi apparato di sicurezza.
• Ogni giorno noi assumiamo decisioni sulla base delle informazioni che ci sono arrivate tramite i mass media e che si sono trasformate (più o meno consapevolmente) in giudizi consolidati. Qualche volta la decisione sarà determinata da informazioni private (ad esempio un amico bancario che ci avvisa del prossimo crollo delle azioni), ma la grande maggioranza delle informazioni proviene dai media direttamente o anche indirettamente (attraverso l’amico che ha letto il giornale o ascoltato quella tale trasmissione).
• Negli anni Cinquanta e Sessanta, la CIA si procurava la Pravda mentre ancora era in stampa e si faceva punto d’onore di stamparne un’edizione in inglese per il presidente, prima ancora che giungesse nelle edicole russe.
• Per quanto un servizio informativo possa essere forte, ricco e ramificato, non riuscirà mai a produrre neppure il 10% delle notizie prodotte dal sistema dei mass media. Solo in Italia i giornalisti iscritti all’ordine sono circa 100.000 di cui almeno 30.000 in servizio effettivo, cioè che svolgono effettivamente mansioni giornalistiche. I servizi segreti in totale hanno un organico intorno alle 20.000 unità, che, però, solo in parte si occupano della raccolta informativa. Pertanto non è eccessivo stimare il rapporto fra gli agenti dei servizi effettivamente impiegati in compiti informativi e i giornalisti in una proporzione di 1 a 6. E in altri paesi (come gli USA) il rapporto è ancora più sbilanciato a favore dei giornalisti.
• Ai tempi di Stalin, il capo della GPU Vjačeslav Menžinskij venne probabilmente avvelenato dal suo vice, Genrich Jagoda, che lo sostituì. Ma per poco, perché il suo vice, Nikolai Ivanovič Ežov, con la benedizione di Stalin gli fece le scarpe e lo fece fucilare. Ma nemmeno a Ežov andò bene, perché finì fucilato per ordine di Stalin, che gli preferì Lavrentij Berija, che a sua volta….
• Il compito principale dei servizi segreti è acquisire tutte le informazioni necessarie a tutelare gli interessi del loro dante causa, che può essere uno Stato o anche un privato (multinazionali, agenzie di rating o organizzazioni terroristiche e persino di organizzazioni criminali).
• Uno dei primi casi di «operazioni informative» dei servizi segreti avvenne proprio in Italia, fra l’estate del 1914 e la primavera del 1915: i francesi volevano che l’Italia entrasse in guerra e finanziarono una serie di giornali (fra cui Il Popolo d’Italia di Mussolini) per sostenere la campagna interventista, mentre i tedeschi brigavano (sempre corrompendo giornalisti e politici) perché quantomeno restasse neutrale.
• Nei primi anni della rivoluzione bolscevica la stampa occidentale si trovò esclusa dalla Russia, per cui i corrispondenti si concentrarono a Riga, in Lettonia, da dove cercavano di fare il loro mestiere raccogliendo notizie da nobili, pope e alti ufficiali in fuga dalla Russia. Risultato: Il New York Times tra il 1917 ed il 1919 raccontò 91 volte che il governo bolscevico era caduto; 4 volte che Lenin e Trotskij si stavano preparando alla fuga; 3 volte che Lenin e Trotskij erano fuggiti dalla Russia; 3 volte che Lenin era stato arrestato ed 1 volta che Lenin era stato ucciso.
• Dal punto di vista dei servizi segreti, il nodo strategico decisivo sono proprio le agenzie. Se si vuole diffondere o far sparire una notizia è molto più produttivo operare su tre o quattro agenzie di stampa (a volte ne basta una sola) che non cercare di intervenire su tutte le testate giornalistiche e televisive: un lavoro enorme e dispersivo che, per di più, espone al rischio di fuga di notizie sul tentativo del servizio. Il lavoro sulla singola testata verrà fatto in casi particolari, quando sia necessario e sufficiente operare su una testata particolarmente prestigiosa o come singolo sviluppo di una più ampia operazione, o ancora quando occorra un’azione di dettaglio su una determinata area politica o geografica. Ma, quando si lavora «all’ingrosso», è il mondo delle agenzie quello che serve.
• «Ricordo di aver conosciuto negli anni Settanta un giornalista bravissimo – anche se non esattamente uno stakanovista – che aveva un repertorio di pezzi «precotti», che scongelava in base alla stagione o alla tipologia di evento (sciopero generale, siccità, incidente sul lavoro, riapertura delle scuole e doppi turni ecc.) con i ritocchi necessari. A volte mandava l’articolo prima che il fatto si verificasse e poi se ne andava a passeggio. Così una volta mandò un pezzo su una manifestazione antifascista che si sarebbe svolta in serata: «1500 studenti, lavoratori e partigiani sono sfilati per le vie della città… gli slogan più gridati sono stati… alla fine della manifestazione tafferugli fra i giovani della FGCI e quelli di Lotta Continua». Perfetto, solo che nel pomeriggio un commissario di Polizia di Stato fu ucciso in un conflitto a fuoco con due malavitosi, per cui la questura chiese e ottenne che, in segno di lutto, la manifestazione fosse disdetta. Era tardi, per cui non si fece a tempo a fermare il pezzo e, all’indomani, il giornale dava notizia di una manifestazione mai avvenuta. Quello che è più divertente è che, in effetti, se la manifestazione ci fosse stata, le cose sarebbero andate esattamente in quel modo e anche gli incidenti fra FGCI e LC si sarebbero verificati come da copione».
• Negli anni Sessanta il quotidiano milanese Il Giorno (di proprietà dell’Eni) si collocava in una posizione fra PSI e sinistra DC aperta verso il PCI e pertanto era la punta progressista più avanzata della stampa di opinione. Era fra i primi quattro o cinque quotidiani per ordine di importanza e vendeva quasi 250.000 copie, anche se questo non copriva i costi, per cui nel 1971 il direttore Italo Pietra venne sostituito da Gaetano Afeltra. In realtà i motivi economici furono solo la copertura di un’operazione finalizzata a portare il quotidiano su posizioni più moderate. I lettori non gradirono: quando nacque la Repubblica molte firme del Giorno vi traslocarono e, con loro, anche moltissimi lettori.
• Il luogo di certe nomine sono determinati salotti, da dove poi si passa nelle sale dei consigli di amministrazione. Questo spiega il rilievo che possono avere (o aver avuto) particolari sodalizi molto esclusivi come l’Opus Dei o la Massoneria (si pensi alla P2 di Gelli) nella nomina di direttori di giornali o di reti televisive. E spiega anche il ruolo, in questo senso, dei partiti, soprattutto nella Rai. Fra quanti esercitano una certa influenza nella selezione dei vertici delle testate i servizi segreti fanno la loro parte.
• Nel 1906 Ivy Lee, esperto delle nascenti pubbliche relazioni, pubblicò una Dichiarazione dei principi che stabiliva le norme deontologiche della professione: informare in modo aperto, dando notizie verificate accuratamente, aprendo la porta ai giornalisti perché svolgessero al meglio il loro lavoro. Le pubbliche relazioni dovevano contribuire a migliorare la società, aumentandone il tasso di democrazia e trasparenza. Nel 1914, durante uno sciopero in uno stabilimento della società di John D. Rockefeller, la proprietà decise di andare per le spicce ingaggiando una squadra di agenti della Guardia del Colorado che attaccò lo stabilimento; ne derivò un incendio nel quale persero la vita due donne e undici bambini. La cosa scatenò, comprensibilmente, polemiche violentissime contro i responsabili dell’azienda che, per difendersi, arruolarono proprio Ivy Lee. Un’ottima scelta, dato che il consulente mise insieme una brillante difesa: l’incendio era stato causato da una stufa rovesciata proprio dalle donne e dai bambini e non dal fuoco appiccato alle tende dalle Guardie del Colorado. Lee condusse una campagna stampa capillare ottenendo ottimi risultati. In seguito divenne consulente anche della IG Farbenindustrie (quella che nella seconda guerra mondiale produsse il gas Zyklon B usato nei campi di sterminio) e ottenne significativi riconoscimenti da un intenditore del ramo come il dottor Joseph Goebbels per i suoi metodi di lavoro.
• Una severa critica a Lee venne fatta da Edward Bernays, nipote acquisito di Sigmund Freud, che teorizzò – con maggiore onestà del suo predecessore – che non era affatto compito delle pubbliche relazioni (e della pubblicità in genere) migliorare il mondo e che, semmai, andavano esaltati i promettenti sviluppi che la psicologia del profondo dischiudeva nella manipolazione delle masse. L’uomo sapeva quel che diceva, avendo studiato con entusiasmo le teorie della psicologia dell’inconscio dello zio, che cercò di sfruttare commercialmente. Consulente della Chesterfield, ottenne un notevolissimo successo di vendite con una trovata indubbiamente geniale: nel 1929 organizzò una marcia di una parata femminile per le strade di New York, durante la quale un folto gruppo di ragazze accese sigarette con aria di sfida (che una donna fumasse era ancora cosa ritenuta sconveniente anche solo in privato). La sigaretta divenne il simbolo dell’emancipazione femminile e la Chesterfield ne fu molto contenta.
• Per quanto possa sembrare strano, la maggior parte delle operazioni di intelligence è fatta con operazioni indirette. Il mondo dei servizi è, per sua natura, sospettoso, per cui non si può far arrivare una notizia direttamente dalla fonte interessata: anche se si trattasse di alleati, un’informazione troppo consonante con gli interessi di chi la fornisce sarebbe presa con molto scetticismo. Per non parlare di nemici e neutrali. È per questo che si ricorre alla tecnica della «triangolazione»: la notizia viene fornita a un terzo non interessato da cui rimbalzerà a chi ci interessa. Questo le darà un minimo di credibilità. Ma, a volte, questo non è sufficiente, perché l’altro potrebbe immaginare un giro del genere, indagare e scoprire che all’origine della notizia c’è proprio il suo nemico. Pertanto, in molti casi occorre procedere con rimbalzi successivi: da X ad A, da A a B, da B a C, e da C a Y, che è l’obiettivo di X.
• Queste le tecniche base con cui i servizi riescono a penetrare il circuito informativo: a. infiltrazione diretta b. ricatto c. scambio di convenienze ineguali d. scambio di informazioni e. «coltivazione inconsapevole» f. controllo g. disseminazione coperta e «intossicazione ambientale».
• Non sempre il giornalista è consapevole del fatto che l’interlocutore è un agente di qualche servizio, magari gli si presenta come collega o come attivista politico o, ancora, come frequentatore del suo stesso club; la notizia che gli si vuol fare arrivare scivolerà con nonchalance durante un’innocente chiacchierata. Se la cosa funziona e il giornalista è davvero importante, si provvederà ad affiancarlo con più di un uomo del servizio, magari in ambienti diversi, così da esercitare un condizionamento costante che trasformerà il giornalista in uno «strumento cieco di occhiuta rapina»: è il caso della «coltivazione inconsapevole».
• I servizi non sono ostili alla verità, sono indifferenti.
• Le montature sono tanto più efficaci quanto più somigliano alla normalità quotidiana e a quello che la gente si aspetta che accada.
• Nel 1941 gli inglesi avevano bisogno che la Russia entrasse in guerra contro la Germania e, per questo, avevano tutto l’interesse di far arrivare a Stalin le notizie della prossima aggressione tedesca. Ma Stalin non prestò ascolto a quanti (come Richard Sorge, uno dei migliori agenti informativi dei servizi russi) gli segnalavano l’imminente attacco nazista, proprio perché sospettò si trattasse di una manovra di disinformazione inglese per indurlo alla guerra con la Germania.
• In teoria la maggioranza delle notizie che si leggono sui giornali e si ascoltano in tv sono verificabili. In realtà questo non accade, perché ogni giorno si riversano sul mercato decine di migliaia di informazioni: impossibile verificarle tutte, e nemmeno una loro parte significativa, per cui l’attenzione si concentrerà su quelle di maggiore portata o su quelle più sospette. Dunque, mentre il «grandissimo scoop» andrà incontro ad attente verifiche, la notizia minore ha molte più possibilità di passare inosservata e conseguire il suo risultato, per quanto piccolo.
• I problemi sorgono quando la notizia è trapelata: come «sopprimerla»? Ovviamente, la maniera meno efficace è smentirla: come diceva Churchill, una smentita è una notizia data due volte.
• Tecniche adoperate per sopprimere una notizia:
1 - «frittata rigirata»: tutto falso, si tratta di una calunnia dietro cui c’è qualche avversario. In sé la cosa è abbastanza plausibile: stiamo appunto spiegando che per colpire gli avversari si fanno operazioni di disinformazione, per cui è possibilissimo che le cose stiano in quel modo. Ma il punto è che si tratta di una difesa abusata, scontata, poco efficace, che al massimo conforta amici e sostenitori dell’attaccato, ma non sposta di un millimetro tutti gli altri.
2 - «smentita implicita»: un giornale ha pubblicato che il tale politico sta brigando per favorire un contratto fra l’ente petrolifero di Stato e la grande conglomerata russa, e fa intendere che dietro ci sia una tangente. La difesa migliore del politico è una mossa di judo: l’onorevole presenta un’interrogazione parlamentare violentemente ostile all’ente russo, in modo da essere percepito non come suo amico ma come avversario. Poi, nel comunicato stampa che riguarda l’interrogazione, si aggiungerà di sfuggita una frase del tipo «questo destituisce di ogni fondamento la fantasiosa notizia...». Tanto i russi capiranno: quello che conta in queste circostanze non sono le sparate pubbliche, ma le manovre coperte. Sistema non infallibile, ma in alcuni casi di sufficiente efficacia.
3 - «censura additiva»: utilizzabile sia nell’uso offensivo che in quello difensivo. La prima soluzione (sperimentata migliaia di volte da tutti i servizi segreti del mondo, ma nella quale eccellono gli americani) è quella del «diversivo»: occorre proteggere il governo in carica da un’insidiosa campagna che sta preparando uno scandalo. In questo caso la cosa migliore è «cancellare» la notizia da giornali e tv con la tecnica del «chiodo schiaccia chiodo»: si crea una clamorosa notizia che conquisti le prime pagine «coprendo» l’altra, respinta nelle pagine interne. Può trattarsi di un altro scandalo: non è importante che si tratti di un fatto vero, ma che sia più grave e che, ovviamente, colpisca gli avversari, costringendoli sulla difensiva.
• Nel 1953 Piero Piccioni, figlio dell’allora ministro degli Esteri, venne coinvolto in un pesante caso di costume: festini nei quali si consumava cocaina e durante i quali era morta una ragazza, Wilma Montesi. Piccioni alla fine ne uscì scagionato, ma per mesi la stampa scandalistica e le opposizioni, tanto di destra quanto di sinistra, fecero un fracasso d’inferno. In particolare il PCI accusò la classe politica democristiana di essere dedita a pratiche immorali (tanto più gravi trattandosi del partito cattolico): Ma il 16 novembre l’avvocato Sotgiu (avvocato difensore del giornalista all’origine dello scandalo, nonché esponente del PCI e presidente della Provincia di Roma) viene scoperto in una casa di appuntamenti di Roma dove assiste agli amori della moglie con alcuni giovanotti. I «moralisti di sinistra» sono sistemati. Si era ovviamente trattato di un’operazione della polizia di Roma opportunamente stimolata dal ministro Scelba. Un caso che presenta qualche somiglianza con quello più recente che ha coinvolto il direttore del quotidiano cattolico Avvenire, Dino Boffo. Per non dire del torbidissimo caso Marrazzo.
• Una tecnica di raffinata perversione è quella dell’autoscandalo che definiremmo «della rovesciata». L’esempio da manuale è il caso Cirillo-Maresca. Le BR avevano rapito l’assessore regionale Ciro Cirillo, e il suo partito, la DC, al contrario che nel caso Moro, aveva accettato di trattare e pagare per salvarlo, anzi, per mediare con le BR si era rivolto al capo camorrista Raffaele Cutolo, appositamente sollecitato dal SISDE. La notizia filtrò e giunse all’Unità, allora diretta da Claudio Petruccioli, che la rivelò al pubblico, bisogna riconoscere, con molta correttezza. La questione era molto delicata, sia perché dimostrava imbarazzanti contiguità con la camorra, sia perché poteva riaprire aspetti molto scabrosi del caso Moro. Marina Maresca, giornalista dell’Unità, portò al giornale un esplosivo documento che sostenne le fosse stato dato da un noto magistrato della procura napoletana e che dimostrava la compromissione nel caso del ministro dell’Interno Enzo Scotti (fra l’altro deputato della circoscrizione di Napoli). È facile intuire il fracasso che ne seguì, con il PCI che chiese le dimissioni del ministro. Ma, pochi giorni dopo, emerse che il documento era falso, che non era stato nessun magistrato a darlo alla Maresca ma un tal Rotondi, vicino ad ambienti DC e forse anche ad altro.
• C’è anche chi sostiene che anche l’arresto di Enzo Tortora, che avvenne proprio in quelle settimane, sia stato un diversivo per il caso Cirillo. Non so quanto ci sia di vero in quest’ultima ipotesi, ma è possibile anche questo.
• Nel caso in cui, invece, si volesse differenziare fra il pubblico di un paese e quello di un altro, può essere utile cambiare lingua, e su internet la cosa è molto semplice. Ad esempio, dopo gli assalti alle ambasciate seguiti al film «blasfemo» su Maometto, i Fratelli Musulmani hanno mandato molti messaggi su Twitter: quelli in inglese esprimevano il cordoglio per le vittime e l’auspicio del ritorno a buone relazioni fra Occidente e mondo islamico, invece quelli in lingua araba invitavano il popolo a moltiplicare le manifestazioni di protesta esprimendo indignazione per l’offesa fatta al Profeta.
• I servizi segreti sono i massimi inquinatori dell’informazione.
• Alcuni consigli per il comune lettore o telespettatore che non ha i mezzi dei servizi segreti per verificare le informazioni: 1. Capire chi sta parlando. 2. Fare attenzione al linguaggio. 3. Leggere la notizia nel contesto. 4. Verificare logicamente il messaggio. 5. Usare la matematica. 6. Confrontare le notizie con quelle del passato. 7. Confrontare fonti diverse. 8. Fare attenzione alle fonti audiovisive. 9. «Smontare il pezzo». 10. Inserire le notizie nel quadro generale di riferimento.
• Per quanto un giornalista possa essere spudorato nel dare per certe cose quantomeno dubbie, è inevitabile che – quantomeno per proteggersi da querele – cerchi di sfumare qui e là le sue affermazioni e quei condizionali e quelle figure retoriche sono una spia importante che avverte sul grado di attendibilità del pezzo.
• Molto più spesso di quanto non si creda, ci sono brani informativi che contengono palesi violazioni al «principio di non contraddizione», per cui una cosa non può essere vera e falsa nello stesso tempo. Eccone un classico del genere, quello della «pallottola magica di Oswald». La versione ufficiale dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, escludendo la teoria del complotto, assumeva che ci fosse stato un unico cecchino, appunto Lee Oswald; ma Oswald aveva sparato 3 colpi, mentre le ferite di Kennedy e del governatore del Texas che viaggiava con lui erano 8. Dato che, oltretutto, una delle tre pallottole di Oswald aveva ferito uno spettatore che era ai bordi della strada, delle rimanenti due una aveva causato la ferita mortale al presidente mentre l’ultima, da sola, aveva provocato ben 7 ferite in due persone diverse entrando e uscendo dal corpo dei due e rimbalzando da una parte all’altra.
• Una forma particolare di verifica logica di un messaggio è quella di fare qualche conto, spesso assai semplice. Spesso si scoprirà di essere di fronte a una notizia illogica, montata o semplicemente sensazionalistica, un esempio: subito dopo l’occupazione di Baghdad, quando la città era ancora in preda al caos, i giornali dissero che dal museo della città erano stati trafugati ben 170.000 oggetti. Tre anni più tardi, David Randall appurò che gli oggetti scomparsi erano solo 13.864, così come risultava dalla relazione di un colonnello dei Marines che aveva fatto un’inchiesta in proposito, che poi era stata pubblicata in una rivista accademica. A pensarci bene, per contenere 170.000 oggetti il museo di Baghdad sarebbe dovuto essere come un palazzo di 10 piani con 755 metri per piano. Poi ci vorrebbero depositi per contenere (si spera accuratamente e in ordine) i restanti 113.000 oggetti.
• Si ritiene che la fonte audiovisiva sia autoesplicativa e non abbia bisogno di alcuna ermeneutica. Si tratta di una delle più rotonde bestialità che circolano: quello audiovisivo è uno dei documenti più complessi da interpretare, e infatti nei servizi esiste una branca che si dedica alla «fotointerpretazione» (che, per estensione, include anche le immagini in movimento, come filmati e servizi televisivi).
• I pezzi giornalistici non vanno presi a scatola chiusa: «tutto vero» o «tutto falso». E la comparazione fra due versioni di un medesimo avvenimento non va fatta all’ingrosso, ma notizia per notizia. Per la ricostruzione complessiva ci sarà tempo alla fine. Dunque, come prima operazione è utile «smontare» ciascun pezzo da sottoporre a confronti, isolando ogni singola notizia.
• Incongruenze del caso Dominique Strauss Kahn: DSK, come tutti i direttori del FMI, disponeva di un lussuoso appartamento nel centro di New York, nessuno ha mai spiegato perché stesse in albergo pur disponendo di quell’appartamento. 2. Che la direzione di un albergo di superlusso possa essersene infischiata di chi fosse l’illustre ospite e aver chiamato subito la polizia è cosa lodevole, ma non proprio credibile. La reazione tipo della direzione di un albergo di quel livello sarebbe stata piuttosto quella di soffocare lo scandalo, magari prendendo tempo e consentendo a cotanto personaggio di prendere il volo. Anche per evitare una pubblicità sfavorevole per lo stesso albergo. 3. Anche il comportamento della polizia è stato insolitamente zelante: DSK, come presidente del FMI, godeva di immunità diplomatica. Vero è che in caso si flagranza di reato l’immunità non si applica e la fuga è data come continuità del fatto, però la questione era almeno dubbia e si è arrivati a bloccare il decollo. Non solo: si è data una insolita pubblicità all’arresto ammanettando DSK già nell’aereo, mentre sarebbe stato sufficiente chiamarlo presso la cabina del comandante per poi procedere in modo più discreto.
• I maggiori sospettati del caso Dominique Strauss Kahn: 1. Sarkozy, che tramite i suoi servizi si sarebbe così sbarazzato di quello che individuava come il suo più pericoloso concorrente; va ricordato che l’albergo in cui era DSK, il Sofitel, appartiene a una catena di alberghi francesi nella quale non sarebbe stato difficile per i servizi di Parigi infilare qualche proprio agente. 2. Gli ambienti di Wall Street – magari per il tramite della Kroll – per una manovra speculativa sull’euro che, in parte, ci fu. Anche perché l’improvviso arresto di DSK mandò a monte l’incontro che avrebbe dovuto avere con la Merkel a proposito della situazione greca. 3. L’amministrazione americana, forse per favorire Sarkozy ma forse per un’altra ragione più importante: in febbraio DSK si era pronunciato per il superamento del dollar standard, un tema al quale gli USA sono notoriamente molto sensibili.
• Oggi Finmeccanica, la grande holding delle armi italiane, di cui il ministero dell’Economia e delle Finanze è l’azionista di riferimento con il 32,4% delle azioni (nessun altro azionista raggiunge il 3%), rappresenta una delle voci attive di maggiore importanza della nostra bilancia commerciale, in particolare nel settore delle armi individuali e, più ancora, nel settore aerospaziale, nel quale si è conquistata una posizione di riguardo a livello mondiale. Tutti settori che, da sempre, hanno un forte odore di tangenti in entrata e in uscita, e nei quali operano istituzionalmente i servizi militari (tanto l’AISE, ex SISMI, quando il SIOS, che ha compiti diretti di sorveglianza nelle fabbriche di armi).
• Incongruenze nella cattura di Osama Bin Laden: 1. Vengono fornite diverse versioni non collimanti per più aspetti. 2. La decisione di uccidere Osama sul posto mentre si sarebbe potuto catturarlo, sottoporlo a processo con effetti psicologici deprimenti sulla sua organizzazione, per giustiziarlo in un secondo momento. 3. L’assenza di qualsiasi foto del cadavere. 4. L’inumazione in mare: è assolutamente falso che sia prevista dalle regole coraniche, che vanno in tutt’altro senso. Successivamente si dirà che è stato fatto per evitare che la tomba potesse diventare un luogo di culto, ma si sarebbe potuto evitarlo seppellendo il corpo in una località sconosciuta negli USA, magari in una base militare; poi la versione viene ulteriormente modificata: nessun paese era disposto a ospitare la sepoltura – ma, appunto, si sarebbe potuto seppellirlo nascostamente negli USA. 5. Il carattere incredibilmente raffazzonato dei primi accertamenti sull’identità del cadavere che, in mancanza di un metro a nastro, venne misurato stendendogli accanto un membro del commando che era «più o meno» della stessa altezza di Bin Laden (1,93 m).
• Molti elementi fecero sorgere il dubbio che il morto non fosse Osama, che in realtà sarebbe deceduto prima oppure vivrebbe ancora, mentre il cadavere apparterrebbe a un suo sosia. L’ipotesi che il morto non fosse il vero Bin Laden fu autorevolmente sostenuta da un esperto della materia come Steve Pieczenik (uno dei massimi tecnici dell’intelligence USA, noto in Italia per il suo ruolo nel caso Moro): Osama era morto già prima dell’attentato dell’11 settembre, che fu un autoattentato. E questo farebbe tornare molti conti: la foto non c’è perché si teme che un eventuale fotomontaggio possa essere svelato, e così il corpo è stato fatto sparire per evitare esami imbarazzanti e c’è stata fretta di «ucciderlo» perché, ovviamente, non si poteva portare davanti alle telecamere un sosia.
(a cura di Daniele Assorati)