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 2013  novembre 07 Giovedì calendario

Rubato e messo in vendita per mezzo milione un murales di Banksy

la Repubblica, 19 febbraio 2013
Di quadri rubati ce ne sono stati tanti. Ma rubare un murales è più difficile, perché bisognerebbe portarsi via tutta la parete. Eppure è proprio quello che è successo alla periferia di Londra, dove un famoso disegno attribuito a Banksy, il graffitaro misterioso che non si firma e nemmeno ha mai reso noto il suo volto, è scomparso nei giorni scorsi dal muro in cui era stato dipinto nel giugno scorso e poi è riapparso a Miami, in Florida, nel catalogo di un’asta che lo mette in vendita a un prezzo stimato tra 500 mila e 700 mila dollari, circa mezzo milione di euro. I residenti di Wood Green, il quartiere della capitale britannica in cui il murales era apparso notte tempo, sono insorti protestando contro il “furto” di quella che consideravano alla stregua di un monumento pubblico. L’artista che ne è l’autore tace, in linea con la clandestinità e il silenzio che costellano tutta la sua carriera, ma difficilmente sarà compiaciuto: la sua politica è fare soltanto “street art”, opere destinate alla strada, dunque alla gente, quindi che non appartengono a nessuno, certo non da vendere all’asta al miglior offerente. A meno che la pubblicità, e una quotazione così alta, non gli facciano piacere pensando a prospettive future, quando potrebbe magari vendere tutti i “graffi” che ha fatto sui muri.
Il murales ritrae un bambino intento a cucire l’Union Jack, la bandiera britannica. Il bimbo è in bianco e nero, il vessillo a colori. E il messaggio è chiaro, tenuto conto che fu disegnato a giugno, nei giorni del Giubileo di Diamante della regina Elisabetta: era una denuncia della retorica nazionale, dell’aria di festa in tempi di crisi, presentando l’immagine di un minore che lavora in uno
sweat shop,
i negozi e le fabbriche dello schiavismo o perlomeno delle sfruttamento minorile, così diffuse in Asia ma esistenti anche in occidente a dispetto delle leggi. Anche la “tela” scelta per il quadro, ovvero la parete del murales, non era casuale: un muro di Poundland, negozio di una catena di prodotti a basso prezzo, un simbolo dell’Inghilterra in penuria, della povertà che si allarga. Non sorprendentemente alla gente di Wood Green è piaciuto e lo hanno adottato subito come un simbolo del quartiere, una zona popolare e di immigrazione.
Qualcuno aveva notato che alcuni giorni fa il muro in questione era coperto da impalcature, ma poteva essere un restauro o una riparazione cosicché nessuno ci ha fatto caso. Solo quando le impalcature sono sparite si è scoperto che è scomparso anche il graffito, portato via come una crosta d’autore, lasciando la parete grezza che c’era sotto. Alla Poundland avvertono che non sono stati loro: e che non sono loro, comunque, i proprietari dell’edificio. Alla Fine Arts Auction di Miami rifiutano di dire il nome del venditore, definendolo un “collezionista privato” e che tutto è avvenuto legalmente. E a Scotland Yard allargano le braccia: non si può indagare perché non ci sono notizie di reati. Nessuno ha rubato niente, tranne la facciata di un muro su cui la comunità non aveva diritti. Ma gli abitanti di Wood Green hanno formato un comitato e inviato una petizione alla casa d’aste americana, chiedendo che il murales venga restituito, se non al suo legittimo proprietario, che non esiste, e non al suo autore, che non lo ha nemmeno firmato, perlomeno al muro di Londra che lo ha ospitato per tutti questi mesi.
Enrico Franceschini