11 novembre 2013
Tags : L’uomo che ha lanciato i Beatles
Una cantina piena di rumore
Tratto da Una cantina piena di rumore,
di Brian Epstein, Arcana, 2013
• «Brian Epstein era talmente ossessionato dai Beatles e fece di tutto per convincermi a dare loro una chance. Oggi è difficile a credersi, ma all’inizio, quando ascoltai il gruppo, prima ancora di incontrarlo, onestamente rimasi perplesso. Fu l’incredibile entusiasmo di Brian, insieme all’innato carisma della band, a farmi decidere di offrire loro un semplice contratto discografico. Senza la sua ossessiva perseveranza non avrei mai ingaggiato il gruppo di maggior successo di sempre» (Sir George Martin, primo produttore dei Beatles).
• Nessuno dei componenti dei Beatles, almeno all’inizio, sapeva leggere o scrivere la musica.
• «Il 7 Febbraio 1964, i Beatles sbarcarono all’aeroporto Kennedy e furono salutati dal sensazionale benvenuto di diecimila ammiratori. Mentre eravamo in attesa che tutti i passeggeri scendessero dall’aereo e che i quattro Beatles toccassero per la prima volta il suolo americano, quella folla straordinaria si scatenò in un tumulto di applausi e urla selvagge. […] Né prima né dopo di allora, e in nessun’altra parte del mondo, ho avuto occasione di vedere un simile schieramento di fotografi, forse tranne quando i Beatles tornarono in Inghilterra dopo il tour americano».
• «[I Beatles] riescono a fare affiorare l’istinto materno di molte adolescenti. La necessità del subconscio che loro soddisfano con tanta maestria sono tali da indurre queste ragazzine a fare cose dell’altro mondo. Non appena i Beatles si scatenano, i giovani del pubblico, nel buio della sala, hanno la possibilità di liberarsi da ogni inibizione in un modo del tutto primitivo. Dimenticano razionalità e individualismi. Una sindrome di massa prende il sopravvento, svincolandoli da qualsiasi restrizione imposta dalla civiltà».(Il giornalista Vance Packard sul Saturday Evening Post)
• All’Hotel Plaza di New York i Beatles hanno trovato nella loro camera tre ragazze nascoste nella vasca da bagno, a dozzine si sono invece arrampicate lungo i 12 piani della scala antincendio per cercare di raggiungere la suite. Il telefono ha squillato per tutta la notte, un tale ha telefonato dalle Hawaii per ingaggiarli, un altro li ha contattati perché intenzionato a produrre portacenere dei Beatles.
• Durante il ricevimento organizzato dall’ambasciatore britannico a Washington in onore dei Beatles, uno degli ospiti tagliò una ciocca di capelli a Ringo Starr.
• Ci fu perfino chi si accontentò di ricevere l’autografo dal padre di uno dei membri dello staff dei Beatles.
• Brian Epstein fu cacciato all’età di dieci anni dal Liverpool College per “disattenzione e rendimento sotto la media”. All’età di 16 anni aveva cambiato sette scuole e decise di ritirarsi dagli studi.
• Epstein, poiché eccelleva solo nelle materie artistiche, coltivò il sogno di diventare stilista. La speranza si infranse contro la volontà del padre di trovargli un lavoro più adatto ad un uomo.
• Il primo impiego di Epstein fu nel negozio di arredamento di famiglia a Walton, Liverpool. La paga era di 5 sterline alla settimana. Si rivelò un gran venditore.
• La penna Parker con cui Paul McCartney firmò il primo contratto con Brian Epstein era un regalo che quest’ultimo ricevette per premio da un negozio di arredamento dove fece esperienza.
• Come la scuola, anche la leva obbligatoria di due anni fu per Epstein un insuccesso. Non venne selezionato per diventare ufficiale della Royal Army Service Corps: «Non posso immaginare nulla di moralmente peggiore del tenente Epstein responsabile di un plotone di uomini sotto il pesante fuoco dei mortai» disse di se stesso.
• Una sera Brian Epstein rientrò nella caserma di Regents Park in una grossa macchina indossando una bombetta, un gessato e un ombrello. Riuscì così ad eludere la guardia posta all’ingresso e il comandante della guardia. La stessa cosa accadde con un impiegato miope che lavorava proprio alla scrivania accanto alla sua. A fermare l’impresa goliardica fu l’ufficiale d’ordinanza che sbucato da un muro imbiancato avanzò come un gatto nella funerea luce gialla della guardiola urlando: “Soldato semplice Epstein. L’indomani alle ore 10 farà rapporto all’ufficiale di compagnia, in quanto reo di aver impersonato un funzionario”. Per diversi giorni gli fu impedito di lasciare la caserma».
• Dopo una visita dal medico di campo, questi suggerì a Epstein una visita dallo psichiatra: «Con quest’ultimo passammo diverse ore a parlare della scuola, dopo di che, come solitamente avviene, chiese un secondo parere medico, al quale seguirono un terzo e un quarto, finché all’unanimità conclusero che ero un civile compulsivo e per tanto non idoneo al servizio militare. Ero pienamente d’accordo che non fossi utile all’esercito, né che l’esercito fosse utile a me».
• Tornato a Liverpool dopo il congedo dall’esercito, Epstein riprese a lavorare nel negozio di mobili di Walton: «Al suo interno c’era un reparto di dischi alla cui nascita avevo collaborato e anche se non ero portato per la musica mostravo interesse per essa e amavo i dischi di musica classica».
• L’apertura di un nuovo negozio a Liverpool, in Charlotte Street, con un reparto dischi più grande, diede il La alla nascita di uno dei negozi di dischi più grandi della città, il North End Music Store: «Creai un sistema infallibile per capire quando una pila di dischi doveva essere rinnovata […] Non mandavo mai nessuno con un “Mi dispiace, non l’abbiamo”. […] Qualche anno dopo questa politica avrebbe cambiato la mia vita».
• Il Nems, North End Music Store, passò da due, tre dipendenti a trenta persone, «e tutti lavoravano sodo. Formai una lista di best seller che controllavo due volte al giorno, ampliai il reparto di musica pop e spostai i dischi di musica classica al piano superiore».
• «Sabato 28 ottobre 1961 rientrai da una lunga vacanza in Spagna, durante la quale mi chiedi di ampliare i miei interessi. Poi, improvvisamente, ma non in modo inaspettato, poche parole di Raymond Jones portarono la soluzione. Le parole, naturalmente, erano: “Hai un disco dei Beatles?”» (Fu così che Epstein sentì per la prima il nome di un gruppetto di quattro giovani che si facevano chiamare Beatles).
• «Raymond Jones era uno qualsiasi di quella dozzina di clienti che chiamavano tutti i giorni per dischi sconosciuti e sembrava non ci fosse nessuna valida ragione per cui, al di là dei miei sforzi abituali per soddisfare un cliente, sarei dovuto andare oltre tali misure per tracciare l’attuale registrazione degli artisti. Ma lo feci e a volte mi chiedo se non ci sia qualcosa di musicalmente magnetico nel nome “Beatle”».
• «Mi chiedo, sarebbero diventati altrettanto famosi se si fossero chiamati, che so, i Liverpool Four o qualcosa di altrettanto prosaico?».
• «Una caratteristica interessante dei Beatles che era entrata a far parte della mia vita era che, senza esserne conscio, li avevo visti molte volte in negozio. Ero rimasto un po’ infastidito dalle frequenti visite di un gruppo di ragazzi trasandati, in jeans e giacca di pelle, che bazzicavano il negozio di pomeriggio, chiacchierando con le ragazze e oziando sui banchi ad ascoltare dischi. Erano ragazzi abbastanza piacevoli, disordinati e un po’ selvaggi, e avevano senz’altro bisogno di un taglio di capelli».
• «L’interno del club era nero come una profonda tomba, umido, bagnato e puzzolente, e mi pentii di esserci venuto. C’erano circa duecento giovani che ballavano, parlavano o mangiavano un “Cavern Lunch” […] Non erano molto ordinati e nemmeno molto puliti. Ma erano più ordinati e molto più puliti di chiunque altro suonasse alla session dell’ora di pranzo o, se per questo, a molte delle session a cui ho assistito successivamente. Non ho mai visto nulla come i Beatles su un palco. Fumavano mentre suonavano, mangiavano, parlavano e facevano finta di capirsi l’uno con l’altro. […] Amavo i loro movimenti ed ero affascinato da questa – per me – nuova musica, con il suo basso martellante e il suono travolgente». (Così Epstein racconta la sua prima visita al Cavern, il locale simbolo dell’ascesa dei Fab Four).
• «Il 3 dicembre 1961, all’incontro c’erano solo tre Beatles. Mancava Paul e dopo mezz’ora di conversazione svogliata decisero che era inutile parlare di ogni sorta di termini con solo tre presenti, così chiesi a George di telefonare a Paul per capire perché fosse in ritardo. George tornò al telefono con un mezzo sorriso, che mi infastidì, dicendomi che Paul si era alzato e si stava lavando. “Questo è vergognoso, è molto in ritardo”, risposi e George con un sorriso sbilenco ribattè: “… e molto pulito”. (Così il primo incontro d’affari tra Epstein e i Fab Four).
• Ogni serata al Cavern fruttava 75 pence per ognuno, il che era superiore alla tariffa ordinaria. L’anno dopo il loro ingaggio era salito a 15 sterline.
• «Ritornai alla Decca, su appuntamento, con un invito a pranzo. Mi sentivo pessimista, ma cercai di non dimostrarlo quando incontrai Becker Stevens e Dick Rowe, due dirigenti importanti. Prendemmo un caffè, poi il signor Rowe, un uomo basso e robusto, mi disse: “Non uso mezzi termini, signor Epstein, non ci piace il suono dei suoi ragazzi. I gruppi di chitarristi sono destinati a finire”. Dissi, mascherando la fredda delusione che si era diffusa su di me: “Lei deve essere fuori di testa. Questi ragazzi stanno per esplodere, sono assolutamente certo che un giorno saranno più grandi di Elvis Presley”».
• «Stavo diventando molto impopolare a casa, in quanto mio padre, giustamente, voleva sapere se stavo lavorano per quattro ragazzi in giacche di pelle o per lui. E nel qual caso, quando avrei svolto il lavoro? Ogni giorno trascorso a Londra aumentava la sua irritazione, ma restavo irremovibile, perché ero riuscito a non rinunciare alla ricerca di un contratto discografico, finché non fossi stato rifiutato da tutte le etichette d’Inghilterra».
• «Raggiunsi gli uffici della Emi a Manchester Square. Occupavano parte di un bell’ufficio, e vi avrei dovuto incontrare l’uomo che in meno di due anni avrebbe prodotto sedici Number One di miei artisti. George Martin fu molto disponibile e discusse le difficoltà degli affari discografici e i problemi che avrei incontrato se avessi voluto persistere. Mi disse: “Mi piacciono i tuoi dischi e mi piacerebbe vedere i tuoi artisti”».
• «Mi è piaciuto molto il modo in cui George Martin ascoltò i dischi, le lunghe gambe incrociate, appoggiato sul gomito, dondolandosi dolcemente avanti e indietro, annuendo e sorridendo in modo incoraggiante».
• «George era ansioso di entrare in completa relazione con questi originali ragazzi di provincia e per meglio stabilirla chiese: “Fatemi sapere se c’è qualcosa che non vi piace”. “beh tanto per cominciare”, disse George Harrison sotto la sua frangia, “non mi piace la tua cravatta”. E Martin pensò che quello era pur sempre un buon fondamento di amicizia. Da quel momento in poi sono stati una squadra da sogno».
• Alla prima sessione alla Emi i Beatles suonarono “Love Me Do”.
• Il primo disco inglese uscì il 4 ottobre 1962: Love Me Do sul lato A e P.S. I Love You sul lato B. Quarontott’ore più tardi era alla posizione 49 delle classifiche discografiche. Infine entrarono nella Top 20 delle classifiche della Gran Bretagna salendo fino al numero 17.
• Fu con Please Please Me che i Beatles raggiunsero nella primavera del ’63 la prima posizione in tutte le classifiche discografiche del Paese.
• Il primo batterista dei Beatles era Pete Best, che nel 1963 fu sostituito con sua delusione da un barbuto tipetto proveniente da Dingle… il suo nome era Richard Starckey, ma si faceva chiamare Ringo Starr.
• «George Martin non fu contento di Pete Best alla batteria e i Beatles, sia ad Amburgo che a Liverpool, sostenevano che il suo ritmo fosse sbagliato per la loro musica. Io non ne ero sicuro, né ero ansioso di modificare la formazione dei Beatles nel momento in cui stavano sviluppando la loro personalità. […] Tuttavia avevano già deciso che prima o poi Pete doveva andarsene. Pensavano fosse troppo convenzionale per essere un Beatle, e anche se era amico di John non lo era di Paul e George. Una notte di settembre i tre mi si avvicinarono e dissero: “Vogliamo Pete fuori e Ringo dentro”».
• Con il licenziamento di Pete Best Brian Epstein divenne l’uomo più antipatico della fremente scena beat. Al Cavern si aggiravano bande di fan gridando «Pete per sempre, Ringo mai» mentre sventolavano bandiere. Epstein dovette girare con una guardia del corpo, a George Harrison fecero un occhio nero.
• «Voglio suonare la batteria davanti la regina madre. Cosa c’è di male in questo?» (Ringo Starr ad uno dei primi incontri con la stampa, 1963).
• «Quando suonarono al Royal Variety Show, Londra restò attonita davanti alle urla della rumorosa gioventù del sud dell’Inghilterra. I Reali, i benestanti e la Londra perbene furono colpiti dalla naturalezza di quei quattro giovanotti. Alla stessa serata partecipò Marlene Dietrich, la quale nel backstage fu conquistata dall’aplomb dei quattro showman talmente giovani da poter esserne i nipoti: “È stata una gioia trovarmi lì con loro. Li adoro questi Beatles”».
• «La “coda Beatle” divenne una caratteristica della vita inglese. Con coperte, radioline a transistor e bottiglie di acqua calda, con o senza la benedizione dei genitori, tutti i giovani della provincia inglese sfidavano qualunque situazione meteorologica pur di avere quel piccolo pezzetto di carta che avrebbe permesso loro di vedere e ascoltare i loro idoli per venticinque minuti».
• Nel 1963 a Newcastle quasi quattromila fan erano rimasti in coda a congelarsi per comprare i biglietti. Il Telegraph scrisse: «Più che il preludio di un gioioso evento legato ai Beatles, sembrava una scena funerea… Tre ambulanze, quasi mai a corto di pazienti, tra cui molte ragazzine, hanno dovuto fronteggiare oltre cento casi di svenimenti e malori vari. Alcune persone hanno dovuto essere trasportate in ospedale. Settantaquattro poliziotti erano in servizio e sono stati allestiti diversi punti di controllo specifici».
• «Con l’arrivo del 1964 essere fan dei Beatles andava di moda. Non esistevano più barriere di alcun tipo. Nonne e bambini si univano ai teenager di qualsiasi rango e, di conseguenza, noi ci aspettavamo milioni di dischi venduti ad ogni nuova uscita. Entro l’estate di quell’anno, praticamente ogni cittadino, magnate del commercio, aristocratico o organizzatore di eventi benefici avrebbe cercato di illuminare il proprio nome e quello della propria industria o organizzazione con il marchio Beatles. Diventò scontato che se qualcuno era riuscito ad avere un Beatle al proprio party, ce l’aveva fatta socialmente».
• I Beatles nel 1964 hanno suonato ad Adelaide a seguito di una petizione firmata da 80mila cittadini.
• Per sfuggire dagli alberghi asserragliati da migliaia di fan scatenati i Beatles hanno sempre a disposizione un’auto pronta per la fuga. Generalmente era una Austin Princess, che poteva comodamente accogliere i quattro, il loro road manager e, se necessario, un uomo della sicurezza o un poliziotto.
• «È un’usanza comune tra i fan dei Beatles quella di scagliarsi contro la loro auto se questa procede a meno di 20 miglia l’ora. Una sera, dopo un concerto a Londra, quattro ammiratori di John sradicarono lo sportello e si catapultarono dentro la macchina. I fan furono spinti fuori e l’autista sfrecciò via senza la portiera con i quattro ammassati contro il finestrino. Più tardi, quando tornò a riprendere la portiera, scoprì che era stata portata via come souvenir».
• «Molto spesso, per uscire dai teatri, io e i Beatles veniamo condotti attraverso dei tunnel sotterranei negli uffici adiacenti, per poi uscire all’aperto un centinaio di metri più avanti, lontano dalle orde di fan appostate all’esterno. Un po’ come un’evasione di prigionieri di guerra».
• «Con troppa frequenza la polizia sottovaluta il magnetismo di McCarney e la determinazione che hanno le ragazze nello strappargli i vestiti».
• «In Olanda capitò che la polizia non volesse correre alcun rischio, e malmenò ripetutamente Derek Taylor, il mio assistente, e Neil Aspinall, il road manager, scaraventandoli a terra una dozzina di volte al giorno, in quanto pensavano che stessero cercando di aggredire i Beatles».
• «Se Paul ha il fascino, John il comando e Ringo la bizzarria di un piccolo uomo, George è, con il suo sorriso lento, il ragazzo della porta accanto. Sono dei ragazzi straordinari, davvero bravi. Non credo che ci sarà mai qualcuno di simile, non succederà».
• «Il nostro denaro proveniva da tutte le parti, da apparizioni personali, dischi, televisione, radio e cinema, merchandising, vendita di parrucche da Beatle, polvere di talco, gomme da masticare, chitarre. Letteralmente, da qualsiasi prodotto avesse visto la luce».
• «Devo dire che, contrariamente ad alcune affermazioni, [la stampa] non ha avuto nulla a che vedere con l’ascesa dei Beatles. Ero stupito che arrivassero così tardi sulla scena, ed ero davvero contento di non dovere contento di non dover far affidamento sui giornale per lanciare Gerry e i Pacemakers e i Beatles. Se lo avessi fatto, avrei perso almeno un anno e forse sarebbe stato troppo tardi».
• «[…] c’è stato un momento, in cui io stesso ho quasi mollato. L’intero business era diventato troppo per me: i viaggi e le telefonate, i discorsi e le offerte, i doveri sociali incessanti, la mancanza di radici nella mia vita e la pura e dura fatica necessaria per restare in cima. Per alcuni mesi la tensione era gradualmente cresciuta e sentivo che la mia vita era un casino. Poi, improvvisamente, ho realizzato che il potere era interamente nelle mie mani: non avevo più bisogno di andare avanti. Potevo disporre del mio interesse per i miei artisti e vivere tutto quello che volevo per il resto della mia vita, in buone condizioni finanziarie».
• «[…] stavo per decidere se rimanere nel business come unico direttore di tutte le persone giovani e meravigliose che mi avevano cambiato la vita. Mi era stata fatta una difficile e genuina offerta di 150mila sterline in contanti, solamente per quel giorno, per una quota sui Beatles. Tre giorni dopo, in un ristorante di Londra, cenavo con l’uomo che mi aveva fatto l’offerta».
• «Costruii nella mia mente un piano completo. Avrei venduto i Beatles e tutti i miei artisti eccetto uno, che avrei mantenuto sotto un’unica direzione. […] Ma prima di tutto dovevo vedere i Beatles. Li incontrai nel mio appartamento e dissi loro: “Come vi sentireste se qualcuno prendesse il mio posto?”, e George, senza alzare lo sguardo, mormorò: “Stai scherzando”. “Non sono mai stato più serio nella mia vita”, dissi, e Ringo disse a sua volta: “Dillo di nuovo”. John, il Beatle letterato, disse poi: “Rimarremmo col culo per terra”. Paul disse qualcosa di diverso, addirittura meno educatamente, così aggiunsi: “Non sembrate molto entusiasti”.
•«Vendici e molleremo tutto. Abbandoneremo tutto domani» (Paul McCarney a Brian Epstein).
• «“Quanto dureranno i Beatles?”, mi chiedete. E alcuni di voi rispondono: “In realtà, è solo una mania”. Ebbene, io non so quanto dureranno i Beatles, né lo sanno loro. Nessuno lo sa, ma il barometro è molto ottimista. Sono la più grande attrazione che l’industria abbia mai visto, e che mai vedrà, e a questo livello di grandezza non è che ci si possa dissolvere nel giro di una notte, di un solo anno. Se saremo oculati, potremo scrivere la storia dello show business e non solo colmare il divario tra le età dei loro fan ma addirittura potremo superare i problemi legati alla loro età».
• «Anche se le condizioni dei miei contratti con gli artisti sono ben note – l’amicizia e il 25% tutto incluso per i compensi più alti – sono, ahimè, accusato di avidità. Sono considerato uno spietato uomo d’affari. In effetti non sono né avido né spietato, sono solo estremamente interessato nel preservare lo status e l’ascesa di un artista. Ed è proprio per questo che mi danno il 25%».
«Se c’era un quinto Beatle, era Brian» (Paul McCarney).
• «Brian Epstein era talmente ossessionato dai Beatles e fece di tutto per convincermi a dare loro una chance. Oggi è difficile a credersi, ma all’inizio, quando ascoltai il gruppo, prima ancora di incontrarlo, onestamente rimasi perplesso. Fu l’incredibile entusiasmo di Brian, insieme all’innato carisma della band, a farmi decidere di offrire loro un semplice contratto discografico. Senza la sua ossessiva perseveranza non avrei mai ingaggiato il gruppo di maggior successo di sempre» (Sir George Martin, primo produttore dei Beatles).
• Nessuno dei componenti dei Beatles, almeno all’inizio, sapeva leggere o scrivere la musica.
• «Il 7 Febbraio 1964, i Beatles sbarcarono all’aeroporto Kennedy e furono salutati dal sensazionale benvenuto di diecimila ammiratori. Mentre eravamo in attesa che tutti i passeggeri scendessero dall’aereo e che i quattro Beatles toccassero per la prima volta il suolo americano, quella folla straordinaria si scatenò in un tumulto di applausi e urla selvagge. […] Né prima né dopo di allora, e in nessun’altra parte del mondo, ho avuto occasione di vedere un simile schieramento di fotografi, forse tranne quando i Beatles tornarono in Inghilterra dopo il tour americano».
• «[I Beatles] riescono a fare affiorare l’istinto materno di molte adolescenti. La necessità del subconscio che loro soddisfano con tanta maestria sono tali da indurre queste ragazzine a fare cose dell’altro mondo. Non appena i Beatles si scatenano, i giovani del pubblico, nel buio della sala, hanno la possibilità di liberarsi da ogni inibizione in un modo del tutto primitivo. Dimenticano razionalità e individualismi. Una sindrome di massa prende il sopravvento, svincolandoli da qualsiasi restrizione imposta dalla civiltà».(Il giornalista Vance Packard sul Saturday Evening Post)
• All’Hotel Plaza di New York i Beatles hanno trovato nella loro camera tre ragazze nascoste nella vasca da bagno, a dozzine si sono invece arrampicate lungo i 12 piani della scala antincendio per cercare di raggiungere la suite. Il telefono ha squillato per tutta la notte, un tale ha telefonato dalle Hawaii per ingaggiarli, un altro li ha contattati perché intenzionato a produrre portacenere dei Beatles.
• Durante il ricevimento organizzato dall’ambasciatore britannico a Washington in onore dei Beatles, uno degli ospiti tagliò una ciocca di capelli a Ringo Starr.
• Ci fu perfino chi si accontentò di ricevere l’autografo dal padre di uno dei membri dello staff dei Beatles.
• Brian Epstein fu cacciato all’età di dieci anni dal Liverpool College per “disattenzione e rendimento sotto la media”. All’età di 16 anni aveva cambiato sette scuole e decise di ritirarsi dagli studi.
• Epstein, poiché eccelleva solo nelle materie artistiche, coltivò il sogno di diventare stilista. La speranza si infranse contro la volontà del padre di trovargli un lavoro più adatto ad un uomo.
• Il primo impiego di Epstein fu nel negozio di arredamento di famiglia a Walton, Liverpool. La paga era di 5 sterline alla settimana. Si rivelò un gran venditore.
• La penna Parker con cui Paul McCartney firmò il primo contratto con Brian Epstein era un regalo che quest’ultimo ricevette per premio da un negozio di arredamento dove fece esperienza.
• Come la scuola, anche la leva obbligatoria di due anni fu per Epstein un insuccesso. Non venne selezionato per diventare ufficiale della Royal Army Service Corps: «Non posso immaginare nulla di moralmente peggiore del tenente Epstein responsabile di un plotone di uomini sotto il pesante fuoco dei mortai» disse di se stesso.
• Una sera Brian Epstein rientrò nella caserma di Regents Park in una grossa macchina indossando una bombetta, un gessato e un ombrello. Riuscì così ad eludere la guardia posta all’ingresso e il comandante della guardia. La stessa cosa accadde con un impiegato miope che lavorava proprio alla scrivania accanto alla sua. A fermare l’impresa goliardica fu l’ufficiale d’ordinanza che sbucato da un muro imbiancato avanzò come un gatto nella funerea luce gialla della guardiola urlando: “Soldato semplice Epstein. L’indomani alle ore 10 farà rapporto all’ufficiale di compagnia, in quanto reo di aver impersonato un funzionario”. Per diversi giorni gli fu impedito di lasciare la caserma».
• Dopo una visita dal medico di campo, questi suggerì a Epstein una visita dallo psichiatra: «Con quest’ultimo passammo diverse ore a parlare della scuola, dopo di che, come solitamente avviene, chiese un secondo parere medico, al quale seguirono un terzo e un quarto, finché all’unanimità conclusero che ero un civile compulsivo e per tanto non idoneo al servizio militare. Ero pienamente d’accordo che non fossi utile all’esercito, né che l’esercito fosse utile a me».
• Tornato a Liverpool dopo il congedo dall’esercito, Epstein riprese a lavorare nel negozio di mobili di Walton: «Al suo interno c’era un reparto di dischi alla cui nascita avevo collaborato e anche se non ero portato per la musica mostravo interesse per essa e amavo i dischi di musica classica».
• L’apertura di un nuovo negozio a Liverpool, in Charlotte Street, con un reparto dischi più grande, diede il La alla nascita di uno dei negozi di dischi più grandi della città, il North End Music Store: «Creai un sistema infallibile per capire quando una pila di dischi doveva essere rinnovata […] Non mandavo mai nessuno con un “Mi dispiace, non l’abbiamo”. […] Qualche anno dopo questa politica avrebbe cambiato la mia vita».
• Il Nems, North End Music Store, passò da due, tre dipendenti a trenta persone, «e tutti lavoravano sodo. Formai una lista di best seller che controllavo due volte al giorno, ampliai il reparto di musica pop e spostai i dischi di musica classica al piano superiore».
• «Sabato 28 ottobre 1961 rientrai da una lunga vacanza in Spagna, durante la quale mi chiedi di ampliare i miei interessi. Poi, improvvisamente, ma non in modo inaspettato, poche parole di Raymond Jones portarono la soluzione. Le parole, naturalmente, erano: “Hai un disco dei Beatles?”» (Fu così che Epstein sentì per la prima il nome di un gruppetto di quattro giovani che si facevano chiamare Beatles).
• «Raymond Jones era uno qualsiasi di quella dozzina di clienti che chiamavano tutti i giorni per dischi sconosciuti e sembrava non ci fosse nessuna valida ragione per cui, al di là dei miei sforzi abituali per soddisfare un cliente, sarei dovuto andare oltre tali misure per tracciare l’attuale registrazione degli artisti. Ma lo feci e a volte mi chiedo se non ci sia qualcosa di musicalmente magnetico nel nome “Beatle”».
• «Mi chiedo, sarebbero diventati altrettanto famosi se si fossero chiamati, che so, i Liverpool Four o qualcosa di altrettanto prosaico?».
• «Una caratteristica interessante dei Beatles che era entrata a far parte della mia vita era che, senza esserne conscio, li avevo visti molte volte in negozio. Ero rimasto un po’ infastidito dalle frequenti visite di un gruppo di ragazzi trasandati, in jeans e giacca di pelle, che bazzicavano il negozio di pomeriggio, chiacchierando con le ragazze e oziando sui banchi ad ascoltare dischi. Erano ragazzi abbastanza piacevoli, disordinati e un po’ selvaggi, e avevano senz’altro bisogno di un taglio di capelli».
• «L’interno del club era nero come una profonda tomba, umido, bagnato e puzzolente, e mi pentii di esserci venuto. C’erano circa duecento giovani che ballavano, parlavano o mangiavano un “Cavern Lunch” […] Non erano molto ordinati e nemmeno molto puliti. Ma erano più ordinati e molto più puliti di chiunque altro suonasse alla session dell’ora di pranzo o, se per questo, a molte delle session a cui ho assistito successivamente. Non ho mai visto nulla come i Beatles su un palco. Fumavano mentre suonavano, mangiavano, parlavano e facevano finta di capirsi l’uno con l’altro. […] Amavo i loro movimenti ed ero affascinato da questa – per me – nuova musica, con il suo basso martellante e il suono travolgente». (Così Epstein racconta la sua prima visita al Cavern, il locale simbolo dell’ascesa dei Fab Four).
• «Il 3 dicembre 1961, all’incontro c’erano solo tre Beatles. Mancava Paul e dopo mezz’ora di conversazione svogliata decisero che era inutile parlare di ogni sorta di termini con solo tre presenti, così chiesi a George di telefonare a Paul per capire perché fosse in ritardo. George tornò al telefono con un mezzo sorriso, che mi infastidì, dicendomi che Paul si era alzato e si stava lavando. “Questo è vergognoso, è molto in ritardo”, risposi e George con un sorriso sbilenco ribattè: “… e molto pulito”. (Così il primo incontro d’affari tra Epstein e i Fab Four).
• Ogni serata al Cavern fruttava 75 pence per ognuno, il che era superiore alla tariffa ordinaria. L’anno dopo il loro ingaggio era salito a 15 sterline.
• «Ritornai alla Decca, su appuntamento, con un invito a pranzo. Mi sentivo pessimista, ma cercai di non dimostrarlo quando incontrai Becker Stevens e Dick Rowe, due dirigenti importanti. Prendemmo un caffè, poi il signor Rowe, un uomo basso e robusto, mi disse: “Non uso mezzi termini, signor Epstein, non ci piace il suono dei suoi ragazzi. I gruppi di chitarristi sono destinati a finire”. Dissi, mascherando la fredda delusione che si era diffusa su di me: “Lei deve essere fuori di testa. Questi ragazzi stanno per esplodere, sono assolutamente certo che un giorno saranno più grandi di Elvis Presley”».
• «Stavo diventando molto impopolare a casa, in quanto mio padre, giustamente, voleva sapere se stavo lavorano per quattro ragazzi in giacche di pelle o per lui. E nel qual caso, quando avrei svolto il lavoro? Ogni giorno trascorso a Londra aumentava la sua irritazione, ma restavo irremovibile, perché ero riuscito a non rinunciare alla ricerca di un contratto discografico, finché non fossi stato rifiutato da tutte le etichette d’Inghilterra».
• «Raggiunsi gli uffici della Emi a Manchester Square. Occupavano parte di un bell’ufficio, e vi avrei dovuto incontrare l’uomo che in meno di due anni avrebbe prodotto sedici Number One di miei artisti. George Martin fu molto disponibile e discusse le difficoltà degli affari discografici e i problemi che avrei incontrato se avessi voluto persistere. Mi disse: “Mi piacciono i tuoi dischi e mi piacerebbe vedere i tuoi artisti”».
• «Mi è piaciuto molto il modo in cui George Martin ascoltò i dischi, le lunghe gambe incrociate, appoggiato sul gomito, dondolandosi dolcemente avanti e indietro, annuendo e sorridendo in modo incoraggiante».
• «George era ansioso di entrare in completa relazione con questi originali ragazzi di provincia e per meglio stabilirla chiese: “Fatemi sapere se c’è qualcosa che non vi piace”. “beh tanto per cominciare”, disse George Harrison sotto la sua frangia, “non mi piace la tua cravatta”. E Martin pensò che quello era pur sempre un buon fondamento di amicizia. Da quel momento in poi sono stati una squadra da sogno».
• Alla prima sessione alla Emi i Beatles suonarono “Love Me Do”.
• Il primo disco inglese uscì il 4 ottobre 1962: Love Me Do sul lato A e P.S. I Love You sul lato B. Quarontott’ore più tardi era alla posizione 49 delle classifiche discografiche. Infine entrarono nella Top 20 delle classifiche della Gran Bretagna salendo fino al numero 17.
• Fu con Please Please Me che i Beatles raggiunsero nella primavera del ’63 la prima posizione in tutte le classifiche discografiche del Paese.
• Il primo batterista dei Beatles era Pete Best, che nel 1963 fu sostituito con sua delusione da un barbuto tipetto proveniente da Dingle… il suo nome era Richard Starckey, ma si faceva chiamare Ringo Starr.
• «George Martin non fu contento di Pete Best alla batteria e i Beatles, sia ad Amburgo che a Liverpool, sostenevano che il suo ritmo fosse sbagliato per la loro musica. Io non ne ero sicuro, né ero ansioso di modificare la formazione dei Beatles nel momento in cui stavano sviluppando la loro personalità. […] Tuttavia avevano già deciso che prima o poi Pete doveva andarsene. Pensavano fosse troppo convenzionale per essere un Beatle, e anche se era amico di John non lo era di Paul e George. Una notte di settembre i tre mi si avvicinarono e dissero: “Vogliamo Pete fuori e Ringo dentro”».
• Con il licenziamento di Pete Best Brian Epstein divenne l’uomo più antipatico della fremente scena beat. Al Cavern si aggiravano bande di fan gridando «Pete per sempre, Ringo mai» mentre sventolavano bandiere. Epstein dovette girare con una guardia del corpo, a George Harrison fecero un occhio nero.
• «Voglio suonare la batteria davanti la regina madre. Cosa c’è di male in questo?» (Ringo Starr ad uno dei primi incontri con la stampa, 1963).
• «Quando suonarono al Royal Variety Show, Londra restò attonita davanti alle urla della rumorosa gioventù del sud dell’Inghilterra. I Reali, i benestanti e la Londra perbene furono colpiti dalla naturalezza di quei quattro giovanotti. Alla stessa serata partecipò Marlene Dietrich, la quale nel backstage fu conquistata dall’aplomb dei quattro showman talmente giovani da poter esserne i nipoti: “È stata una gioia trovarmi lì con loro. Li adoro questi Beatles”».
• «La “coda Beatle” divenne una caratteristica della vita inglese. Con coperte, radioline a transistor e bottiglie di acqua calda, con o senza la benedizione dei genitori, tutti i giovani della provincia inglese sfidavano qualunque situazione meteorologica pur di avere quel piccolo pezzetto di carta che avrebbe permesso loro di vedere e ascoltare i loro idoli per venticinque minuti».
• Nel 1963 a Newcastle quasi quattromila fan erano rimasti in coda a congelarsi per comprare i biglietti. Il Telegraph scrisse: «Più che il preludio di un gioioso evento legato ai Beatles, sembrava una scena funerea… Tre ambulanze, quasi mai a corto di pazienti, tra cui molte ragazzine, hanno dovuto fronteggiare oltre cento casi di svenimenti e malori vari. Alcune persone hanno dovuto essere trasportate in ospedale. Settantaquattro poliziotti erano in servizio e sono stati allestiti diversi punti di controllo specifici».
• «Con l’arrivo del 1964 essere fan dei Beatles andava di moda. Non esistevano più barriere di alcun tipo. Nonne e bambini si univano ai teenager di qualsiasi rango e, di conseguenza, noi ci aspettavamo milioni di dischi venduti ad ogni nuova uscita. Entro l’estate di quell’anno, praticamente ogni cittadino, magnate del commercio, aristocratico o organizzatore di eventi benefici avrebbe cercato di illuminare il proprio nome e quello della propria industria o organizzazione con il marchio Beatles. Diventò scontato che se qualcuno era riuscito ad avere un Beatle al proprio party, ce l’aveva fatta socialmente».
• I Beatles nel 1964 hanno suonato ad Adelaide a seguito di una petizione firmata da 80mila cittadini.
• Per sfuggire dagli alberghi asserragliati da migliaia di fan scatenati i Beatles hanno sempre a disposizione un’auto pronta per la fuga. Generalmente era una Austin Princess, che poteva comodamente accogliere i quattro, il loro road manager e, se necessario, un uomo della sicurezza o un poliziotto.
• «È un’usanza comune tra i fan dei Beatles quella di scagliarsi contro la loro auto se questa procede a meno di 20 miglia l’ora. Una sera, dopo un concerto a Londra, quattro ammiratori di John sradicarono lo sportello e si catapultarono dentro la macchina. I fan furono spinti fuori e l’autista sfrecciò via senza la portiera con i quattro ammassati contro il finestrino. Più tardi, quando tornò a riprendere la portiera, scoprì che era stata portata via come souvenir».
• «Molto spesso, per uscire dai teatri, io e i Beatles veniamo condotti attraverso dei tunnel sotterranei negli uffici adiacenti, per poi uscire all’aperto un centinaio di metri più avanti, lontano dalle orde di fan appostate all’esterno. Un po’ come un’evasione di prigionieri di guerra».
• «Con troppa frequenza la polizia sottovaluta il magnetismo di McCarney e la determinazione che hanno le ragazze nello strappargli i vestiti».
• «In Olanda capitò che la polizia non volesse correre alcun rischio, e malmenò ripetutamente Derek Taylor, il mio assistente, e Neil Aspinall, il road manager, scaraventandoli a terra una dozzina di volte al giorno, in quanto pensavano che stessero cercando di aggredire i Beatles».
• «Se Paul ha il fascino, John il comando e Ringo la bizzarria di un piccolo uomo, George è, con il suo sorriso lento, il ragazzo della porta accanto. Sono dei ragazzi straordinari, davvero bravi. Non credo che ci sarà mai qualcuno di simile, non succederà».
• «Il nostro denaro proveniva da tutte le parti, da apparizioni personali, dischi, televisione, radio e cinema, merchandising, vendita di parrucche da Beatle, polvere di talco, gomme da masticare, chitarre. Letteralmente, da qualsiasi prodotto avesse visto la luce».
• «Devo dire che, contrariamente ad alcune affermazioni, [la stampa] non ha avuto nulla a che vedere con l’ascesa dei Beatles. Ero stupito che arrivassero così tardi sulla scena, ed ero davvero contento di non dovere contento di non dover far affidamento sui giornale per lanciare Gerry e i Pacemakers e i Beatles. Se lo avessi fatto, avrei perso almeno un anno e forse sarebbe stato troppo tardi».
• «[…] c’è stato un momento, in cui io stesso ho quasi mollato. L’intero business era diventato troppo per me: i viaggi e le telefonate, i discorsi e le offerte, i doveri sociali incessanti, la mancanza di radici nella mia vita e la pura e dura fatica necessaria per restare in cima. Per alcuni mesi la tensione era gradualmente cresciuta e sentivo che la mia vita era un casino. Poi, improvvisamente, ho realizzato che il potere era interamente nelle mie mani: non avevo più bisogno di andare avanti. Potevo disporre del mio interesse per i miei artisti e vivere tutto quello che volevo per il resto della mia vita, in buone condizioni finanziarie».
• «[…] stavo per decidere se rimanere nel business come unico direttore di tutte le persone giovani e meravigliose che mi avevano cambiato la vita. Mi era stata fatta una difficile e genuina offerta di 150mila sterline in contanti, solamente per quel giorno, per una quota sui Beatles. Tre giorni dopo, in un ristorante di Londra, cenavo con l’uomo che mi aveva fatto l’offerta».
• «Costruii nella mia mente un piano completo. Avrei venduto i Beatles e tutti i miei artisti eccetto uno, che avrei mantenuto sotto un’unica direzione. […] Ma prima di tutto dovevo vedere i Beatles. Li incontrai nel mio appartamento e dissi loro: “Come vi sentireste se qualcuno prendesse il mio posto?”, e George, senza alzare lo sguardo, mormorò: “Stai scherzando”. “Non sono mai stato più serio nella mia vita”, dissi, e Ringo disse a sua volta: “Dillo di nuovo”. John, il Beatle letterato, disse poi: “Rimarremmo col culo per terra”. Paul disse qualcosa di diverso, addirittura meno educatamente, così aggiunsi: “Non sembrate molto entusiasti”.
•«Vendici e molleremo tutto. Abbandoneremo tutto domani» (Paul McCarney a Brian Epstein).
• «“Quanto dureranno i Beatles?”, mi chiedete. E alcuni di voi rispondono: “In realtà, è solo una mania”. Ebbene, io non so quanto dureranno i Beatles, né lo sanno loro. Nessuno lo sa, ma il barometro è molto ottimista. Sono la più grande attrazione che l’industria abbia mai visto, e che mai vedrà, e a questo livello di grandezza non è che ci si possa dissolvere nel giro di una notte, di un solo anno. Se saremo oculati, potremo scrivere la storia dello show business e non solo colmare il divario tra le età dei loro fan ma addirittura potremo superare i problemi legati alla loro età».
• «Anche se le condizioni dei miei contratti con gli artisti sono ben note – l’amicizia e il 25% tutto incluso per i compensi più alti – sono, ahimè, accusato di avidità. Sono considerato uno spietato uomo d’affari. In effetti non sono né avido né spietato, sono solo estremamente interessato nel preservare lo status e l’ascesa di un artista. Ed è proprio per questo che mi danno il 25%».
«Se c’era un quinto Beatle, era Brian» (Paul McCarney).
(a cura di Daniele Assorati)