11 novembre 2013
Tags : Ricchi e poveri in Italia
Ricchi e poveri
Tratto da Ricchi e poveri
di Nunzia Penelope, Ponte alle Grazie, 2012
• L’Italia dispone di una ricchezza privata da novemila miliardi (di cui 5 mila miliardi derivanti da patrimonio immobiliare [12]): quasi cinque volte il debito pubblico. I dieci italiani più ricchi possiedono quanto i tre milioni più poveri, i primi venti manager guadagnano quanto quattromila operai.
• Oltre 4 mila miliardi di euro, appartengono a una piccola minoranza pari al 10% della popolazione: sei milioni di persone che vivono nell’assoluto benessere. Al 90% dei cittadini, 54 milioni di persone, resta da dividersi l’altra metà.
• Ricchezza privata in Italia: 8640 miliardi.
Debito pubblico in Italia: 1972 miliardi.
Famiglie ricche: 2,5 milioni.
Famiglie molto ricche: 240.000.
Famiglie povere: 3,2 milioni.
Famiglie molto povere: 1,4 milioni.
• Il debito pubblico è spalmato su 60 milioni di cittadini, per una quota di circa 32 mila euro ciascuno.
• Teoricamente, infatti, siamo molto più ricchi di quanto non fossimo negli anni del boom economico; nel 1965 la ricchezza complessiva era pari all’equivalente di un miliardo e 137 milioni di euro, contro gli oltre 8 mila miliardi del 2011; quella pro capite pari superava di poco i 21 mila euro, contro i 142 mila dei nostri giorni. E siamo ricchi anche nel confronto internazionale: la ricchezza delle famiglie italiane nel 2010 era pari a 8,3 volte il reddito disponibile, contro il 7,5 della Francia, il 7,8 della Germania, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli USA.
• Le famiglie più ricche d’Italia: In testa c’è la famiglia Ferrero, il cui patron Michele ha messo insieme una bella sommetta: 19 miliardi di dollari, come patrimonio personale. Al secondo posto c’è Leonardo del Vecchio, fondatore del colosso degli occhiali Luxottica, con una fortuna, sempre personale, di 11 miliardi di dollari. Seguono due star della moda: Giorgio Armani, con 7,2 miliardi, e Miuccia Prada, con 6,8 miliardi. Al quinto posto ci sono i fratelli Paolo e Gianfelice Rocca: i proprietari del gruppo Techint contano su un patrimonio di 6 miliardi. “Solo” al sesto posto, quello che agli occhi della maggioranza degli italiani è il ricco per eccellenza, ovvero Silvio Berlusconi, con un patrimonio di 5,9 miliardi. Era primo in classifica nel 2004, poi è sceso al terzo posto nel 2008, e infine è precipitato al sesto, se così si può dire. Segue al settimo posto il signor Prada, cioè Patrizio Bertelli, consorte di Miuccia, con 3,7 miliardi. All’ottavo c’è un nome poco noto, Stefano Pessina, ex ingegnere nucleare e oggi patron di Alliance Unichem, con 2,6 miliardi. Al nono la famiglia Benetton: Carlo, Gilberto, Giuliana e Luciano possiedono un patrimonio da 2 miliardi ognuno. In coda alla classifica c’è Mario Moretti Polegato, 1,8 miliardi dovuti al successo del marchio Geox.
• Rispetto al 2011 le new entry sono i due Prada e i Rocca; usciti invece i Caltagirone, i Della Valle, Ennio Doris. Fuori dalla top ten alcune grandi famiglie del capitale nazionale: i Pirelli, i Tronchetti Provera, i Puri Negri, imparentati per nozze e affari; gli Agnelli, nelle loro ramificazioni; i Riva, proprietari delle acciaierie del gruppo Ilva, e poi i Marcegaglia, i Montezemolo, i Romiti, i De Benedetti, i Marzotto, e via dicendo.
• Il patron dell’Ilva, Emilio Riva, ottantenne, è passato alla storia per aver acquistato in contanti il gruppo, pagandolo con un assegno circolare da 760 miliardi.
• Dalla famiglia deriva una bella fetta dei patrimoni complessivi degli italiani: il 35% è infatti frutto di eredità, il che contribuisce anche al consolidarsi della ricchezza in poche mani.
• Solo l’8% di chi è nato in famiglie del ceto medio ha una chance di salire anche solo leggermente nella scala sociale.
• Quanti sono i veramente poveri? 3.200.000 famiglie (circa otto milioni di persone) che non hanno nemmeno quella cifra minima ritenuta indispensabile per la sopravvivenza, 1011,3 euro al mese, la soglia che la statistica indica come quella della povertà relativa, il minimo che occorre per i consumi base.
• 1 milione e 400 mila famiglie poverissime, in totale tre milioni e mezzo di persone, non solo non arrivano a 1000 euro, ma nemmeno a 500: la miseria nera, che costringe a frequentare i dormitori pubblici, a scegliere le mense di carità.
• I nuovi poveri che in quattro anni, dal 2007 al 2011, si sono rivolti alla Caritas per bisogni primari, sono aumentati del 14%, ma questa è solo la media nazionale: al Sud l’aumento è del 74%.
• Quasi due milioni di bambini in Italia rientrano nella fascia di povertà assoluta (di cui 700 mila al Sud).
• I più ricchi sono anche i più vecchi. Per la prima volta negli ultimi decenni il rapporto tradizionale si è invertito: le nuove generazioni viaggiano inesorabilmente verso la miseria mentre le anziane si godono i frutti dell’accumulazione concessa loro da anni di benessere pre-crisi. Gli inquilini dei piani alti di palazzo Italia hanno tra i 55 e i 64 anni, mentre gli under 35 sono tutti al piano terra, inchiodati in basso da un capitale medio di appena 40 mila euro a testa. In sostanza, la metà delle persone nate tra il 1948 e il 1955 appartiene al terzo più ricco del paese, mentre il 90% dei nati tra il 1975 e il 1980 è confinato nella parte più povera.
• L’80% della popolazione italiana possiede una casa di proprietà.
• Altri 1500 miliardi costituiscono gli investimenti finanziari: il 90% degli italiani – quindi una percentuale addirittura più elevata di chi possiede una casa – ha messo i suoi risparmi in azioni, obbligazioni, titoli di Stato ecc.
• Ma penetrare il mondo dei ricchi è difficile, anche se solo a fini di studio. Lo conferma la Banca d’Italia, nelle note conclusive all’indagine biennale sui redditi degli italiani pubblicata nel gennaio 2012. I curatori rilevano «la reticenza delle famiglie a dichiarare le proprie fonti di reddito o le forme di attività finanziarie e reali possedute. Sebbene la partecipazione all’indagine sia volontaria – scrivono – e il contenuto noto all’intervistato fin dall’inizio, è possibile che talvolta questi non risponda con totale sincerità alle domande più delicate, quali quelle riguardanti il reddito e la ricchezza». Il risultato è che, malgrado la garanzia dell’anonimato, «non sempre» le risposte rilasciate al questionario proposto dalla Banca d’Italia «sono coerenti con altri dati statistici» [...]
Inoltre, la «sincerità» degli intervistati, così come l’hanno testata sul campo gli stessi ricercatori, «è più elevata tra le famiglie meno benestanti», mentre precipita in quelle più ricche, «specie se con capofamiglia imprenditore o lavoratore autonomo». Ma, soprattutto, pare sia davvero molto complicato riuscire a convincere i ricchi a parlare di sé: e la difficoltà, si legge ancora nel rapporto della banca centrale, «è crescente al crescere del reddito, della ricchezza, e del titolo di studio del capofamiglia».
• Il dato che colpisce è che le somme stabilite dagli indicatori di povertà (1011,13 euro al mese per una famiglia di due persone con figli) sono molto vicine alle medie delle retribuzioni nazionali: 1286 euro per un lavoratore a tempo pieno indeterminato, 700 per un lavoro part time, 800 euro per un precario.
• Tra i soggetti più poveri, o maggiormente a rischio, ci sono innanzi tutto le donne, i giovani, gli immigrati, le famiglie con figli, gli abitanti delle regioni meridionali, gli over 65 anni. In pratica si salvano in pochi: i maschi adulti tra i 55 e i 64 anni, chi vive al Nord, chi non ha figli.
• Particolarmente esposte al rischio povertà sono le divorziate: il 24%, contro il 13% degli uomini nella stessa situazione (anche se gli uomini se ne lamentano molto di più).
• Chi fa figli paga pegno, e molto pesantemente: la percentuale di poveri sale dal 2,6 delle coppie senza figli al 4 di chi ne ha solo uno (il 5,7 se il figlio è minorenne), al 4,9 di chi ne ha due, fino a impennarsi al 10,4 per chi ne ha tre.
• In Italia le famiglie monoreddito sono purtroppo la metà del totale, e le donne al lavoro solo il 35%, percentuale che scende di molto al Sud, dove è disoccupata la metà delle donne e soprattutto delle ragazze.
• Uno studio della Banca d’Italia dimostra che se il tasso di occupazione femminile raggiungesse almeno la media europea, l’incidenza sul PIL, cioè la ricchezza prodotta, sarebbe del 7% in più. Un punto di PIL equivale a 15 miliardi di euro; il PIL «rosa» dunque varrebbe da solo oltre 100 miliardi.
• Gli immigrati, che nel solo 2010 hanno contribuito al PIL per il 12,5%, producendo ricchezza per oltre 180 miliardi.
• Meno del 30% degli under 35 ha un lavoro stabile. Nel 1994, cioè prima che entrassero in vigore le leggi sulla flessibilità, il tasso di precarietà dei ragazzi era del 16%, oggi è cresciuto al 47%. Nel 2010 viveva con i genitori il 42% dei giovani tra i 25 e i 35 anni, a causa della mancanza di stabilità occupazionale e di prospettive. E nel 2011 quasi mezzo milione di famiglie ha dovuto accogliere nuovamente in casa, e supportare economicamente, un figlio che aveva provato a percorrere la sua strada, ma era rimasto senza lavoro e senza reddito. E poiché piove sempre sul bagnato, proprio queste famiglie sono ora quelle che più pagano la crisi in termini di impoverimento.
• L’unico comparto nel quale ancora si assume è quello dell’agricoltura, e la nuova manodopera, solo qui, è sempre più giovane. Nei primi sei mesi del 2012 si è registrato un vero boom di nuovi posti di lavoro: il 13% in più rispetto all’anno prima.
• Il calo dei consumi (a causa della disoccupazione, della cassa integrazione, o anche solo della paura del futuro) nel 2012 è stato del 3,3% pro capite. Per il commercio equivale a un cataclisma: fino a 150 mila imprese saltate nel corso del 2012, da sommare alle 105 mila che hanno chiuso nel 2011, di cui la metà negozi al dettaglio.
• Diceva l’economista John Maynard Keynes che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo.
• Questa la sua ricetta: mettere soldi in tasca ai poveri, per far sì che possano spenderli rilanciando l’economia. È la strada che ha seguito il Brasile di Lula, dotando 25 milioni di cittadini di un salario minimo sociale che a sua volta, rimesso in circolo, ha dato una spinta alla crescita, ha fatto scendere il tasso di disoccupazione al 6,7% (noi siamo oltre il 10%!), ha abbattuto la povertà e accorciato le distanze tra le classi sociali.
• In Italia però la ricetta economica è solo e sempre una, quella dettata il 5 agosto 2011 dalla Banca Centrale Europea, con una lunga lettera firmata da Jean-Claude Trichet, all’epoca a capo della BCE, e da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, che di lì a poco sarebbe diventato il suo successore. […] Tuttavia l’esito non è stato esattamente quello promesso, o sperato. Basta leggere i dati Eurostat per rendersene conto: il PIL italiano nell’agosto 2011 era di 0,3 punti sotto la media europea, un anno dopo la «cura» era invece distante ben 2,1 punti rispetto agli altri paesi; il debito pubblico era al 120% del PIL, un anno dopo al 123%; l’inflazione era al 2,1% ed è salita al 3,6; la disoccupazione ha toccato il record del 10,8% contro l’8,1% dell’anno prima. E ancora: la benzina è arrivata a costare 2 euro al litro; la produzione industriale è crollata del 20%; il costo dei mutui è aumentato e per comprare una casa, adesso, occorre impegnare oltre il 30% del proprio reddito.
• L’indice di Gini, dal nome dello statistico italiano Corrado Gini che lo ha messo a punto nel 1965. Si applica ai singoli paesi in una scala da 0 a 1. Il valore 0 indica un’ideale società dove tutti hanno lo stesso reddito e dispongono nella stessa percentuale di benessere economico; il valore 1 corrisponde a una società dove tutta la ricchezza è concentrata nelle mani di una sola persona. Concretamente: valori bassi indicano una distribuzione omogenea, valori alti una diseguaglianza. Il valore più basso è oggi quello della Svezia, con 0,22, il più alto quello del Messico, con 0,46. Misurata con l’indice Gini l’Italia non sta affatto bene: per quanto concerne i redditi, il metro segna 0,322, molto superiore a praticamente tutte le nazioni piu sviluppate. Sono più «uguali» di noi Austria, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Slovenia, Belgio, Canada, Polonia, Ungheria, Irlanda. Peggio di noi solo Usa e Inghilterra, cioè i due paesi occidentali dove le diseguaglianze sono maggiori.
• Il supermiliardario americano Warren Buffett ha inaugurato il trend dei «ricchi responsabili»: «scandalizzato» dalla scoperta che grazie agli sgravi fiscali sulle operazioni finanziarie pagava meno tasse della sua segretaria, ha chiesto un aumento immediato dell’imposizione sui suoi simili.
• In Italia alcuni banchieri, capeggiati dall’ex amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo, hanno lanciato la proposta di una «tassa patrimoniale» sulle grandi ricchezze, per ricavarne la strabiliante cifra di 400 miliardi di euro in un sol colpo: «Dobbiamo tassare i ricchi sul loro patrimonio, non solo sul loro reddito» sono state le importanti e definitive parole che Profumo ha pronunciato il 4 settembre 2011. Due giorni prima un collega banchiere, Pietro Modiano, dalle colonne del Corriere della Sera aveva proposto un’altra patrimoniale, ma da appena 200 miliardi di euro. La CGIL, più modestamente, ne aveva chiesta una da 15 miliardi. Ancora più scarna la patrimoniale sugli immobili proposta dal segretario del PD Pier Luigi Bersani, per soli 5 miliardi di euro.
• Come riassumeva Ettore Petrolini, in una delle sue migliori battute: «I soldi bisogna prenderli ai poveri: hanno poco, ma sono tanti».
• Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Costituzione Italiana, parte I, titolo III, art. 36 Stipendio medio netto dei lavoratori dipendenti: 1286 euro mensili (Eurostat). Soglia di povertà per una famiglia di due persone: 1011,31 euro mensili (ISTAT). Stipendio del direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze: 1700 euro mensili. Stipendio di un ministro italiano: 16.000 euro mensili. Retribuzione media lorda di un top manager: 456.000 euro mensili.
• La distanza tra un superstipendio da capo azienda e un dipendente è in media di 400 volte. Ma si può fare di meglio: al vertice dei più pagati del 2011 spicca Marco Tronchetti Provera, con 22 milioni e 200 mila euro, al lordo delle tasse. L’equivalente della paga annua di 950 operai. Sulla cifra ci si può divertire a giocare: lo stipendio di Tronchetti equivale a 61 mila euro al giorno, cioè la stessa cifra che un lavoratore dipendente mette insieme in tre anni; in un solo mese, dunque, il presidente della Pirelli guadagna quanto un operaio in 80 anni di lavoro.
• I salari medi dei comuni mortali sono invece tra i più bassi d’Europa. In una classifica di 31 nazioni stilata dall’OCSE, gli italiani risultano al 23o posto, seguiti solo da Grecia, Portogallo, Polonia e qualche altro paese dell’Est europeo.
• Tuttavia, sono proprio le magre buste paga italiane a garantire al fisco la quota maggiore di introiti. Il lavoro dipendente e i pensionati, cioè il 68% di tutti i contribuenti, si accollano il 93% di tutta l’IRPEF che ogni anno affluisce nelle casse dell’erario.
• I liberi professionisti, i commercianti, i lavoratori autonomi, dispongono di un reddito medio (dichiarato) di 19 mila euro annui, e contribuiscono all’IRPEF per il 7%.
• I già ricchi emolumenti dei capi azienda sono cresciuti, nell’anno di crisi 2011, del 15%; quelli dei loro dipendenti, dice l’ISTAT, solo dell’1,8%, dunque praticamente zero.
• A parità di prestazione una donna guadagna solo 1131 euro contro i 1407 di un uomo; uno straniero, sempre a parità di prestazione, 973; una donna straniera appena 746. E ancora: i neoassunti con contratti a tempo indeterminato prendono meno di 900 euro; i precari con contratti a termine 836, ma se si tratta di precari donne, come al solito, la cifra scende a 765.
• I precari si avviano a diventare la maggioranza relativa del mondo del lavoro: su 10 nuove assunzioni effettuate nel 2011, 8 sono avvenute con contratti a breve scadenza, come certifica il Rapporto sulla coesione sociale ISTAT dell’aprile 2012.
• Dipendenti di un supermercato del gruppo Coop: 900 euro per il tempo pieno, 700 per il part time. Cassiera del gruppo Zara, 35 anni, 9 di anzianità aziendale: 1100 euro.
Commessa del negozio Lush, 32 anni, con laurea in economia: 1200 euro.
La Coop ha avuto nel 2011 un fatturato di 13,1 miliardi, in crescita del 2%. Lush è la più nota azienda mondiale di cosmetica etica (grande attenzione all’ambiente e ai prodotti naturali, no test su animali ecc.) con un giro d’affari di 150 milioni di sterline e 600 negozi in 43 paesi. Quanto al signor Zara, al secolo Amancio Ortega, stiamo parlando del quinto uomo più ricco del mondo, il primo in Spagna; la sua azienda ha un fatturato di quasi 14 miliardi ed è in crescita costante: è presente in 89 paesi con 90 mila dipendenti, 5500 punti vendita aperti al ritmo di due al giorno, di cui mille solo tra il 2011 e il 2012, i peggiori anni della crisi.
• L’editoria, per esempio, è un mondo quasi fuori controllo. La quantità di mano d’opera a bassissimo costo è enorme, e la passione per un lavoro come il giornalismo (che è ancora in testa alle classifiche dei più ambiti, anche se in realtà è da tempo in declino) gioca un ruolo assolutamente negativo. Pur di piazzare la loro firma sotto un articolo, battaglioni di giovani aspiranti giornalisti si accontentano di tre euro al pezzo, e pagano di tasca propria le spese necessarie per realizzarlo.
• Quello dei giovani giornalisti è un dumping involontario, che viene favorito dagli editori e mai veramente contrastato dai direttori, nemmeno dai più illuminati, da quelli che guidano giornali politicamente corretti e sono sempre pronti a difendere i diritti dei lavoratori: di tutti, ma non di quelli che fanno la fame nelle loro stesse redazioni. Varie proposte di legge per stabilire il principio del «giusto compenso» – un tetto minimo sotto il quale non sia possibile scendere – non sono mai state approvate. Nessun precario di questo settore fa mai sciopero, nessuno risponde mai a un caporedattore: «Per tre euro il pezzo te lo scrivi da solo!». Per uno che dice no, mille sono pronti a subentrare, abbassando ancora di più le richieste. La sindrome di Stoccolma nella sua massima rappresentazione, vittima e carnefice in totale sintonia. Di mezzo ci va tutta la professione giornalistica, destinata a essere sempre più svalutata. Il che renderà anche molto più difficile parlare, in futuro, di libertà di stampa: che libertà ci può essere in chi scrive a tre euro al pezzo?
• L’inferno dei precari è, per definizione, la Rai. Ne ha alle sue dipendenze ben 2000, prestatori d’opera con partita IVA obbligatoria, sottopagati, carne da cannone a basso costo e senza alcuna garanzia: sta di fatto però che sono loro a mandare avanti la baracca, consentendo alle trasmissioni radio e tv (anche le più prestigiose) di andare in onda. A fronte dei compensi milionari di molti conduttori (che ottengono tra i 600 mila euro e il milione a stagione), chi fa il lavoro duro in radio e tv di Stato (ma lo stesso vale anche per Mediaset) prende una miseria e non può nemmeno contare sulla visibilità che conferisce una firma sul giornale: per il pubblico tv i redattori sono fantasmi, esattamente come per la dirigenza Rai.
• Sui quasi 17 milioni di pensionati italiani, la metà prende meno di 1000 euro al mese (il che ha indotto perfino l’INPS a lanciare un allarme sul rischio di un’ondata di povertà tra chi cessa il lavoro), 3 milioni meno di 500 euro, mentre 2 milioni di fortunati pensionati d’oro stanno sopra i 2000 euro.
• I docenti raggiungono in teoria il top dello stipendio (4148 euro mensili per un professore associato, 5400 per un ordinario) dopo 57 anni di carriera: come ci si possa arrivare, dovendo andare comunque in pensione a 70, non è chiaro; chiarissimo, invece, per quale motivo l’università è diventata uno dei regni principali della vituperata gerontocrazia.
• I ricercatori: sottopagati per definizione, anche quando assunti regolarmente (cosa che non avviene mai prima dei 38-40 anni) devono accontentarsi di 1334 euro netti; dopo tre anni salgono a 1667, ma arrivano a 2507 euro solo dopo altri vent’anni. Per toccare il massimo, cioè la folle cifra di 3000 euro netti al mese, ci vorrebbero teoricamente 51 anni di servizio; ma a quel punto l’ex giovane ricercatore avrà la veneranda età di novant’anni.
• Anna Lo Bianco, che da 13 anni dirige la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, con 40 persone alle sue dipendenze, prende 1765 euro al mese: «quando i custodi sono venuti a sapere del mio stipendio mi hanno espresso la loro solidarietà: sono pagati quanto me».
• Il direttore del MoMA di New York, il più pagato in assoluto, ha uno stipendio di 1.700.000 dollari. Ma anche senza arrivare a queste vette, i suoi colleghi internazionali hanno buste paga adeguate al ruolo. Al Louvre, per dire, la curatrice della sola sezione dedicata alle opere del Seicento e Settecento guadagna 4000 euro netti al mese. Perfino nella Spagna della crisi il direttore di un museo prende 60 mila euro netti l’anno.
• La busta paga più pesante è quella del capo della polizia Antonio Manganelli: 621 mila euro annui. Molto al di sopra rispetto al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, che si ferma a 462.642 euro. Il che potrebbe spiegare la nota rivalità tra le due Armi.
• Il capo di Scotland Yard guadagna la metà di Manganelli (253 mila sterline, pari a 300 mila euro), il capo dell’FBI statunitense 155 mila dollari (poco più di 100 mila euro), circa sei volte meno. In compenso, le forze dell’ordine italiane sono tra le peggio pagate d’Europa: 1200 euro come primo stipendio, che con gli scatti di anzianità arriva poi a circa 1600 euro, contro le cifre ben più consistenti che ricevono in Francia (1680 euro come primo stipendio), Spagna (1420 euro), Germania (1626), Gran Bretagna (3200). Una miseria cronica che costringe circa 100 mila tra poliziotti, carabinieri ecc., a un doppio lavoro, per di più solo nel 10% dei casi autorizzato.
• A Roma, su 90 volanti a disposizione (teorica) della Polizia, ne circolano solo 15: le altre 75 sono ferme in garage in attesa dei fondi necessari a riparare motori e carrozzeria e a cambiare le gomme.
• Le retribuzioni dei parlamentari (consultabile sul sito del governo) fa emergere che: per 12 mensilità annue i deputati percepiscono 11.293 euro lordi (al netto meno di 7000 euro) sotto la voce «indennità parlamentare»; 3500 euro (esentasse) per le spese di vitto e alloggio a Roma; 1337 euro (esentasse) per le spese di trasporto (cui si aggiunge la libera circolazione marittima, autostradale, ferroviaria e aerea: in pratica, questi 1337 euro servono a pagare i taxi a Roma); altri 3600 euro per pagare i collaboratori, lo staff ecc. Qualcosa di più spetta ai senatori.
• Il Ministro Paola Severino ci tiene a precisare che le tasse le ha pagate: 4 milioni di euro dei 7 dichiarati sono andati al fisco.
• I primi venti top manager italiani nel 2011 hanno incassato circa 90 milioni di euro; i primi 43 superburocrati dello Stato si fermano a 16 milioni complessivamente; i venti ministri del governo Monti, sempre complessivamente, arrivano a 4 milioni.
• Esaminando le 38 società comprese nell’indice FTSE MIB (che considera le principali aziende quotate alla Borsa di Milano, cioè quasi il 90% della capitalizzazione di Piazza Affari) si evidenzia che, a fronte di un aumento complessivo degli emolumenti dei vari manager pari al 15% in un anno, le società hanno perso il 19% in termini sia di valore delle azioni che di dividendi distribuiti agli azionisti.
• 16 milioni e 600 mila euro sono stati concessi dalle Assicurazioni Generali a Cesare Geronzi, come premio di uscita: una cifra equivalente a 11 anni di stipendio, malgrado il banchiere laziale sia rimasto a Trieste appena dodici mesi. La liquidazione di Generali va poi sommata ai 9 milioni e rotti che Geronzi ha ottenuto da Mediobanca per venti mesi di lavoro come presidente, e a quella di Capitalia, lasciata nel 2007 dopo 25 anni con un addio da 20 milioni di euro. In totale, in appena 4 anni, 46 milioni di buonuscite.
• Degni di nota anche i 66 mila euro di Enrico Cucchiani, nominato AD di Banca Intesa Sanpaolo a fine 2011, in sostituzione di Corrado Passera, che aveva lasciato per diventare ministro. Per inciso: la liquidazione di Passera è ammontata a solo 1 milione e mezzo di euro, esattamente quanto gli spettava per gli anni di lavoro a Intesa. La cifra ottenuta da Cucchiani, invece, anche se non sembra enorme, è stata percepita per un tempo di lavoro davvero microscopico: una sola settimana. Un record. A chi gli faceva notare che, forse, 66 mila euro erano un po’ troppi per sette giorni, cinque escludendo il weekend, il banchiere ha risposto: «Non ho famiglia né figli, alla mia morte lascerò tutto in beneficenza».
• Sergio Marchionne, con una battuta che non l’ha reso popolare benché, forse, contenesse alcune verità: «un operaio non farebbe il cambio con me, considerando la vita che faccio».
• La metà esatta dei contribuenti dichiara redditi inferiori a 15 mila euro annui; che 11 milioni di italiani sono, per il fisco, a reddito zero; che gli imprenditori, i professionisti, i lavoratori autonomi, sono più poveri dei loro dipendenti; che solo un italiano su cento afferma di guadagnare oltre 100 mila euro e ancora meno oltre 300 mila: lo 0,07%.
• In Italia sono immatricolati 100 mila yacht superiori ai 10 metri, duemila aerei privati, 600 mila auto di grossa cilindrata. Chi li possiede? I dati fiscali dicono che i proprietari sono quasi tutti tra i poveri. Quasi metà della flotta privata nazionale, cioè ben 42 mila barche, appartiene a persone che dichiarano al fisco appena 20 mila euro annui; altre 27 mila sono di contribuenti che stanno tra i 20 e i 50 mila euro; 16 mila sono intestate a cittadini più facoltosi, con entrate annuali che vanno dai 50 ai 100 mila euro. Ai ricchi veri restano le briciole: 14 mila barche in tutto.
• Un terzo delle Ferrari, delle Maserati, dei super SUV e via dicendo che circolano sulle strade italiane appartiene ai soliti poveracci da 20 mila euro l’anno, un quarto addirittura a miserabili con reddito zero. E che dire dei 518 elicotteri che appartengono ad altrettanti pezzenti con reddito da cassaintegrati? Li useranno per recarsi alla mensa della Caritas? E i 604 jet privati – costo medio 35 milioni di euro l’uno – intestati a cittadini con reddito annuo lordo da 50 mila euro, cioè meno di un terzo rispetto allo stipendio del pilota?
• L’identikit dell’evasore nazionale l’ha tracciato un’altra ricerca della Banca d’Italia: ha meno di 45 anni, è maschio, vive al Nord, di mestiere è imprenditore o commerciante, sottrae all’erario, in media, il 50% dei suoi guadagni.
• I cosiddetti rentiers, cioè chi ha la fortuna di vivere di rendita affittando le case di sua proprietà, hanno un tasso di evasione dell’83% e certificano al fisco, in media, meno di 4 mila euro l’anno, incassandone sei volte di più. E stiamo parlando di un altro milione di contribuenti.
• Nel complesso, ogni italiano evade 2093 euro l’anno come cifra media. Per contro, chi le tasse non può fare a meno di pagarle si accolla, sempre mediamente, 3000 euro l’anno di sovrattassa per compensare quanto sottratto da chi non paga: l’equivalente di due mesi di stipendio, che in tempi di crisi bastano a fare la differenza tra stare di qua o di là rispetto alla soglia della miseria.
• Geograficamentesi ruba più al Centro-Nord che nel Mezzogiorno, o meglio: nel povero Sud l’evasione è estremamente diffusa come fenomeno, ma le risorse sottratte al fisco nel ricco Settentrione hanno valori assoluti molto superiori.
• Entrate fiscali 2010:
406 miliardi Contribuenti: 41,8 milioni
Persone che dichiarano da 0 a 15.000 euro: 20 milioni
Da 15.000 a 35.000 euro: 17 milioni
Da 35.000 a 100.000 euro: 3 milioni e mezzo
Sopra i 100.000 euro: 398.000
Sopra i 300.000 euro: 30.000
Sopra i 500.000 euro: 3106
Sopra il milione di euro: 682
• Secondo uno studio della Corte dei Conti, dal 1900 i condoni effettuati sono stati 58, vale a dire uno ogni due anni. Ma ben 21 sono avvenuti in soli 26 anni, tra il 1977 e il 2003. Valore complessivo delle somme evase condonate: 2000 miliardi. Valore complessivo delle somme recuperate dallo Stato: 104 miliardi.
• Tremilacinquecento euro al mese: secondo uno studio statunitense è questo il prezzo della felicità, cioè il reddito necessario per una vita serena e soddisfacente.
• 698 euro: rata media mensile di un mutuo (ABI-Agenzia del Territorio).
23 anni e 5 mesi: tempo necessario per estinguere il mutuo (ABI-Agenzia del Territorio). 71.000: cittadini italiani che vivono in baracche e roulotte (ISTAT). [97]
Nel 2012 almeno 40 mila italiani hanno comprato casa in altri paesi. Malgrado la crisi e l’economia ferma, siamo comunque nel club dei migliori investitori immobiliari del mondo. La Svizzera è una delle destinazioni preferite: nel municipio di Lugano oltre il 21% dei 57 mila residenti è costituito da cittadini italiani.
• A Londra gli italiani si fanno notare nella classifica dei top buyers, rilevando l’8% di tutte le transazioni immobiliari della capitale britannica.
• Siamo anche quarti negli USA, dove da anni compriamo case tra New York (con una predilezione per il Greenwich Village) e Miami, così come siamo tra i più affezionati acquirenti di mattone a Montecarlo e a Parigi.
• Nell’ultimo censimento dell’ISTAT risulta che sono oltre 71 mila gli italiani che vivono in baracche, tende, roulotte. Nel 2001 erano appena 23 mila, sono più che triplicati in un decennio.
• Crollo del settore «avancassa» nei supermercati, cioè quella sequenza di scaffali posizionati strategicamente accanto alle casse, dove si è costretti a passare e dove occhieggiano tentazioni «mini» come caramelle, gomme americane, barrette di cioccolata ecc. Sono quei generi che finiscono nel carrello per riflesso condizionato: costano pochi spiccioli, non ci si fa quasi caso. Da un anno, invece, ci si fa caso, eccome: tanto che le mitiche avancasse, per la prima volta, hanno registrato un calo di fatturato del 7%.
• Al supermercato si tende sempre più ad andare senza i bambini al seguito; ai loro capricci davanti a succhi di frutta, merendine e ovetti è difficile resistere, dunque meglio lasciarli a casa, si risparmia.
• La colazione al bar si dimezza: era l’abitudine quotidiana per il 13% degli italiani, ora solo l’8% si consente di spendere i tre euro necessari per cappuccino e cornetto.
• Il regalo natalizio che un imprenditore ha inviato al sindaco di Bari, Michele Emiliano: champagne, vino, formaggi, e inoltre quattro spigoloni, 20 scampi, 50 ostriche imperiali, 50 cozze pelose, 8 astici, 2 chili di seppioline.
• I pacchi dono, sempre natalizi, inviati a mezza Italia dal faccendiere amico di Formigoni Pierangelo Daccò: 252 panettoni artigianali, 497 bottiglie di Barco Reale, 296 scatole di cantuccini alle mandorle, centinaia di confezioni di zucchine sott’olio, quintali di prosciutto disossato, pomodori sott’olio, composte al vinsanto, tavolette di cioccolato all’olio extravergine d’oliva, per un totale di oltre 300 mila euro, a cui occorre aggiungere i 40 mila euro per le casse di champagne Echezeaux 2007 Grand Cru.
• I pranzi d’affari del faccendiere Adriano Zampini, che negli anni Novanta portava all’estero gli assessori e li faceva ingozzare: «una volta, a Stoccolma, eravamo sei o sette, spendemmo due milioni e mezzo di lire, bevemmo un paio di casse di Veuve Clicquot e finimmo a pallettate di caviale in faccia».
• La metà dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni sa leggere solo nel senso che distingue una lettera dall’altra, ma non è in grado di comprendere il significato di ciò che sta leggendo.
• Il 65% della popolazione adulta non possiede le competenze minime per orientarsi nella società dell’informazione, ed è quel che si definisce «analfabeta funzionale»; un altro 20% ha solo gli strumenti minimi per leggere, scrivere e fare di conto ma non è in grado di comprendere un semplice grafico; meno del 10% possiede tutti gli strumenti necessari per definirsi completamente colto.
• Uno studio della Fondazione Agnelli, condotto su oltre mille istituti e su 145 mila diplomati, dimostra che nelle classifiche le scuole statali stanno in cima mentre quelle private restano in coda. La conclusione della Fondazione non lascia dubbi: «Nonostante la presenza di alcune realtà di chiara eccellenza, la performance della maggior parte delle scuole non statali è deludente rispetto a quelle statali». La controprova arriva con il rapporto OCSE-Pisa: nel 2009, depurando i dati sulla capacità di apprendimento dei nostri studenti dalla «zavorra» di quelli provenienti dalle private, la scuola italiana risulterebbe perfettamente in linea con la media OCSE.
• Per iscrivere il rampollo all’università, osserva l’economista Andrea Ichino, una famiglia con un reddito da 15 mila euro annui pagherà 874,83 euro all’anno, quasi il 6% del suo bilancio: un aggravio non da poco per chi fatica ad arrivare a fine mese, e sufficiente a scoraggiare molti nel proseguire gli studi. Ma più il reddito sale, più scendono in proporzione le tasse: per le famiglie che dichiarano 40 mila euro l’iscrizione all’anno accademico costa 1746,79 euro, pari solo al 4,3% del bilancio. Ancora più favorite le famiglie da 100 mila euro: pagano la tassa massima, che tuttavia per legge non può essere superiore a circa duemila euro, e dunque sborsano solo il 2% per cento del loro reddito complessivo. Sintetizza Ichino: i poveri, con le loro tasse, pagano l’università pubblica ai ricchi.
• Il padre operaio avrà nel 50% dei casi un figlio operaio, un padre imprenditore avrà nel 60% dei casi un figlio imprenditore, perpetuando la segregazione di classe.
• In Lombardia il contributo agli istituti privati ammonta a 51 milioni e 460 mila euro, contro i 24 milioni e 589 euro che la stessa Regione eroga alle scuole pubbliche. Gli iscritti alle scuole pubbliche lombarde sono quasi un milione, quelli delle private 98 mila, e il conto dunque è semplice: solo tre euro e trenta centesimi per gli studenti pubblici, 478 per quelli privati.
• Nel solo 2009, anno terzo della crisi, si sono realizzate 52 mila operazioni alle palpebre, 50 mila liposuzioni, 44 mila nasi, 42 mila seni.
• Se proprio non volete badare a spese potete farvi spedire nello spazio: la Virgin Galactic di Richard Branson organizza per la modica cifra di 200 mila euro un volo degno dell’Enterprise. Le prenotazioni sono in corso, al momento già 500 coraggiosi futuri astronauti hanno sborsato la caparra per aggiudicarsi un posticino a bordo, tra i quali la Virgin segnala con orgoglio Ashton Kutcher, ex marito di Demi Moore.
• Si può scendere con un piccolo sommergibile fino a 3800 metri, per vedere da vicino il relitto del Titanic: la visita dura dieci ore, costa 45 mila euro a persona ed è certamente più eccitante di una semplice gita all’isola del Giglio per ammirare la Costa Concordia arenata sugli scogli.
• Record di Sergey Brin e Larry Page (i giovani fondatori di Google, collezionando ormai ben otto jet personali e non sapendo dove parcheggiarli, per la modica cifra di 33 milioni di dollari hanno affittato dalla NASA un intero hangar spaziale).
• Gioiellini volanti: il più bello, dicono gli esperti, è quello che Diego Della Valle si è regalato nel 2011: un Gulfstream 55 bireattore, 13 mila chilometri di autonomia senza scalo. Gli interni sono all’altezza della reputazione: salottino privato, due divanetti con schermi tv da 24 pollici e sei posti singoli. Il tutto per poco più di 50 milioni di dollari.
• La spesa media delle famiglie in vacanza è stata, nel 2012, di appena 740 euro.
• Trasporti: una voce che in un solo anno, stando ai dati ISTAT, è aumentata sui bilanci famigliari di quasi il 13%. Un pieno di benzina a luglio 2012 costava 12 euro in più che nel luglio 2011, i biglietti aerei sono aumentati del 10%, le tariffe di parchimetri e pedaggi autostradali del 5%, bus e pullman del 4%. In alcune città, come Roma e Milano, i biglietti di bus, tram e metro sono saliti da un euro a un euro e 50: e se sembra poco, è pur sempre il 50% in più di ieri.
• Nel corso del 2011, è avvenuto lo storico sorpasso: per la prima volta le vendite di biciclette hanno superato quelle delle auto, con 1.748.143 quattro ruote immatricolate contro 1.750.000 due ruote a pedali.
• Diecimila sterline al metro quadro per uno spazio a Bond Street, la via dei negozi chic di Londra. È questo l’affitto stratosferico pagato senza battere ciglio nel 2012 da Ferragamo, la storica casa italiana del lusso, che non ha badato a spese per piazzare uno store in una delle dieci strade più costose del globo.
• Il famoso profumo di Christian, «1», caro alla regina Vittoria è anche il più caro del mondo: confezioni che vanno da 3900 a 30 mila euro, a seconda del carato del diamante che le decora.
• Inflazione: nel 2102, a fronte di un costo della vita che per i comuni mortali è aumentato di oltre il 3%, quello che riguarda i super-ricchi del mondo è sceso dell’1,6%. In altre parole: la vita costa, mentre la bella vita costa un po’ meno.
• Tramontate le carte oro e le platino, in un certo mondo si fa riferimento, piuttosto, all’American Express Centurion Black. Così esclusiva da non essere nemmeno pubblicizzata dalla compagnia (i titolari, infatti, hanno un loro sito semisegreto e assolutamente riservato), si ottiene solo per invito, è destinata a non più di 10 mila persone al mondo (di cui un centinaio, pare, in Italia), non ha limiti di spesa ma prevede che chi la possiede spenda almeno 250 mila dollari l’anno.
• Amancio Ortega, inventore del marchio Zara, ha accumulato una fortuna personale che equivale al 3% del PIL spagnolo.
• I nuovi poveri “da separazione” costituiscono infatti il 13% dei «clienti» che si affollano alle mense della Caritas, ma di questi ben il 67% sono donne, contro appena il 33% degli uomini. Confermano i dati ISTAT che nelle classifiche di povertà risulta l’1,6% dei maschi separati, contro il 3,5% delle donne.
• «Azzardopoli» è ormai la terza azienda nazionale, con un fatturato che supera gli 80 miliardi. E nessuna «economia» si incrementa altrettanto velocemente: nel 1994 il fatturato del settore arrivava a 6,5 miliardi, dieci anni dopo, nel 2005, era aumentato di quattro volte. Dal 2006 la crescita è diventata esponenziale: 35,2 miliardi di raccolta nel 2006, e poi 42,1 nel 2007, che salgono a 47,5 nel 2008, arrivano a 54,4 nel 2009, a 61,4 nel 2010, fino ai 79,9 del 2011. Per il 2012, l’agenzia dei Monopoli, che controlla il settore, ha annunciato un ulteriore incremento del 20%. Un record che mette l’Italia ai primi posti nella classifica mondiale, oltre a renderla l’unico paese al mondo ad aumentare il numero delle giocate da quando è scoppiata la crisi: più 25% ogni anno, mentre nel resto del mondo calano del 5%. La nuova Las Vegas è Roma: nella capitale c’è la più alta percentuale di slot machine e videopoker d’Italia, tutti collocati strategicamente nei quartieri più periferici e popolari; ché i ricchi dei Parioli, per dire, mica sono così stupidi.
• In media ogni italiano, neonati compresi, spende all’anno circa 1500 euro tra Gratta e Vinci, lotterie, slot, videopoker, scommesse ecc.
• Tra chi ha un lavoro a tempo indeterminato la percentuale che dichiara di giocare d’azzardo è il 70,8%, ma sale al 73% nel caso dei disoccupati, all’80,2% tra i precari e tocca l’apice con i cassaintegrati, quasi il 90%.
• Atene: per supplire ai tagli alla spesa pubblica e arrotondare i bilanci, si è infatti deciso di dare in affitto gli agenti della polizia di Stato ai privati o alle società con particolari esigenze di sicurezza. Con tanto di dettagliato listino prezzi: un singolo poliziotto costa 30 euro l’ora, e con altri 40 euro si può avere, assieme all’agente, anche una volante con relativa sirena. Per chi non bada a spese c’è poi la possibilità di affittare una guardia costiera, alla modica cifra di 200 euro, o addirittura un elicottero per soli 1500 al giorno.
• La cifra che l’amministratore delegato della Thyssenkrupp Harald Espenhahn, con una mail inviata a Torino pochi mesi prima dell’incendio, ordina di non spendere per l’impianto di corso Regina è di appena 800 mila euro: circa un terzo della retribuzione annuale di un manager di primo livello, oppure, se confrontata alle buste paga degli operai, otto anni di retribuzione netta per ciascuno dei sette morti.
• 1936,80 euro che sono toccati a Matteo Armellini, 32 anni, romano, morto sepolto sotto le travi del palco che stava allestendo per il concerto di Laura Pausini.
• Per alleggerire la situazione giudiziaria di Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, i marò accusati di aver ucciso due pescatori al largo del Kerala, il nostro governo ha versato a ciascuna delle famiglie delle vittime 10 milioni di rupie, pari a 146 mila euro. Una somma con cui si può vivere da nababbi, da quelle parti. Ma questo non vuol dire che i locali non sappiano fare i conti: la prima offerta, 7 milioni di rupie, 100 mila euro, è stata rifiutata perché troppo bassa.
• Vincenzo Capulli, operaio dell’Ilva intervistato da un quotidiano nei giorni della rivolta: «ho 25 anni, se resto senza lavoro non potrò mai permettermi una famiglia, una vita. Il cancro? Dicono che comunque non mi verrà prima dei settant’anni, e a quel punto che mi frega di morire? Almeno avrò vissuto lavorando e non da disoccupato».
• Dati forniti dall’Eures in un rapporto presentato il 17 aprile 2012: nel corso del 2010 i suicidi per «miseria» sarebbero ben 347, uno al giorno.
• Biglietto di addio scritto da Dimitris Christoulas, il pensionato greco di 77 anni che il 4 aprile 2011 s’è tolto la vita in piazza Syntagma, ad Atene: «il governo ha annientato la mia capacità di sopravvivenza, basata su una pensione cui avevo contribuito per 35 anni. Non trovo alternative a una conclusione dignitosa prima di finire a rovistare tra la spazzatura per vivere».
• L’ISTAT avverte: non c’è alcun «caso» suicidi economici, tutto è nella norma. E in ogni caso, osservano all’istituto di statistica, quelli che si tolgono la vita per amore sono ancora il doppio esatto di quelli che lo fanno per denaro. Il che, a questo punto, è quasi una buona notizia.
• La signora Laura De Nardo, trevigiana, per liberarsi del marito ha assoldato due killer, pagandoli 200 mila euro in due tranche: una come acconto, l’altra a omicidio avvenuto. In ballo c’era una notevole eredità. Anche lei è stata scoperta, arrestata e processata. In tribunale ha offerto ai parenti della vittima un indennizzo di 80 mila euro: meno della metà di quanto pagato al killer per ucciderla.
• I professionisti costano: 150 mila euro e una Mercedes di seconda mano sono stati la paga di Ruslan Cojocaru, trentenne moldavo che il 21 novembre del 2011 ha assassinato, su mandato di un imprenditore italiano, una coppia di Brusio, Giampiero Gatti e sua moglie. Uccisi a sprangate, per motivi economici.
• Gianfranco Bona, cinquantenne, milanese, titolare di un’impresa di trasporti in difficoltà economiche, aveva chiesto e ottenuto un prestito di 270 mila euro dall’amico farmacista Luigi Fontana. Ma proprio non ce la faceva a restituirli. Così ha deciso di risolvere il problema alla radice: ha offerto all’amico un aperitivo (per la cronaca: un Crodino) e strada facendo lo ha corretto col cianuro. Scoperto, al pm che lo interrogava ha spiegato che inizialmente pensava di usare il veleno per suicidarsi, essendo ormai schiacciato dai debiti. Ma all’ultimo momento aveva cambiato idea e lo aveva versato nel bicchiere del farmacista. Fontana è morto dopo nove giorni di coma, Bona è in carcere, i 270 mila euro, nel caso, saranno riscossi dagli eredi.
• A Porto Empedocle, primavera del 2012, un tale si è presentato in un ufficio postale dichiarando il classico «questa è una rapina». Ma con convinzione talmente scarsa che nessuno, tra i presenti, lo ha preso sul serio. Allora si è sfogato: disoccupato, due figli piccoli, molta fame, zero lavoro. La gente ha capito, e ha organizzato all’istante una colletta, raccogliendo 100 euro. E quando è arrivata la polizia il poveraccio era ancora lì che ringraziava tutti.
• A Roma, in via Palmiro Togliatti, giugno 2012, un pregiudicato entra in una banca e minaccia: «Non sono qui per aprire un conto, datemi i soldi o salta tutto». Poggia sul bancone un pacco malamente confezionato, un groviglio di fili elettrici raffazzonati, una similbomba. Ma non regge l’emozione, gli viene un infarto: per fortuna sono intanto arrivati i carabinieri, che lo caricano sulla volante e lo portano a sirene spiegate all’ospedale Sandro Pertini. Operato d’urgenza, se la caverà con qualche giorno di ricovero, ringraziando commosso, insieme ai suoi familiari, i carabinieri per avergli salvato la vita.
• Pietro De Carlo, geometra, cinquantenne, incensurato, disoccupato, tenta un colpo in una gioiellieria di via Sistina a Roma. «Ho perso il lavoro da anni, non ho più un soldo, sono un morto di fame, è stata la mia prima rapina» ha detto al vicequestore Massimo Improta che lo infilava sulla volante, direzione Regina Coeli. De Carlo si era presentato al negozio alle 13, ma stava chiudendo. Il gioielliere gli ha detto: «Riapriamo alle 16». Lui, puntuale, si è ripresentato. Prova a fare il duro, ma non è il suo genere: mentre scappa è placcato da due passanti, scaraventato a terra, disarmato, ammanettato e caricato su una volante. Nello zaino, una Beretta calibro 9 e catenine d’oro per 30 mila euro.
• 21 mila sono i miliardi di dollari che i super-ricchi del mondo hanno trasferito in conti correnti e in strutture finanziarie segrete nascoste nei paradisi fiscali. Una cifra enorme, che, tanto per dare l’idea, è pari al valore dell’intera economia americana più quella giapponese.
• I 21 mila miliardi, inoltre, si riferiscono esclusivamente al denaro cash depositato sui conti; aggiungendo beni come yacht, ville e simili, avverte il rapporto di Henry, si arriva addirittura a 32 mila miliardi.
• Centoquarantasette sono le multinazionali che controllano l’intera economia mondiale. 147 imprese, tutte strettamente connesse tra di loro, di cui la maggioranza sono banche, e guarda caso, ancora una volta, vi compaiono gli stessi nomi di sempre, gli stessi dei paradisi fiscali di James Henry, gli stessi che controllano il mercato dei derivati. Nel rapporto del Politecnico di Zurigo spiccano le americane JP Morgan, Merrill Lynch, Barclays, Goldman Sachs, Bank of America, le europee UBS, Deutsche Bank, Credit Suisse, BNP Paribas, fino al nostro UniCredit.
• Circa 6 miliardi di dollari si sono mossi per decidere chi sarà l’inquilino della Casa Bianca, e sulla base di interessi puramente economici.
• L’Italia dispone di una ricchezza privata da novemila miliardi (di cui 5 mila miliardi derivanti da patrimonio immobiliare [12]): quasi cinque volte il debito pubblico. I dieci italiani più ricchi possiedono quanto i tre milioni più poveri, i primi venti manager guadagnano quanto quattromila operai.
• Oltre 4 mila miliardi di euro, appartengono a una piccola minoranza pari al 10% della popolazione: sei milioni di persone che vivono nell’assoluto benessere. Al 90% dei cittadini, 54 milioni di persone, resta da dividersi l’altra metà.
• Ricchezza privata in Italia: 8640 miliardi.
Debito pubblico in Italia: 1972 miliardi.
Famiglie ricche: 2,5 milioni.
Famiglie molto ricche: 240.000.
Famiglie povere: 3,2 milioni.
Famiglie molto povere: 1,4 milioni.
• Il debito pubblico è spalmato su 60 milioni di cittadini, per una quota di circa 32 mila euro ciascuno.
• Teoricamente, infatti, siamo molto più ricchi di quanto non fossimo negli anni del boom economico; nel 1965 la ricchezza complessiva era pari all’equivalente di un miliardo e 137 milioni di euro, contro gli oltre 8 mila miliardi del 2011; quella pro capite pari superava di poco i 21 mila euro, contro i 142 mila dei nostri giorni. E siamo ricchi anche nel confronto internazionale: la ricchezza delle famiglie italiane nel 2010 era pari a 8,3 volte il reddito disponibile, contro il 7,5 della Francia, il 7,8 della Germania, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli USA.
• Le famiglie più ricche d’Italia: In testa c’è la famiglia Ferrero, il cui patron Michele ha messo insieme una bella sommetta: 19 miliardi di dollari, come patrimonio personale. Al secondo posto c’è Leonardo del Vecchio, fondatore del colosso degli occhiali Luxottica, con una fortuna, sempre personale, di 11 miliardi di dollari. Seguono due star della moda: Giorgio Armani, con 7,2 miliardi, e Miuccia Prada, con 6,8 miliardi. Al quinto posto ci sono i fratelli Paolo e Gianfelice Rocca: i proprietari del gruppo Techint contano su un patrimonio di 6 miliardi. “Solo” al sesto posto, quello che agli occhi della maggioranza degli italiani è il ricco per eccellenza, ovvero Silvio Berlusconi, con un patrimonio di 5,9 miliardi. Era primo in classifica nel 2004, poi è sceso al terzo posto nel 2008, e infine è precipitato al sesto, se così si può dire. Segue al settimo posto il signor Prada, cioè Patrizio Bertelli, consorte di Miuccia, con 3,7 miliardi. All’ottavo c’è un nome poco noto, Stefano Pessina, ex ingegnere nucleare e oggi patron di Alliance Unichem, con 2,6 miliardi. Al nono la famiglia Benetton: Carlo, Gilberto, Giuliana e Luciano possiedono un patrimonio da 2 miliardi ognuno. In coda alla classifica c’è Mario Moretti Polegato, 1,8 miliardi dovuti al successo del marchio Geox.
• Rispetto al 2011 le new entry sono i due Prada e i Rocca; usciti invece i Caltagirone, i Della Valle, Ennio Doris. Fuori dalla top ten alcune grandi famiglie del capitale nazionale: i Pirelli, i Tronchetti Provera, i Puri Negri, imparentati per nozze e affari; gli Agnelli, nelle loro ramificazioni; i Riva, proprietari delle acciaierie del gruppo Ilva, e poi i Marcegaglia, i Montezemolo, i Romiti, i De Benedetti, i Marzotto, e via dicendo.
• Il patron dell’Ilva, Emilio Riva, ottantenne, è passato alla storia per aver acquistato in contanti il gruppo, pagandolo con un assegno circolare da 760 miliardi.
• Dalla famiglia deriva una bella fetta dei patrimoni complessivi degli italiani: il 35% è infatti frutto di eredità, il che contribuisce anche al consolidarsi della ricchezza in poche mani.
• Solo l’8% di chi è nato in famiglie del ceto medio ha una chance di salire anche solo leggermente nella scala sociale.
• Quanti sono i veramente poveri? 3.200.000 famiglie (circa otto milioni di persone) che non hanno nemmeno quella cifra minima ritenuta indispensabile per la sopravvivenza, 1011,3 euro al mese, la soglia che la statistica indica come quella della povertà relativa, il minimo che occorre per i consumi base.
• 1 milione e 400 mila famiglie poverissime, in totale tre milioni e mezzo di persone, non solo non arrivano a 1000 euro, ma nemmeno a 500: la miseria nera, che costringe a frequentare i dormitori pubblici, a scegliere le mense di carità.
• I nuovi poveri che in quattro anni, dal 2007 al 2011, si sono rivolti alla Caritas per bisogni primari, sono aumentati del 14%, ma questa è solo la media nazionale: al Sud l’aumento è del 74%.
• Quasi due milioni di bambini in Italia rientrano nella fascia di povertà assoluta (di cui 700 mila al Sud).
• I più ricchi sono anche i più vecchi. Per la prima volta negli ultimi decenni il rapporto tradizionale si è invertito: le nuove generazioni viaggiano inesorabilmente verso la miseria mentre le anziane si godono i frutti dell’accumulazione concessa loro da anni di benessere pre-crisi. Gli inquilini dei piani alti di palazzo Italia hanno tra i 55 e i 64 anni, mentre gli under 35 sono tutti al piano terra, inchiodati in basso da un capitale medio di appena 40 mila euro a testa. In sostanza, la metà delle persone nate tra il 1948 e il 1955 appartiene al terzo più ricco del paese, mentre il 90% dei nati tra il 1975 e il 1980 è confinato nella parte più povera.
• L’80% della popolazione italiana possiede una casa di proprietà.
• Altri 1500 miliardi costituiscono gli investimenti finanziari: il 90% degli italiani – quindi una percentuale addirittura più elevata di chi possiede una casa – ha messo i suoi risparmi in azioni, obbligazioni, titoli di Stato ecc.
• Ma penetrare il mondo dei ricchi è difficile, anche se solo a fini di studio. Lo conferma la Banca d’Italia, nelle note conclusive all’indagine biennale sui redditi degli italiani pubblicata nel gennaio 2012. I curatori rilevano «la reticenza delle famiglie a dichiarare le proprie fonti di reddito o le forme di attività finanziarie e reali possedute. Sebbene la partecipazione all’indagine sia volontaria – scrivono – e il contenuto noto all’intervistato fin dall’inizio, è possibile che talvolta questi non risponda con totale sincerità alle domande più delicate, quali quelle riguardanti il reddito e la ricchezza». Il risultato è che, malgrado la garanzia dell’anonimato, «non sempre» le risposte rilasciate al questionario proposto dalla Banca d’Italia «sono coerenti con altri dati statistici» [...]
Inoltre, la «sincerità» degli intervistati, così come l’hanno testata sul campo gli stessi ricercatori, «è più elevata tra le famiglie meno benestanti», mentre precipita in quelle più ricche, «specie se con capofamiglia imprenditore o lavoratore autonomo». Ma, soprattutto, pare sia davvero molto complicato riuscire a convincere i ricchi a parlare di sé: e la difficoltà, si legge ancora nel rapporto della banca centrale, «è crescente al crescere del reddito, della ricchezza, e del titolo di studio del capofamiglia».
• Il dato che colpisce è che le somme stabilite dagli indicatori di povertà (1011,13 euro al mese per una famiglia di due persone con figli) sono molto vicine alle medie delle retribuzioni nazionali: 1286 euro per un lavoratore a tempo pieno indeterminato, 700 per un lavoro part time, 800 euro per un precario.
• Tra i soggetti più poveri, o maggiormente a rischio, ci sono innanzi tutto le donne, i giovani, gli immigrati, le famiglie con figli, gli abitanti delle regioni meridionali, gli over 65 anni. In pratica si salvano in pochi: i maschi adulti tra i 55 e i 64 anni, chi vive al Nord, chi non ha figli.
• Particolarmente esposte al rischio povertà sono le divorziate: il 24%, contro il 13% degli uomini nella stessa situazione (anche se gli uomini se ne lamentano molto di più).
• Chi fa figli paga pegno, e molto pesantemente: la percentuale di poveri sale dal 2,6 delle coppie senza figli al 4 di chi ne ha solo uno (il 5,7 se il figlio è minorenne), al 4,9 di chi ne ha due, fino a impennarsi al 10,4 per chi ne ha tre.
• In Italia le famiglie monoreddito sono purtroppo la metà del totale, e le donne al lavoro solo il 35%, percentuale che scende di molto al Sud, dove è disoccupata la metà delle donne e soprattutto delle ragazze.
• Uno studio della Banca d’Italia dimostra che se il tasso di occupazione femminile raggiungesse almeno la media europea, l’incidenza sul PIL, cioè la ricchezza prodotta, sarebbe del 7% in più. Un punto di PIL equivale a 15 miliardi di euro; il PIL «rosa» dunque varrebbe da solo oltre 100 miliardi.
• Gli immigrati, che nel solo 2010 hanno contribuito al PIL per il 12,5%, producendo ricchezza per oltre 180 miliardi.
• Meno del 30% degli under 35 ha un lavoro stabile. Nel 1994, cioè prima che entrassero in vigore le leggi sulla flessibilità, il tasso di precarietà dei ragazzi era del 16%, oggi è cresciuto al 47%. Nel 2010 viveva con i genitori il 42% dei giovani tra i 25 e i 35 anni, a causa della mancanza di stabilità occupazionale e di prospettive. E nel 2011 quasi mezzo milione di famiglie ha dovuto accogliere nuovamente in casa, e supportare economicamente, un figlio che aveva provato a percorrere la sua strada, ma era rimasto senza lavoro e senza reddito. E poiché piove sempre sul bagnato, proprio queste famiglie sono ora quelle che più pagano la crisi in termini di impoverimento.
• L’unico comparto nel quale ancora si assume è quello dell’agricoltura, e la nuova manodopera, solo qui, è sempre più giovane. Nei primi sei mesi del 2012 si è registrato un vero boom di nuovi posti di lavoro: il 13% in più rispetto all’anno prima.
• Il calo dei consumi (a causa della disoccupazione, della cassa integrazione, o anche solo della paura del futuro) nel 2012 è stato del 3,3% pro capite. Per il commercio equivale a un cataclisma: fino a 150 mila imprese saltate nel corso del 2012, da sommare alle 105 mila che hanno chiuso nel 2011, di cui la metà negozi al dettaglio.
• Diceva l’economista John Maynard Keynes che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo.
• Questa la sua ricetta: mettere soldi in tasca ai poveri, per far sì che possano spenderli rilanciando l’economia. È la strada che ha seguito il Brasile di Lula, dotando 25 milioni di cittadini di un salario minimo sociale che a sua volta, rimesso in circolo, ha dato una spinta alla crescita, ha fatto scendere il tasso di disoccupazione al 6,7% (noi siamo oltre il 10%!), ha abbattuto la povertà e accorciato le distanze tra le classi sociali.
• In Italia però la ricetta economica è solo e sempre una, quella dettata il 5 agosto 2011 dalla Banca Centrale Europea, con una lunga lettera firmata da Jean-Claude Trichet, all’epoca a capo della BCE, e da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, che di lì a poco sarebbe diventato il suo successore. […] Tuttavia l’esito non è stato esattamente quello promesso, o sperato. Basta leggere i dati Eurostat per rendersene conto: il PIL italiano nell’agosto 2011 era di 0,3 punti sotto la media europea, un anno dopo la «cura» era invece distante ben 2,1 punti rispetto agli altri paesi; il debito pubblico era al 120% del PIL, un anno dopo al 123%; l’inflazione era al 2,1% ed è salita al 3,6; la disoccupazione ha toccato il record del 10,8% contro l’8,1% dell’anno prima. E ancora: la benzina è arrivata a costare 2 euro al litro; la produzione industriale è crollata del 20%; il costo dei mutui è aumentato e per comprare una casa, adesso, occorre impegnare oltre il 30% del proprio reddito.
• L’indice di Gini, dal nome dello statistico italiano Corrado Gini che lo ha messo a punto nel 1965. Si applica ai singoli paesi in una scala da 0 a 1. Il valore 0 indica un’ideale società dove tutti hanno lo stesso reddito e dispongono nella stessa percentuale di benessere economico; il valore 1 corrisponde a una società dove tutta la ricchezza è concentrata nelle mani di una sola persona. Concretamente: valori bassi indicano una distribuzione omogenea, valori alti una diseguaglianza. Il valore più basso è oggi quello della Svezia, con 0,22, il più alto quello del Messico, con 0,46. Misurata con l’indice Gini l’Italia non sta affatto bene: per quanto concerne i redditi, il metro segna 0,322, molto superiore a praticamente tutte le nazioni piu sviluppate. Sono più «uguali» di noi Austria, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Slovenia, Belgio, Canada, Polonia, Ungheria, Irlanda. Peggio di noi solo Usa e Inghilterra, cioè i due paesi occidentali dove le diseguaglianze sono maggiori.
• Il supermiliardario americano Warren Buffett ha inaugurato il trend dei «ricchi responsabili»: «scandalizzato» dalla scoperta che grazie agli sgravi fiscali sulle operazioni finanziarie pagava meno tasse della sua segretaria, ha chiesto un aumento immediato dell’imposizione sui suoi simili.
• In Italia alcuni banchieri, capeggiati dall’ex amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo, hanno lanciato la proposta di una «tassa patrimoniale» sulle grandi ricchezze, per ricavarne la strabiliante cifra di 400 miliardi di euro in un sol colpo: «Dobbiamo tassare i ricchi sul loro patrimonio, non solo sul loro reddito» sono state le importanti e definitive parole che Profumo ha pronunciato il 4 settembre 2011. Due giorni prima un collega banchiere, Pietro Modiano, dalle colonne del Corriere della Sera aveva proposto un’altra patrimoniale, ma da appena 200 miliardi di euro. La CGIL, più modestamente, ne aveva chiesta una da 15 miliardi. Ancora più scarna la patrimoniale sugli immobili proposta dal segretario del PD Pier Luigi Bersani, per soli 5 miliardi di euro.
• Come riassumeva Ettore Petrolini, in una delle sue migliori battute: «I soldi bisogna prenderli ai poveri: hanno poco, ma sono tanti».
• Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Costituzione Italiana, parte I, titolo III, art. 36 Stipendio medio netto dei lavoratori dipendenti: 1286 euro mensili (Eurostat). Soglia di povertà per una famiglia di due persone: 1011,31 euro mensili (ISTAT). Stipendio del direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze: 1700 euro mensili. Stipendio di un ministro italiano: 16.000 euro mensili. Retribuzione media lorda di un top manager: 456.000 euro mensili.
• La distanza tra un superstipendio da capo azienda e un dipendente è in media di 400 volte. Ma si può fare di meglio: al vertice dei più pagati del 2011 spicca Marco Tronchetti Provera, con 22 milioni e 200 mila euro, al lordo delle tasse. L’equivalente della paga annua di 950 operai. Sulla cifra ci si può divertire a giocare: lo stipendio di Tronchetti equivale a 61 mila euro al giorno, cioè la stessa cifra che un lavoratore dipendente mette insieme in tre anni; in un solo mese, dunque, il presidente della Pirelli guadagna quanto un operaio in 80 anni di lavoro.
• I salari medi dei comuni mortali sono invece tra i più bassi d’Europa. In una classifica di 31 nazioni stilata dall’OCSE, gli italiani risultano al 23o posto, seguiti solo da Grecia, Portogallo, Polonia e qualche altro paese dell’Est europeo.
• Tuttavia, sono proprio le magre buste paga italiane a garantire al fisco la quota maggiore di introiti. Il lavoro dipendente e i pensionati, cioè il 68% di tutti i contribuenti, si accollano il 93% di tutta l’IRPEF che ogni anno affluisce nelle casse dell’erario.
• I liberi professionisti, i commercianti, i lavoratori autonomi, dispongono di un reddito medio (dichiarato) di 19 mila euro annui, e contribuiscono all’IRPEF per il 7%.
• I già ricchi emolumenti dei capi azienda sono cresciuti, nell’anno di crisi 2011, del 15%; quelli dei loro dipendenti, dice l’ISTAT, solo dell’1,8%, dunque praticamente zero.
• A parità di prestazione una donna guadagna solo 1131 euro contro i 1407 di un uomo; uno straniero, sempre a parità di prestazione, 973; una donna straniera appena 746. E ancora: i neoassunti con contratti a tempo indeterminato prendono meno di 900 euro; i precari con contratti a termine 836, ma se si tratta di precari donne, come al solito, la cifra scende a 765.
• I precari si avviano a diventare la maggioranza relativa del mondo del lavoro: su 10 nuove assunzioni effettuate nel 2011, 8 sono avvenute con contratti a breve scadenza, come certifica il Rapporto sulla coesione sociale ISTAT dell’aprile 2012.
• Dipendenti di un supermercato del gruppo Coop: 900 euro per il tempo pieno, 700 per il part time. Cassiera del gruppo Zara, 35 anni, 9 di anzianità aziendale: 1100 euro.
Commessa del negozio Lush, 32 anni, con laurea in economia: 1200 euro.
La Coop ha avuto nel 2011 un fatturato di 13,1 miliardi, in crescita del 2%. Lush è la più nota azienda mondiale di cosmetica etica (grande attenzione all’ambiente e ai prodotti naturali, no test su animali ecc.) con un giro d’affari di 150 milioni di sterline e 600 negozi in 43 paesi. Quanto al signor Zara, al secolo Amancio Ortega, stiamo parlando del quinto uomo più ricco del mondo, il primo in Spagna; la sua azienda ha un fatturato di quasi 14 miliardi ed è in crescita costante: è presente in 89 paesi con 90 mila dipendenti, 5500 punti vendita aperti al ritmo di due al giorno, di cui mille solo tra il 2011 e il 2012, i peggiori anni della crisi.
• L’editoria, per esempio, è un mondo quasi fuori controllo. La quantità di mano d’opera a bassissimo costo è enorme, e la passione per un lavoro come il giornalismo (che è ancora in testa alle classifiche dei più ambiti, anche se in realtà è da tempo in declino) gioca un ruolo assolutamente negativo. Pur di piazzare la loro firma sotto un articolo, battaglioni di giovani aspiranti giornalisti si accontentano di tre euro al pezzo, e pagano di tasca propria le spese necessarie per realizzarlo.
• Quello dei giovani giornalisti è un dumping involontario, che viene favorito dagli editori e mai veramente contrastato dai direttori, nemmeno dai più illuminati, da quelli che guidano giornali politicamente corretti e sono sempre pronti a difendere i diritti dei lavoratori: di tutti, ma non di quelli che fanno la fame nelle loro stesse redazioni. Varie proposte di legge per stabilire il principio del «giusto compenso» – un tetto minimo sotto il quale non sia possibile scendere – non sono mai state approvate. Nessun precario di questo settore fa mai sciopero, nessuno risponde mai a un caporedattore: «Per tre euro il pezzo te lo scrivi da solo!». Per uno che dice no, mille sono pronti a subentrare, abbassando ancora di più le richieste. La sindrome di Stoccolma nella sua massima rappresentazione, vittima e carnefice in totale sintonia. Di mezzo ci va tutta la professione giornalistica, destinata a essere sempre più svalutata. Il che renderà anche molto più difficile parlare, in futuro, di libertà di stampa: che libertà ci può essere in chi scrive a tre euro al pezzo?
• L’inferno dei precari è, per definizione, la Rai. Ne ha alle sue dipendenze ben 2000, prestatori d’opera con partita IVA obbligatoria, sottopagati, carne da cannone a basso costo e senza alcuna garanzia: sta di fatto però che sono loro a mandare avanti la baracca, consentendo alle trasmissioni radio e tv (anche le più prestigiose) di andare in onda. A fronte dei compensi milionari di molti conduttori (che ottengono tra i 600 mila euro e il milione a stagione), chi fa il lavoro duro in radio e tv di Stato (ma lo stesso vale anche per Mediaset) prende una miseria e non può nemmeno contare sulla visibilità che conferisce una firma sul giornale: per il pubblico tv i redattori sono fantasmi, esattamente come per la dirigenza Rai.
• Sui quasi 17 milioni di pensionati italiani, la metà prende meno di 1000 euro al mese (il che ha indotto perfino l’INPS a lanciare un allarme sul rischio di un’ondata di povertà tra chi cessa il lavoro), 3 milioni meno di 500 euro, mentre 2 milioni di fortunati pensionati d’oro stanno sopra i 2000 euro.
• I docenti raggiungono in teoria il top dello stipendio (4148 euro mensili per un professore associato, 5400 per un ordinario) dopo 57 anni di carriera: come ci si possa arrivare, dovendo andare comunque in pensione a 70, non è chiaro; chiarissimo, invece, per quale motivo l’università è diventata uno dei regni principali della vituperata gerontocrazia.
• I ricercatori: sottopagati per definizione, anche quando assunti regolarmente (cosa che non avviene mai prima dei 38-40 anni) devono accontentarsi di 1334 euro netti; dopo tre anni salgono a 1667, ma arrivano a 2507 euro solo dopo altri vent’anni. Per toccare il massimo, cioè la folle cifra di 3000 euro netti al mese, ci vorrebbero teoricamente 51 anni di servizio; ma a quel punto l’ex giovane ricercatore avrà la veneranda età di novant’anni.
• Anna Lo Bianco, che da 13 anni dirige la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, con 40 persone alle sue dipendenze, prende 1765 euro al mese: «quando i custodi sono venuti a sapere del mio stipendio mi hanno espresso la loro solidarietà: sono pagati quanto me».
• Il direttore del MoMA di New York, il più pagato in assoluto, ha uno stipendio di 1.700.000 dollari. Ma anche senza arrivare a queste vette, i suoi colleghi internazionali hanno buste paga adeguate al ruolo. Al Louvre, per dire, la curatrice della sola sezione dedicata alle opere del Seicento e Settecento guadagna 4000 euro netti al mese. Perfino nella Spagna della crisi il direttore di un museo prende 60 mila euro netti l’anno.
• La busta paga più pesante è quella del capo della polizia Antonio Manganelli: 621 mila euro annui. Molto al di sopra rispetto al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, che si ferma a 462.642 euro. Il che potrebbe spiegare la nota rivalità tra le due Armi.
• Il capo di Scotland Yard guadagna la metà di Manganelli (253 mila sterline, pari a 300 mila euro), il capo dell’FBI statunitense 155 mila dollari (poco più di 100 mila euro), circa sei volte meno. In compenso, le forze dell’ordine italiane sono tra le peggio pagate d’Europa: 1200 euro come primo stipendio, che con gli scatti di anzianità arriva poi a circa 1600 euro, contro le cifre ben più consistenti che ricevono in Francia (1680 euro come primo stipendio), Spagna (1420 euro), Germania (1626), Gran Bretagna (3200). Una miseria cronica che costringe circa 100 mila tra poliziotti, carabinieri ecc., a un doppio lavoro, per di più solo nel 10% dei casi autorizzato.
• A Roma, su 90 volanti a disposizione (teorica) della Polizia, ne circolano solo 15: le altre 75 sono ferme in garage in attesa dei fondi necessari a riparare motori e carrozzeria e a cambiare le gomme.
• Le retribuzioni dei parlamentari (consultabile sul sito del governo) fa emergere che: per 12 mensilità annue i deputati percepiscono 11.293 euro lordi (al netto meno di 7000 euro) sotto la voce «indennità parlamentare»; 3500 euro (esentasse) per le spese di vitto e alloggio a Roma; 1337 euro (esentasse) per le spese di trasporto (cui si aggiunge la libera circolazione marittima, autostradale, ferroviaria e aerea: in pratica, questi 1337 euro servono a pagare i taxi a Roma); altri 3600 euro per pagare i collaboratori, lo staff ecc. Qualcosa di più spetta ai senatori.
• Il Ministro Paola Severino ci tiene a precisare che le tasse le ha pagate: 4 milioni di euro dei 7 dichiarati sono andati al fisco.
• I primi venti top manager italiani nel 2011 hanno incassato circa 90 milioni di euro; i primi 43 superburocrati dello Stato si fermano a 16 milioni complessivamente; i venti ministri del governo Monti, sempre complessivamente, arrivano a 4 milioni.
• Esaminando le 38 società comprese nell’indice FTSE MIB (che considera le principali aziende quotate alla Borsa di Milano, cioè quasi il 90% della capitalizzazione di Piazza Affari) si evidenzia che, a fronte di un aumento complessivo degli emolumenti dei vari manager pari al 15% in un anno, le società hanno perso il 19% in termini sia di valore delle azioni che di dividendi distribuiti agli azionisti.
• 16 milioni e 600 mila euro sono stati concessi dalle Assicurazioni Generali a Cesare Geronzi, come premio di uscita: una cifra equivalente a 11 anni di stipendio, malgrado il banchiere laziale sia rimasto a Trieste appena dodici mesi. La liquidazione di Generali va poi sommata ai 9 milioni e rotti che Geronzi ha ottenuto da Mediobanca per venti mesi di lavoro come presidente, e a quella di Capitalia, lasciata nel 2007 dopo 25 anni con un addio da 20 milioni di euro. In totale, in appena 4 anni, 46 milioni di buonuscite.
• Degni di nota anche i 66 mila euro di Enrico Cucchiani, nominato AD di Banca Intesa Sanpaolo a fine 2011, in sostituzione di Corrado Passera, che aveva lasciato per diventare ministro. Per inciso: la liquidazione di Passera è ammontata a solo 1 milione e mezzo di euro, esattamente quanto gli spettava per gli anni di lavoro a Intesa. La cifra ottenuta da Cucchiani, invece, anche se non sembra enorme, è stata percepita per un tempo di lavoro davvero microscopico: una sola settimana. Un record. A chi gli faceva notare che, forse, 66 mila euro erano un po’ troppi per sette giorni, cinque escludendo il weekend, il banchiere ha risposto: «Non ho famiglia né figli, alla mia morte lascerò tutto in beneficenza».
• Sergio Marchionne, con una battuta che non l’ha reso popolare benché, forse, contenesse alcune verità: «un operaio non farebbe il cambio con me, considerando la vita che faccio».
• La metà esatta dei contribuenti dichiara redditi inferiori a 15 mila euro annui; che 11 milioni di italiani sono, per il fisco, a reddito zero; che gli imprenditori, i professionisti, i lavoratori autonomi, sono più poveri dei loro dipendenti; che solo un italiano su cento afferma di guadagnare oltre 100 mila euro e ancora meno oltre 300 mila: lo 0,07%.
• In Italia sono immatricolati 100 mila yacht superiori ai 10 metri, duemila aerei privati, 600 mila auto di grossa cilindrata. Chi li possiede? I dati fiscali dicono che i proprietari sono quasi tutti tra i poveri. Quasi metà della flotta privata nazionale, cioè ben 42 mila barche, appartiene a persone che dichiarano al fisco appena 20 mila euro annui; altre 27 mila sono di contribuenti che stanno tra i 20 e i 50 mila euro; 16 mila sono intestate a cittadini più facoltosi, con entrate annuali che vanno dai 50 ai 100 mila euro. Ai ricchi veri restano le briciole: 14 mila barche in tutto.
• Un terzo delle Ferrari, delle Maserati, dei super SUV e via dicendo che circolano sulle strade italiane appartiene ai soliti poveracci da 20 mila euro l’anno, un quarto addirittura a miserabili con reddito zero. E che dire dei 518 elicotteri che appartengono ad altrettanti pezzenti con reddito da cassaintegrati? Li useranno per recarsi alla mensa della Caritas? E i 604 jet privati – costo medio 35 milioni di euro l’uno – intestati a cittadini con reddito annuo lordo da 50 mila euro, cioè meno di un terzo rispetto allo stipendio del pilota?
• L’identikit dell’evasore nazionale l’ha tracciato un’altra ricerca della Banca d’Italia: ha meno di 45 anni, è maschio, vive al Nord, di mestiere è imprenditore o commerciante, sottrae all’erario, in media, il 50% dei suoi guadagni.
• I cosiddetti rentiers, cioè chi ha la fortuna di vivere di rendita affittando le case di sua proprietà, hanno un tasso di evasione dell’83% e certificano al fisco, in media, meno di 4 mila euro l’anno, incassandone sei volte di più. E stiamo parlando di un altro milione di contribuenti.
• Nel complesso, ogni italiano evade 2093 euro l’anno come cifra media. Per contro, chi le tasse non può fare a meno di pagarle si accolla, sempre mediamente, 3000 euro l’anno di sovrattassa per compensare quanto sottratto da chi non paga: l’equivalente di due mesi di stipendio, che in tempi di crisi bastano a fare la differenza tra stare di qua o di là rispetto alla soglia della miseria.
• Geograficamentesi ruba più al Centro-Nord che nel Mezzogiorno, o meglio: nel povero Sud l’evasione è estremamente diffusa come fenomeno, ma le risorse sottratte al fisco nel ricco Settentrione hanno valori assoluti molto superiori.
• Entrate fiscali 2010:
406 miliardi Contribuenti: 41,8 milioni
Persone che dichiarano da 0 a 15.000 euro: 20 milioni
Da 15.000 a 35.000 euro: 17 milioni
Da 35.000 a 100.000 euro: 3 milioni e mezzo
Sopra i 100.000 euro: 398.000
Sopra i 300.000 euro: 30.000
Sopra i 500.000 euro: 3106
Sopra il milione di euro: 682
• Secondo uno studio della Corte dei Conti, dal 1900 i condoni effettuati sono stati 58, vale a dire uno ogni due anni. Ma ben 21 sono avvenuti in soli 26 anni, tra il 1977 e il 2003. Valore complessivo delle somme evase condonate: 2000 miliardi. Valore complessivo delle somme recuperate dallo Stato: 104 miliardi.
• Tremilacinquecento euro al mese: secondo uno studio statunitense è questo il prezzo della felicità, cioè il reddito necessario per una vita serena e soddisfacente.
• 698 euro: rata media mensile di un mutuo (ABI-Agenzia del Territorio).
23 anni e 5 mesi: tempo necessario per estinguere il mutuo (ABI-Agenzia del Territorio). 71.000: cittadini italiani che vivono in baracche e roulotte (ISTAT). [97]
Nel 2012 almeno 40 mila italiani hanno comprato casa in altri paesi. Malgrado la crisi e l’economia ferma, siamo comunque nel club dei migliori investitori immobiliari del mondo. La Svizzera è una delle destinazioni preferite: nel municipio di Lugano oltre il 21% dei 57 mila residenti è costituito da cittadini italiani.
• A Londra gli italiani si fanno notare nella classifica dei top buyers, rilevando l’8% di tutte le transazioni immobiliari della capitale britannica.
• Siamo anche quarti negli USA, dove da anni compriamo case tra New York (con una predilezione per il Greenwich Village) e Miami, così come siamo tra i più affezionati acquirenti di mattone a Montecarlo e a Parigi.
• Nell’ultimo censimento dell’ISTAT risulta che sono oltre 71 mila gli italiani che vivono in baracche, tende, roulotte. Nel 2001 erano appena 23 mila, sono più che triplicati in un decennio.
• Crollo del settore «avancassa» nei supermercati, cioè quella sequenza di scaffali posizionati strategicamente accanto alle casse, dove si è costretti a passare e dove occhieggiano tentazioni «mini» come caramelle, gomme americane, barrette di cioccolata ecc. Sono quei generi che finiscono nel carrello per riflesso condizionato: costano pochi spiccioli, non ci si fa quasi caso. Da un anno, invece, ci si fa caso, eccome: tanto che le mitiche avancasse, per la prima volta, hanno registrato un calo di fatturato del 7%.
• Al supermercato si tende sempre più ad andare senza i bambini al seguito; ai loro capricci davanti a succhi di frutta, merendine e ovetti è difficile resistere, dunque meglio lasciarli a casa, si risparmia.
• La colazione al bar si dimezza: era l’abitudine quotidiana per il 13% degli italiani, ora solo l’8% si consente di spendere i tre euro necessari per cappuccino e cornetto.
• Il regalo natalizio che un imprenditore ha inviato al sindaco di Bari, Michele Emiliano: champagne, vino, formaggi, e inoltre quattro spigoloni, 20 scampi, 50 ostriche imperiali, 50 cozze pelose, 8 astici, 2 chili di seppioline.
• I pacchi dono, sempre natalizi, inviati a mezza Italia dal faccendiere amico di Formigoni Pierangelo Daccò: 252 panettoni artigianali, 497 bottiglie di Barco Reale, 296 scatole di cantuccini alle mandorle, centinaia di confezioni di zucchine sott’olio, quintali di prosciutto disossato, pomodori sott’olio, composte al vinsanto, tavolette di cioccolato all’olio extravergine d’oliva, per un totale di oltre 300 mila euro, a cui occorre aggiungere i 40 mila euro per le casse di champagne Echezeaux 2007 Grand Cru.
• I pranzi d’affari del faccendiere Adriano Zampini, che negli anni Novanta portava all’estero gli assessori e li faceva ingozzare: «una volta, a Stoccolma, eravamo sei o sette, spendemmo due milioni e mezzo di lire, bevemmo un paio di casse di Veuve Clicquot e finimmo a pallettate di caviale in faccia».
• La metà dei ragazzi tra i 15 e i 18 anni sa leggere solo nel senso che distingue una lettera dall’altra, ma non è in grado di comprendere il significato di ciò che sta leggendo.
• Il 65% della popolazione adulta non possiede le competenze minime per orientarsi nella società dell’informazione, ed è quel che si definisce «analfabeta funzionale»; un altro 20% ha solo gli strumenti minimi per leggere, scrivere e fare di conto ma non è in grado di comprendere un semplice grafico; meno del 10% possiede tutti gli strumenti necessari per definirsi completamente colto.
• Uno studio della Fondazione Agnelli, condotto su oltre mille istituti e su 145 mila diplomati, dimostra che nelle classifiche le scuole statali stanno in cima mentre quelle private restano in coda. La conclusione della Fondazione non lascia dubbi: «Nonostante la presenza di alcune realtà di chiara eccellenza, la performance della maggior parte delle scuole non statali è deludente rispetto a quelle statali». La controprova arriva con il rapporto OCSE-Pisa: nel 2009, depurando i dati sulla capacità di apprendimento dei nostri studenti dalla «zavorra» di quelli provenienti dalle private, la scuola italiana risulterebbe perfettamente in linea con la media OCSE.
• Per iscrivere il rampollo all’università, osserva l’economista Andrea Ichino, una famiglia con un reddito da 15 mila euro annui pagherà 874,83 euro all’anno, quasi il 6% del suo bilancio: un aggravio non da poco per chi fatica ad arrivare a fine mese, e sufficiente a scoraggiare molti nel proseguire gli studi. Ma più il reddito sale, più scendono in proporzione le tasse: per le famiglie che dichiarano 40 mila euro l’iscrizione all’anno accademico costa 1746,79 euro, pari solo al 4,3% del bilancio. Ancora più favorite le famiglie da 100 mila euro: pagano la tassa massima, che tuttavia per legge non può essere superiore a circa duemila euro, e dunque sborsano solo il 2% per cento del loro reddito complessivo. Sintetizza Ichino: i poveri, con le loro tasse, pagano l’università pubblica ai ricchi.
• Il padre operaio avrà nel 50% dei casi un figlio operaio, un padre imprenditore avrà nel 60% dei casi un figlio imprenditore, perpetuando la segregazione di classe.
• In Lombardia il contributo agli istituti privati ammonta a 51 milioni e 460 mila euro, contro i 24 milioni e 589 euro che la stessa Regione eroga alle scuole pubbliche. Gli iscritti alle scuole pubbliche lombarde sono quasi un milione, quelli delle private 98 mila, e il conto dunque è semplice: solo tre euro e trenta centesimi per gli studenti pubblici, 478 per quelli privati.
• Nel solo 2009, anno terzo della crisi, si sono realizzate 52 mila operazioni alle palpebre, 50 mila liposuzioni, 44 mila nasi, 42 mila seni.
• Se proprio non volete badare a spese potete farvi spedire nello spazio: la Virgin Galactic di Richard Branson organizza per la modica cifra di 200 mila euro un volo degno dell’Enterprise. Le prenotazioni sono in corso, al momento già 500 coraggiosi futuri astronauti hanno sborsato la caparra per aggiudicarsi un posticino a bordo, tra i quali la Virgin segnala con orgoglio Ashton Kutcher, ex marito di Demi Moore.
• Si può scendere con un piccolo sommergibile fino a 3800 metri, per vedere da vicino il relitto del Titanic: la visita dura dieci ore, costa 45 mila euro a persona ed è certamente più eccitante di una semplice gita all’isola del Giglio per ammirare la Costa Concordia arenata sugli scogli.
• Record di Sergey Brin e Larry Page (i giovani fondatori di Google, collezionando ormai ben otto jet personali e non sapendo dove parcheggiarli, per la modica cifra di 33 milioni di dollari hanno affittato dalla NASA un intero hangar spaziale).
• Gioiellini volanti: il più bello, dicono gli esperti, è quello che Diego Della Valle si è regalato nel 2011: un Gulfstream 55 bireattore, 13 mila chilometri di autonomia senza scalo. Gli interni sono all’altezza della reputazione: salottino privato, due divanetti con schermi tv da 24 pollici e sei posti singoli. Il tutto per poco più di 50 milioni di dollari.
• La spesa media delle famiglie in vacanza è stata, nel 2012, di appena 740 euro.
• Trasporti: una voce che in un solo anno, stando ai dati ISTAT, è aumentata sui bilanci famigliari di quasi il 13%. Un pieno di benzina a luglio 2012 costava 12 euro in più che nel luglio 2011, i biglietti aerei sono aumentati del 10%, le tariffe di parchimetri e pedaggi autostradali del 5%, bus e pullman del 4%. In alcune città, come Roma e Milano, i biglietti di bus, tram e metro sono saliti da un euro a un euro e 50: e se sembra poco, è pur sempre il 50% in più di ieri.
• Nel corso del 2011, è avvenuto lo storico sorpasso: per la prima volta le vendite di biciclette hanno superato quelle delle auto, con 1.748.143 quattro ruote immatricolate contro 1.750.000 due ruote a pedali.
• Diecimila sterline al metro quadro per uno spazio a Bond Street, la via dei negozi chic di Londra. È questo l’affitto stratosferico pagato senza battere ciglio nel 2012 da Ferragamo, la storica casa italiana del lusso, che non ha badato a spese per piazzare uno store in una delle dieci strade più costose del globo.
• Il famoso profumo di Christian, «1», caro alla regina Vittoria è anche il più caro del mondo: confezioni che vanno da 3900 a 30 mila euro, a seconda del carato del diamante che le decora.
• Inflazione: nel 2102, a fronte di un costo della vita che per i comuni mortali è aumentato di oltre il 3%, quello che riguarda i super-ricchi del mondo è sceso dell’1,6%. In altre parole: la vita costa, mentre la bella vita costa un po’ meno.
• Tramontate le carte oro e le platino, in un certo mondo si fa riferimento, piuttosto, all’American Express Centurion Black. Così esclusiva da non essere nemmeno pubblicizzata dalla compagnia (i titolari, infatti, hanno un loro sito semisegreto e assolutamente riservato), si ottiene solo per invito, è destinata a non più di 10 mila persone al mondo (di cui un centinaio, pare, in Italia), non ha limiti di spesa ma prevede che chi la possiede spenda almeno 250 mila dollari l’anno.
• Amancio Ortega, inventore del marchio Zara, ha accumulato una fortuna personale che equivale al 3% del PIL spagnolo.
• I nuovi poveri “da separazione” costituiscono infatti il 13% dei «clienti» che si affollano alle mense della Caritas, ma di questi ben il 67% sono donne, contro appena il 33% degli uomini. Confermano i dati ISTAT che nelle classifiche di povertà risulta l’1,6% dei maschi separati, contro il 3,5% delle donne.
• «Azzardopoli» è ormai la terza azienda nazionale, con un fatturato che supera gli 80 miliardi. E nessuna «economia» si incrementa altrettanto velocemente: nel 1994 il fatturato del settore arrivava a 6,5 miliardi, dieci anni dopo, nel 2005, era aumentato di quattro volte. Dal 2006 la crescita è diventata esponenziale: 35,2 miliardi di raccolta nel 2006, e poi 42,1 nel 2007, che salgono a 47,5 nel 2008, arrivano a 54,4 nel 2009, a 61,4 nel 2010, fino ai 79,9 del 2011. Per il 2012, l’agenzia dei Monopoli, che controlla il settore, ha annunciato un ulteriore incremento del 20%. Un record che mette l’Italia ai primi posti nella classifica mondiale, oltre a renderla l’unico paese al mondo ad aumentare il numero delle giocate da quando è scoppiata la crisi: più 25% ogni anno, mentre nel resto del mondo calano del 5%. La nuova Las Vegas è Roma: nella capitale c’è la più alta percentuale di slot machine e videopoker d’Italia, tutti collocati strategicamente nei quartieri più periferici e popolari; ché i ricchi dei Parioli, per dire, mica sono così stupidi.
• In media ogni italiano, neonati compresi, spende all’anno circa 1500 euro tra Gratta e Vinci, lotterie, slot, videopoker, scommesse ecc.
• Tra chi ha un lavoro a tempo indeterminato la percentuale che dichiara di giocare d’azzardo è il 70,8%, ma sale al 73% nel caso dei disoccupati, all’80,2% tra i precari e tocca l’apice con i cassaintegrati, quasi il 90%.
• Atene: per supplire ai tagli alla spesa pubblica e arrotondare i bilanci, si è infatti deciso di dare in affitto gli agenti della polizia di Stato ai privati o alle società con particolari esigenze di sicurezza. Con tanto di dettagliato listino prezzi: un singolo poliziotto costa 30 euro l’ora, e con altri 40 euro si può avere, assieme all’agente, anche una volante con relativa sirena. Per chi non bada a spese c’è poi la possibilità di affittare una guardia costiera, alla modica cifra di 200 euro, o addirittura un elicottero per soli 1500 al giorno.
• La cifra che l’amministratore delegato della Thyssenkrupp Harald Espenhahn, con una mail inviata a Torino pochi mesi prima dell’incendio, ordina di non spendere per l’impianto di corso Regina è di appena 800 mila euro: circa un terzo della retribuzione annuale di un manager di primo livello, oppure, se confrontata alle buste paga degli operai, otto anni di retribuzione netta per ciascuno dei sette morti.
• 1936,80 euro che sono toccati a Matteo Armellini, 32 anni, romano, morto sepolto sotto le travi del palco che stava allestendo per il concerto di Laura Pausini.
• Per alleggerire la situazione giudiziaria di Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, i marò accusati di aver ucciso due pescatori al largo del Kerala, il nostro governo ha versato a ciascuna delle famiglie delle vittime 10 milioni di rupie, pari a 146 mila euro. Una somma con cui si può vivere da nababbi, da quelle parti. Ma questo non vuol dire che i locali non sappiano fare i conti: la prima offerta, 7 milioni di rupie, 100 mila euro, è stata rifiutata perché troppo bassa.
• Vincenzo Capulli, operaio dell’Ilva intervistato da un quotidiano nei giorni della rivolta: «ho 25 anni, se resto senza lavoro non potrò mai permettermi una famiglia, una vita. Il cancro? Dicono che comunque non mi verrà prima dei settant’anni, e a quel punto che mi frega di morire? Almeno avrò vissuto lavorando e non da disoccupato».
• Dati forniti dall’Eures in un rapporto presentato il 17 aprile 2012: nel corso del 2010 i suicidi per «miseria» sarebbero ben 347, uno al giorno.
• Biglietto di addio scritto da Dimitris Christoulas, il pensionato greco di 77 anni che il 4 aprile 2011 s’è tolto la vita in piazza Syntagma, ad Atene: «il governo ha annientato la mia capacità di sopravvivenza, basata su una pensione cui avevo contribuito per 35 anni. Non trovo alternative a una conclusione dignitosa prima di finire a rovistare tra la spazzatura per vivere».
• L’ISTAT avverte: non c’è alcun «caso» suicidi economici, tutto è nella norma. E in ogni caso, osservano all’istituto di statistica, quelli che si tolgono la vita per amore sono ancora il doppio esatto di quelli che lo fanno per denaro. Il che, a questo punto, è quasi una buona notizia.
• La signora Laura De Nardo, trevigiana, per liberarsi del marito ha assoldato due killer, pagandoli 200 mila euro in due tranche: una come acconto, l’altra a omicidio avvenuto. In ballo c’era una notevole eredità. Anche lei è stata scoperta, arrestata e processata. In tribunale ha offerto ai parenti della vittima un indennizzo di 80 mila euro: meno della metà di quanto pagato al killer per ucciderla.
• I professionisti costano: 150 mila euro e una Mercedes di seconda mano sono stati la paga di Ruslan Cojocaru, trentenne moldavo che il 21 novembre del 2011 ha assassinato, su mandato di un imprenditore italiano, una coppia di Brusio, Giampiero Gatti e sua moglie. Uccisi a sprangate, per motivi economici.
• Gianfranco Bona, cinquantenne, milanese, titolare di un’impresa di trasporti in difficoltà economiche, aveva chiesto e ottenuto un prestito di 270 mila euro dall’amico farmacista Luigi Fontana. Ma proprio non ce la faceva a restituirli. Così ha deciso di risolvere il problema alla radice: ha offerto all’amico un aperitivo (per la cronaca: un Crodino) e strada facendo lo ha corretto col cianuro. Scoperto, al pm che lo interrogava ha spiegato che inizialmente pensava di usare il veleno per suicidarsi, essendo ormai schiacciato dai debiti. Ma all’ultimo momento aveva cambiato idea e lo aveva versato nel bicchiere del farmacista. Fontana è morto dopo nove giorni di coma, Bona è in carcere, i 270 mila euro, nel caso, saranno riscossi dagli eredi.
• A Porto Empedocle, primavera del 2012, un tale si è presentato in un ufficio postale dichiarando il classico «questa è una rapina». Ma con convinzione talmente scarsa che nessuno, tra i presenti, lo ha preso sul serio. Allora si è sfogato: disoccupato, due figli piccoli, molta fame, zero lavoro. La gente ha capito, e ha organizzato all’istante una colletta, raccogliendo 100 euro. E quando è arrivata la polizia il poveraccio era ancora lì che ringraziava tutti.
• A Roma, in via Palmiro Togliatti, giugno 2012, un pregiudicato entra in una banca e minaccia: «Non sono qui per aprire un conto, datemi i soldi o salta tutto». Poggia sul bancone un pacco malamente confezionato, un groviglio di fili elettrici raffazzonati, una similbomba. Ma non regge l’emozione, gli viene un infarto: per fortuna sono intanto arrivati i carabinieri, che lo caricano sulla volante e lo portano a sirene spiegate all’ospedale Sandro Pertini. Operato d’urgenza, se la caverà con qualche giorno di ricovero, ringraziando commosso, insieme ai suoi familiari, i carabinieri per avergli salvato la vita.
• Pietro De Carlo, geometra, cinquantenne, incensurato, disoccupato, tenta un colpo in una gioiellieria di via Sistina a Roma. «Ho perso il lavoro da anni, non ho più un soldo, sono un morto di fame, è stata la mia prima rapina» ha detto al vicequestore Massimo Improta che lo infilava sulla volante, direzione Regina Coeli. De Carlo si era presentato al negozio alle 13, ma stava chiudendo. Il gioielliere gli ha detto: «Riapriamo alle 16». Lui, puntuale, si è ripresentato. Prova a fare il duro, ma non è il suo genere: mentre scappa è placcato da due passanti, scaraventato a terra, disarmato, ammanettato e caricato su una volante. Nello zaino, una Beretta calibro 9 e catenine d’oro per 30 mila euro.
• 21 mila sono i miliardi di dollari che i super-ricchi del mondo hanno trasferito in conti correnti e in strutture finanziarie segrete nascoste nei paradisi fiscali. Una cifra enorme, che, tanto per dare l’idea, è pari al valore dell’intera economia americana più quella giapponese.
• I 21 mila miliardi, inoltre, si riferiscono esclusivamente al denaro cash depositato sui conti; aggiungendo beni come yacht, ville e simili, avverte il rapporto di Henry, si arriva addirittura a 32 mila miliardi.
• Centoquarantasette sono le multinazionali che controllano l’intera economia mondiale. 147 imprese, tutte strettamente connesse tra di loro, di cui la maggioranza sono banche, e guarda caso, ancora una volta, vi compaiono gli stessi nomi di sempre, gli stessi dei paradisi fiscali di James Henry, gli stessi che controllano il mercato dei derivati. Nel rapporto del Politecnico di Zurigo spiccano le americane JP Morgan, Merrill Lynch, Barclays, Goldman Sachs, Bank of America, le europee UBS, Deutsche Bank, Credit Suisse, BNP Paribas, fino al nostro UniCredit.
• Circa 6 miliardi di dollari si sono mossi per decidere chi sarà l’inquilino della Casa Bianca, e sulla base di interessi puramente economici.
(a cura di Daniele Assorati)