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 2013  novembre 11 Lunedì calendario

Il partito di Grillo


Tratto da Il partito di Grillo
di Elisabetta Gualmini e Piergiorgio Corbetta, Il Mulino, 2013

• Se per «partito» si intende «un qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le elezioni (libere o no) candidati alle cariche pubbliche» [Sartori 1976, 63], allora si è già consumato da tempo il passaggio da movimento a partito, così come quello dalla fase della genesi a quella dell’istituzionalizzazione.

• La vicinanza di Grillo all’area della sinistra è testimoniata poi dalle prime esibizioni «politiche» alle feste dell’Unità tra gli anni ottanta e novanta, dall’appoggio, seppure turandosi il naso, al governo Prodi del 2006 e dal tentativo di candidarsi alle primarie per la segreteria del Pd nel 2009. 

• È dalle amministrative 2012, tuttavia, che il M5s inizia ad attrarre consensi dagli elettori del centrodestra, anche a fronte dello sfacelo della Lega di Bossi sotto la scure degli scandali e della corruzione, e della frantumazione del Pdl berlusconiano, assumendo una natura sempre più «pigliatutti». 

• Testimonianza di un militante: «Lavoro con uno che è stato obiettore di coscienza mentre io ho fatto il militare nei paracadutisti … Ci siamo ritrovati all’interno del M5s a lavorare, a battagliare con lo stesso obiettivo e con le stesse idee. La differenza di pensiero si supera» [T.F., Piacenza]. 

• L’elettore-tipo è prevalentemente maschio, ha un’età non così giovane (tra i 35 e i 44 anni), è diplomato e dipendente (in leggera prevalenza) del settore privato, ed è distribuito su tutto il territorio, nei piccoli come nei grandi centri, al Nord come al Centro e al Sud. Non ha una propensione a partecipare ad attività associative più elevata di quella degli elettori di altri partiti e non è un «escluso dalla società» (la componente del precariato risulta contenuta). 

• Si può dire che il M5s nasce insieme al suo programma, anzi è il suo programma. Le 5 stelle, contenute nel simbolo, indicano infatti i 5 valori fondativi e obiettivi politici intorno a cui il Movimento è nato: acqua, ambiente, energia, trasporti, sviluppo. Nel nome del Movimento il programma. Si tratta di temi e politiche pubbliche squisitamente locali, che offrono un doppio vantaggio: da un lato toccano da vicino gli interessi e le istanze dei cittadini, dall’altro, e all’opposto, hanno una natura universalistica e trasversale (beni pubblici collegati ai diritti di cittadinanza) in cui non è possibile non identificarsi. 

• Il «web-populismo» di Grillo è diverso dal populismo moralizzante di Di Pietro, dal populismo padronale di Berlusconi (come scordarsi il dito puntato di Fini mentre alza i tacchi e se ne va dal Pdl?) e dal populismo terrigno e secessionista della Lega dei primordi. 

• Il populismo di Grillo si manifesta in forma più velata e sottile, perché furbescamente celato dietro il suo opposto: l’ostentazione della democrazia, della partecipazione dal basso, dell’inclusività di tutti nelle decisioni pubbliche. Grillo controlla le candidature, decide le regole del gioco, seleziona i neofiti e respinge gli eretici, non confrontandosi mai né nel dibattito pubblico né con la base. Nello stesso tempo, il programma del «suo» Movimento fa della partecipazione dal basso e dei cittadini il motore unico e primo di ogni decisione. I cittadini sarebbero il centro da cui si irradia il decision making. «Ognuno vale uno», e anche l’ultimo arrivato, come si dirà dopo, può dire la sua e modificare il programma. 

• Il ritorno al cittadino richiama poi alcuni elementi distintivi di un particolare metodo decisionale, quello della «democrazia deliberativa», che si contrappone ai tradizionali meccanismi di rappresentanza basati sulla delega a partiti ed esponenti politici eletti da un lato e sulla concertazione/contrattazione tra le parti dall’altro. In questi approcci basati sulla partecipazione dal basso, particolarmente diffusi nel mondo anglosassone, la decisione diventa il frutto della deliberazione di tutti e del confronto «discorsivo» tra i partecipanti 

• «Se dalla politica togliamo i soldi e togliamo la carriera, la politica diventa una cosa bellissima»: questo è uno dei passaggi tra i più gettonati del copione dell’ex comico Grillo sul palco durante i comizi. L’idea di fondo è che chiunque è in grado di fare meglio del politico «navigato» e con troppa esperienza alle spalle. 

• Testimonianza: «Io ho detto che [i politici tradizionali] facevano un po’ ridere a guardarci come se fossimo dei ragazzini, perché alla fine io ho 48 anni, a me uno che ha la mia età o cinque anni più di me e mi guarda come se fossi una ragazzina che non sa dove sta di casa … mi fa ridere … Non sarò esperta di macchina comunale o di politica ma insomma ho un’azienda. Aspetto te per capire come funziona il mondo? Forse sarebbe meglio che fossi tu a chiedere a me come funziona il mondo delle volte. Io nel mondo ci vivo, tu un po’ meno» [Candidato 2, 2012]. 

• Testimonianza: «Sono andato a un’assemblea del Pd e sono rimasto molto deluso. Erano tutti vecchi. Non decidevano niente e poi si chiamavano «compagni» e questo mi dava un po’ fastidio» [Candidato 3, 2012]. 

• Gli elettori del Movimento sono sicuramente quelli più propensi a ricavare le loro informazioni politiche dal web, ma continuano ad utilizzare prima la Tv e poi i giornali e al terzo posto la rete, come gli altri elettori. 

• La rete da un lato ha permesso al Movimento di acquisire nuovi contatti, dall’altro però tendono ad essere più attive sulla rete le persone che già lo sono sul territorio, in sintonia con quanto capita per gli altri partiti politici [Mosca 2012a; Vaccari 2012]. Non è possibile dunque affermare in assoluto se internet sia più democratico dei vecchi media, prevale l’idea di un mix. 

• Tramite l’utilizzo della rete come forma principale di diffusione dei propri messaggi e di interazione con i cittadini, il M5s ha senza dubbio segnato un passo in avanti sul piano dell’evoluzione dei modelli e degli stili della comunicazione politica. La discesa in campo di Berlusconi, quasi vent’anni fa, aveva dato avvio alla mediatizzazione della politica in Italia, ovvero all’adattamento del messaggio elettorale e delle modalità di comunicazione in particolare al mezzo televisivo, quello più visto e penetrante sul piano del raggiungimento dei cittadini. 

• Grillo recita la politica come in passato recitava i suoi show. Recita senza tuttavia sembrare artefatto. Fa della recita politica la cosa più vera che ci sia. Alternando battute a contenuti più seri, iperboli e urla a sospiri e frasi sommesse. Impossibile non ascoltarlo. Vi è una sovrapposizione completa tra teatro e politica, tra palasport e piazza, tra il Fantastico 7 del 1986 e i comizi pre-elettorali del 2012. 

• Grillo è maestro dell’arte dell’ipersemplificazione spiccia e immediata di messaggi complessi. Messaggi come «Se andiamo al governo, ci mettiamo lì e discutiamo su tutto», «Se torniamo alla vecchia liretta, svalutiamo del 30% e in una notte risolviamo tutto», «Se sappiamo gestire i bilanci di casa nostra, gestiremo anche quelli del comune», «Io ho una figlia e la mando al liceo linguistico perché in Italia non c’è più niente da fare e l’unica cosa è far imparare le lingue» sono scorciatoie cognitive minacciose. 

• L’ipersemplificazione viene poi corredata da un linguaggio aggressivo, duro e diretto, dallo sbeffeggio ai politici apostrofati sempre con un soprannome («Rigor Montis», «Frignero», «Forminchione», «Super Cazzola», «Zombie», «Psiconano», «Anthony Perkins delle vecchie mignotte», «Ebetino di Firenze», «Cancronesi», «Gargamella», e tanti altri). 

• Grillo aveva già iniziato a far politica in precedenza. In effetti, ripercorrendo le vicende del comico genovese divenuto leader politico è difficile individuare una soluzione di continuità tra l’attività di uomo di spettacolo e quella di politico. In piena Prima Repubblica (al governo c’è Craxi), ossia dal 15 novembre 1986, a Fantastico 7, Grillo pronuncia una battuta che prende di mira proprio il partito del presidente del Consiglio («La cena in Cina. C’erano tutti i socialisti, con la delegazione, e mangiavano ... A un certo momento Martelli ha fatto una delle figure più terribili. Ha chiamato Craxi e gli ha detto: “Ma senti un po’, qua ce n’è un miliardo e son tutti socialisti?”. E Craxi gli ha detto: “Sì, perché?”. “Ma allora, se son tutti socialisti, a chi rubano?”»  e che gli procura la cacciata dalla Rai (ci ritornerà, nel 1988 e nel 1989, per due brevi apparizioni al Festival di Sanremo, dove i suoi testi sono sottoposti a rigido controllo preventivo).  

• Per la prima volta, Grillo dà il via, dal palco, a un’azione collettiva. Dopo aver duramente preso di mira i numeri a pagamento della Sip (l’144, lo 001, ecc.), accusati di provocare veri e propri drammi nelle famiglie, invita gli spettatori a spedire al presidente della stessa società («al vergognoso Biagio Agnes») una cartolina per chiedere la loro eliminazione. L’iniziativa ha successo, tanto che pochi giorni dopo un comunicato ufficiale della Sip annuncia che, dal 1o gennaio 1994, sarà consentita la disattivazione dei numeri a pagamento.  

• Fin dal settembre del 2002 nei suoi spettacoli aveva denunciato la situazione insostenibile del debito di Parmalat e i rischi connessi alla finanza creativa. Tanto che, anni dopo, viene chiamato a testimoniare come persona informata dei fatti durante il processo per lo stesso crac. 

• Grillo – di fronte a una crescente disattenzione dei giornali italiani – può vantare un’attenzione frequente, curiosa, quasi sempre benevola, talvolta perfino entusiastica, di numerosi media stranieri che dedicano grande spazio al «fenomeno Grillo», al suo particolare rapporto con il pubblico e ai temi che elabora: nel 2005, ad esempio, «Time» inserisce Grillo tra gli «eroi europei dell’anno» per le sue denunce degli scandali finanziari, della corruzione e dell’inquinamento. 

• Il linguaggio di Grillo segue una tendenza affermatasi da un ventennio nel quale «la politica italiana è stata dominata da un linguaggio violento, truculento, estremo», spesso accettato e apprezzato «come manifestazione di autenticità», in contrapposizione agli oscuri e iniziatici discorsi in «politichese».

• Il 26 gennaio 2005 Grillo dà vita a www.beppegrillo.it che, dopo un timido inizio, diventa ben presto uno dei blog con più largo seguito in Italia, spesso citato anche dai media stranieri: nel 2008 l’«Observer» lo colloca al nono posto tra i blog più influenti del mondo, nello stesso anno «Time» lo inserisce nella lista dei venticinque migliori blog del mondo. 

• Diversi critici reputano che il blog non utilizzi le potenzialità di questo strumento, ma ne faccia piuttosto un uso unidirezionale centralizzato, con un nucleo fondante, il post, che viene calato dall’alto tutti i giorni, e un seguito di commenti, che si annulla nell’eccesso e nella mancanza di feedback. Ogni post ha centinaia di commenti, a volte migliaia. Impossibile leggerli tutti. Il sistema non è improntato al dialogo. Grillo non risponde mai. È un assolo, un soliloquio, un monologo che impone un pensiero dominante e lascia ai commentatori la gloria effimera di uno spazio ininfluente e invisibile. 

• Il blog di Grillo ha assunto posizioni che sembrano in contraddizione con la sua storia e con la sua originaria collocazione politica: Nel 2000 criticava il «naturale razzismo» degli italiani («L’Italia ha un’immigrazione dell’1%, in Germania sono quasi al 10%, il Lussemburgo è al 27% ... e noi già ce la facciamo addosso. Il problema italiano non è l’immigrazione»). In anni recenti sembra invece volerlo fomentare. Il 5 ottobre 2007, ad esempio, scrive: Un Paese non può scaricare sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di rom della Romania che arrivano in Italia. L’obiezione di Valium [Prodi] è sempre la stessa, «la Romania è in Europa», ma cosa vuol dire Europa? Migrazioni selvagge di persone senza lavoro da un Paese all’altro? Senza la conoscenza della lingua, senza possibilità di accoglienza? Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom. È un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Si poteva fare una moratoria per la Romania, è stata applicata in altri Paesi europei. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto nulla. Un governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa? Chi paga per questa insicurezza sono i più deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari. Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati. 

• Grillo sulle Politiche 2004: la scelta tra Berlusconi e Prodi è «tra il peggio e il leggermente meno peggio, tra la merda fumante e quella appena tiepidina»). 

• Fino al 2008 il blog si percepisce come un «pungolo»: i cittadini devono informarsi, devono attivarsi, devono far sentire le proposte, ma poi spetta ai politici – nostri «dipendenti» – nelle sedi istituzionali tradurre queste proposte in leggi. La politica è largamente squalificata ma è ancora depositaria del diritto/dovere di governare. Deve quindi essere pungolata nelle sue componenti migliori, o meno squalificate (identificate prevalentemente in parti del centrosinistra). 

• Il 10 ottobre 2007 Grillo dà le prime indicazioni su come creare le liste civiche nate dai Meetup, «virus della democrazia partecipativa». Le definisce come «una specie di P2 sobria». 

• Tra le provocazioni che ottengono maggiore risonanza mediatica c’è la candidatura – annunciata il 12 luglio 2009 dal blog – alle elezioni primarie per la scelta del segretario del Partito democratico, previste per il 25 ottobre: nel dare l’annuncio, Grillo non rinuncia ai toni aspri nei confronti della dirigenza del partito («Dalla morte di Enrico Berlinguer nella sinistra c’è il Vuoto. Un Vuoto di idee, di proposte, di coraggio, di uomini»).

• Come certamente lo stesso Grillo sapeva fin dall’inizio la sua candidatura nel PD si risolve in un nulla di fatto, anche se gli serve asia per mettere in luce divisioni all’interno del Pd (identificato, evidentemente, come principale terreno di caccia di consensi e, in prospettiva, di voti), sia per ridicolizzare la retorica dell’apertura alla società con cui le primarie sono propagandate. Provocazioni di questo genere – come anche iniziative più «serie» come le «primarie dei cittadini» o le proposte di legge di iniziativa popolare – servono, nella costruzione del messaggio politico grillino, a mettere alla prova la retorica democratica con cui le forze politiche si presentano al popolo, dimostrandone l’inconsistenza. Il «fallimento» di queste iniziative – che, si può ipotizzare, è dato per scontato fin dall’inizio – serve, per l’appunto, a dimostrare l’impenetrabilità del Palazzo, evidenziando come, per un cittadino che voglia far politica, sia impossibile riuscirvi finché la scena sarà dominata da partiti che impediscono il libero confronto democratico. 

• Nel settembre 2010, i simpatizzanti del movimento si ritrovano a Cesena per quella che viene chiama «Woodstock a 5 Stelle», una kermesse politico-musicale, dove Grillo afferma l’intenzione di presentarsi alle elezioni politiche («manderemo in Parlamento dieci o venti ragazzi di trent’anni»). 

• Le prime performance del M5s sono particolarmente segnate dal divario tra Nord e Sud. Questa differenza può essere spiegata con il riferimento a vari fattori, riconducibili a indicatori di «modernità» (come la forza delle dotazioni di capitale sociale o il diverso grado di sviluppo delle infrastrutture informatiche) e alla diversa incidenza del voto di scambio e del voto di opinione, oltre che a fattori di carattere più contingente, come il tracollo della Lega che ha reso disponibile nelle regioni del Centro-Nord un bacino di voti più ampio che al Sud. 

• «Da noi la democrazia non esiste. È Casaleggio la vera mente del movimento. Ha sempre deciso Casaleggio da solo. Lui controlla dall’alto tutta questa roba. Lui quando qualcosa non va telefona o fa telefonare Grillo. Tra gli eletti ci sono degli infiltrati di Casaleggio, quindi noi dobbiamo stare molto attenti quando parliamo. Casaleggio è spietato, è vendicativo».  (Dal famoso fuorionda in cui il consigliere regionale dell’Emilia-Romagna Giovanni Favia accusa senza mezzi termini lo strapotere di Casaleggio all’interno dell’organizzazione).

•«Anche fra le nostra fila nascerà qualche Scilipoti: lo elimineremo» (Grillo) 

• È il tessuto associativo che fornisce l’humus da cui emergono i leader locali del M5s.

• Quali sono i partiti che hanno contribuito maggiormente al più recente successo del M5s? I nostri risultati indicano che le due basi di reclutamento principali sono rappresentate da ex elettori dell’Idv e della Lega Nord. Come si può desumere dai flussi 2010-2012, in tutte e sei le città analizzate, la componente principale del voto al candidato 5 stelle è rappresentata da ex elettori di questi due partiti che, salvo il caso particolare di Verona, contribuiscono mediamente al 40% dei voti complessivi al Movimento. 

• Osservando i dati relativi al suo elettorato dopo le elezioni amministrative 2012 (il nostro campione di riferimento), si nota innanzitutto che il M5s raccoglie maggiori consensi tra gli uomini e meno tra le donne. Rispetto al 21,5% che il Movimento ottiene nell’intero campione sono intenzionati a votarlo il 23,4% degli uomini, ma solo il 19,3% delle donne. Ciò potrebbe essere spiegato dal divario digitale esistente in Italia tra uomini e donne, documentato anche dagli studi più recenti [...]. Tuttavia, l’insediamento maggiore non è fra i giovanissimi (18-24 anni), ma tra le fasce dai 25 ai 34 anni e dai 35 ai 44 anni, fra i quali, a fronte del 21,5% raccolto nell’intero elettorato, il M5s si aggiudica preferenze attorno al 30%. 

• Le casalinghe risultano essere la categoria che si conferma meno ricettiva alle istanze del Movimento. 

• Il m5s raccoglie consensi superiori alla media tra i non credenti (25,8%) e i non praticanti (24,3), assestandosi invece al di sotto della media ottenuta nel campione sia tra i praticanti assidui (15,3%) sia tra i saltuari (20,1%). 

• Berlusconi attaccò Grillo definendolo «l’espressione peggiore della sinistra peggiore» ; dall’altro lato Scalfari definì Grillo un’espressione «della peggiore destra, quella populista, demagogica, qualunquista che cerca un capo in grado di de-responsabilizzarla». Pierluigi Bersani apostrofò il fondatore del Movimento come un «fascista del web».  

• I social network (Meetup non è un’eccezione) favoriscono un’interazione debole fra i partecipanti, ben diversa dall’iscrizione a un partito tradizionale – o anche a un’associazione di volontariato – che presuppone un preciso vincolo morale. Il Meetup permette, per così dire, di rimanere con un piede dentro al Movimento e con l’altro fuori. Consente di seguire la discussione anche senza intervenire direttamente e, quando si decide di farlo, si agisce in maniera diretta, senza dover affrontare i costi di un lungo apprendistato di regole formali e informali che disciplinano la vita di un’organizzazione politica tradizionale e che, nella maggior parte dei casi, appaiono del tutto incomprensibili al neofita. 

• «Ci siamo accorti che anche l’ultimo arrivato potrebbe avere l’idea migliore rispetto a chi è un anziano del gruppo stesso. Non c’è una struttura piramidale del tipo “io sono il più anziano e perciò decido per tutti”. No, assolutamente. Si va per votazione, perché noi siamo comunque l’incontro di tante persone diverse. La tua idea può essere migliore della mia e quello che ci fa andare avanti è che abbiamo anche orecchie per ascoltare» [F.M., Alessandria, militante]. 

• «A un certo punto abbiamo deciso di differenziare. Abbiamo diviso i simpatizzanti del M5s dagli attivisti. Come fare questo senza avere una tessera di partito che non abbiamo e non vogliamo avere? Nel momento in cui una persona partecipa a tre eventi organizzati dal M5s, che possono essere incontri, banchetti, attività, viene registrata. Questa persona che ha fatto tre incontri se vuole entrare negli attivisti può fare richiesta. Gli attivisti hanno la possibilità di accedere a dei forum privati, interni, di partecipare all’assemblea in cui si va a decidere qualcosa, tipo i candidati per dire. Ci si trova in un’assemblea, la persona davanti a tutti si presenta, dice chi è, cosa ha fatto. A quel punto ottiene le password e diventa attivista. È molto leggera come cosa, perché uno i tre incontri li può fare anche se è in malafede. Fa tre incontri, poi dal giorno dopo crea scompiglio nel Movimento. Quindi non è un filtro di quelli partitici per cui chi non ci va bene sta fuori» [L.D., Bologna, militante]. 

• «Io certe volte con rammarico vedo che vogliono quasi estromettere Beppe Grillo dal M5s perché si dà l’idea che lui comandi le persone. Io non ho visto niente di tutto questo in lui. Conoscendolo personalmente ho avuto l’impressione che ha veramente un cuore molto grande. Lo sta facendo perché ha piacere di farlo ma non c’ha nessun guadagno: lui potrebbe benissimo starsene là nella sua villa, con i suoi soldi, e fregarsene di quello che sta succedendo» [A.G., Budrio, militante]. 

• Anche le modalità di finanziamento possono essere lette come un indicatore del grado di autonomia dei nuclei locali del M5s rispetto alla leadership, oltre ad essere un vessillo continuamente sbandierato per sottolineare la distanza da chi percepisce ingenti contributi dallo stato. In questo senso, la vivacità organizzativa, la numerosità e l’elevato livello di partecipazione politica degli attivisti del M5s, le innovazioni introdotte nel processo decisionale e nelle forme di reclutamento del personale politico, fanno da contraltare a un’assai esigua quantità di risorse finanziarie e all’indisponibilità di beni immobili (nella fattispecie, sedi dove incontrarsi).  

• «Sono consigliere comunale, ho una sorta di vincolo di mandato, ogni sei mesi convoco un’assemblea come movimento e presento sul tavolo le mie dimissioni e la relazione su quello che ho fatto. Se l’assemblea dice che gli è piaciuto, se ho rispettato i valori del Movimento, bene. Altrimenti firmo le dimissioni ed entrerà in consiglio comunale il primo dei non eletti» [P.A., Monza, militante]. 

• Oltre trent’anni fa Ronald Inglehart [1977], nel descrivere le profonde trasformazioni in atto nelle società occidentali, teorizzò l’avvento di una «rivoluzione silenziosa». Crescita economica, sviluppo tecnologico, espansione delle comunicazioni di massa, aumento del livello di istruzione della popolazione avrebbero determinato, secondo lo studioso americano, una radicale ridefinizione della scala dei valori individuali e collettivi, con la perdita di importanza dei temi centrati sulla sicurezza fisica ed economica (valori «materialisti») a vantaggio di temi riguardanti la qualità della vita, la difesa dell’ambiente, la valorizzazione della libertà di espressione e di decisione, l’autorealizzazione (tutti valori classificati da Inglehart come «post-materialisti»). La progressiva crescita del livello di istruzione e, di riflesso, delle capacità politiche dei cittadini aveva attivato un processo di «mobilitazione cognitiva» in base al quale i nuovi elettori risultavano sempre più informati e attenti nei confronti della politica («sofisticati»), ma anche meno disponibili a sostenere acriticamente le gerarchie istituzionali e le grandi organizzazioni, più indipendenti dai partiti nelle loro decisioni e interessati a partecipare direttamente alla cosa pubblica, anche attraverso forme non convenzionali o non politiche di impegno, all’interno di micro-organizzazioni e piccoli gruppi. 

• Due sono le macro-aree tematiche che vengono richiamate, con diversi accenti, focalizzazione, priorità da tutti i gruppi: il «neoambientalismo» e il progetto di «moralizzazione» della politica. 

• Su 25 attivisti del Movimento intervistati poco più della metà (14) si dichiarano vicini, per percorsi, sensibilità, prospettive, al campo della sinistra o dei partiti di sinistra. Una storia di appartenenze e identificazioni generalmente labili, attribuibili per lo più all’ambiente familiare o al retroterra sociale in cui si è cresciuti. 

• «Mi chiedevo se ero di centrosinistra con il Pd. C’è stato un momento in cui ho capito che non era importante saperlo. Non è l’etichetta che fa una cosa buona, quindi ho smesso di chiedermelo. La maggior parte delle mie idee all’epoca erano considerate di sinistra. Poi sullo scudo fiscale, sull’acqua pubblica, su una serie di cose ho pensato: “O non lo sono loro di sinistra o non lo sono io”» [L.Z., Parma, militante].

• «D’Alema ci ha definito un movimento politico ostile. Per me questa è la migliore definizione che si può dare di noi» [T.P., Napoli, militante]. 

• L’introduzione di tecnologie potenzialmente in grado di modificare la comunicazione e le relazioni fra cittadini e governanti ha sempre suscitato dibattiti che contrappongono libertà e controllo. Per dirla con Umberto Eco [1964], gli «apocalittici» hanno disegnato scenari orwelliani, in cui le nuove tecnologie avrebbero dotato i governi di strumenti di sorveglianza senza precedenti, mentre gli «integrati» hanno immaginato che esse avrebbero ricreato le condizioni per forme di democrazia diretta. 

• Due le teorie sul rapporto tecnologia e politica: quella della «normalizzazione» e quella della «equalizzazione» [Strandberg 2008]. La prima ipotesi sostiene che la politica online non sarebbe altro che «la solita politica», determinando quindi una sorta di «colonizzazione» del cyberspazio da parte dei soggetti tradizionali. In questo senso internet non farebbe altro che riprodurre online le relazioni di potere che esistono fuori dalla rete. La seconda ipotesi afferma invece che internet favorirebbe attori marginali fornendo loro nuove opportunità di intervento nella sfera pubblica e di mobilitazione di risorse (materiali, umane, logistiche, ecc.).

• Se si ignora il risultato relativo alla disponibilità di siti e blog personali, la presenza dei candidati del M5s su tali piattaforme risulta significativa: su Facebook, ad esempio, è quasi pari a quella dei candidati delle principali coalizioni (centrodestra e centrosinistra); per quanto riguarda la piattaforma di microblogging Twitter i candidati 5 stelle si classificano terzi dopo le due principali coalizioni e prima del Terzo polo; nel caso del sito di materiali audiovisivi YouTube si posizionano al quarto posto dopo i tre principali poli; invece, gli esponenti del M5s sono i più presenti in assoluto sulle due piattaforme più recenti: Foursquare (social network che si basa sul concetto di «geolocalizzazione») e Googleplus (l’alternativa «social» di Google a Facebook). Il presidio di queste piattaforme da parte dei candidati del Movimento sembra indicare il tentativo di «arrivare per primi» in spazi ancora relativamente inesplorati, nella speranza di godere di un vantaggio competitivo che le piattaforme più diffuse (e ormai inflazionate) del web 2.0 non sembrano più capaci di offrire. 

• Se si confrontano gli elettori del M5s con il resto della popolazione, essi risultano effettivamente più a loro agio con il web: l’80%, infatti, utilizza internet e il 52% si connette più volte al giorno, mentre solo il 61% degli italiani utilizza la rete e solo il 32% si collega ripetutamente nella stessa giornata. 

• Il populismo non è solo quello fascistizzante e xenofobo di Jean-Marie Le Pen o Jörg Haider (tanto per limitarci ad uno sguardo appena oltralpe). Il politologo inglese Paul Taggart lo definisce «servitore di molti padroni» e afferma che «il populismo è stato uno strumento dei progressisti, dei reazionari, dei democratici, degli autocrati, della sinistra e della destra». E gli attribuisce «un’essenziale capacità camaleontica, nel senso che acquisisce sempre il colore dell’ambiente in cui si manifesta. All’origine di tutto ciò sta il fatto che il populismo è «senz’anima», cioè non dispone di una vera ideologia, intesa come un sistema di idee e di valori (come potrebbero essere l’uguaglianza, la libertà, la giustizia sociale, ecc.) connessi all’azione politica, in grado di interpretare il passato, leggere il presente e proiettarsi sul futuro guidando la formulazione di un programma e di una strategia per la sua realizzazione. Per questo motivo non esiste un partito populista, a differenza di un partito socialista, comunista, liberale o fascista. 

• Sulla questione del leader, il M5s presenta delle similitudini ma anche delle differenze con i movimenti populisti che abbiamo conosciuto. Da una parte, la presenza di Beppe Grillo, leader carismatico e profeta, è incontestabile. Nessuno ha il minimo dubbio sul fatto che senza Grillo il Movimento non sarebbe mai nato e che senza la sua leadership probabilmente oggi non sopravvivrebbe. Dall’altra parte, è proprio l’utopia di una democrazia diretta resa oggi possibile grazie alla rete («con la rete la barriera tra cittadino e istituzioni può essere superata» [Casaleggio e Grillo 2011,) che rappresenta l’intuizione originale del M5s e ne fa qualcosa di nuovo rispetto a tutti gli altri movimenti populisti. 

• Leggiamo in una sorta di «libro-manifesto» del Movimento: «Il concetto di “leader” per la Rete è una bestemmia»; «Chi si definisce leader dovrebbe essere sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio».

• L’avversario politico non si limita a essere laicamente «avversario», ma diventa «nemico». Questa contrapposizione fra «noi e loro» non si limita all’ambito politico, ma investe il campo morale: nella retorica populista il popolo è virtuoso e i nemici sono malvagi, abbiamo l’«angelo» contro il «demonio». Di conseguenza la comunicazione populista sfonda nella dimensione immaginaria-affettiva e il leader assume i toni aggressivi del tribuno e/o quelli religiosi del profeta. Da qui la sua forza dirompente. 

• Il successo del populismo nasce spesso dal fatto che promette soluzioni rapide e semplici a problemi complessi. Tuttavia, se arriva al potere, si trova costretto a fare i conti con la realtà, e questo gli complica notevolmente il rapporto con la base popolare (la storia è piena di dure lezioni impartite ai movimenti populisti una volta che sono saliti al potere). Da questo punto di vista il M5s non appare diverso dai populismi classici, e le sue promesse oscillano fra l’utopia (il superamento del professionismo politico, la politica come servizio civile generoso e disinteressato) e l’irrealizzabilità pratica.

• Può il M5s essere definito «populista»? Se sì: analizzando la storia dei movimenti populisti, possiamo avanzare delle ipotesi sul suo destino? La risposta alla prima domanda  è evidentemente positiva: questo strano animale politico è riconducibile all’alveo del populismo non solo per il suo fondamentale appellarsi alla dicotomia popolo-élite e la sua ostilità radicale verso la politica rappresentativa, ma anche per una serie di caratteri aggiuntivi (ed essenziali) [...]. Presenta tuttavia l’assoluta novità – non solo in campo nazionale ma anche internazionale – di un rapporto particolare e di una valorizzazione politica nei confronti di quella che abbiamo sinteticamente definito la «rete». Si apre qui una finestra di opportunità nuova e sconosciuta. La rete potrebbe in effetti rappresentare uno strumento cruciale per il passaggio da una «democrazia rappresentativa» (nella quale la volontà del popolo viene espressa dai suoi rappresentati eletti), a una «democrazia deliberativa», nella quale decisioni di carattere politico-amministrativo vengono prese da assemblee alle quali possa partecipare – per l’appunto attraverso i canali informatici – ogni cittadino.  

• Ma il problema vero del futuro del M5s non è relativo al futuro immediato, ma al suo futuro più lontano. Possiamo dire che in genere i movimenti populisti non riescono a durare a lungo nel tempo. La loro ascesa è di solito rapida e le ragioni di questo veloce successo stanno nel fatto che appaiono rivoluzionari in tempo di crisi: nello sbandamento politico generale propongono un’apparente risposta alla crisi, e offrono un nemico. Ma la loro capacità propositiva è modesta, e la prova dei fatti di solito ne smaschera l’inconsistenza progettuale. Va aggiunto che, secondo Wiles [1969], «Il populismo, come tutti gli altri movimenti, viene corrotto ed imborghesito dal successo ... Vivere il movimento è più facile che governare [movement is easier than government]. Ma dal momento che è così ingenuo e privo di una stabile ideologia, questa degenerazione arriva con una velocità inusuale e tragica». 

(a cura di Daniele Assorati)