Fior da fiore, 30 ottobre 2013
Berlusconi sfida Letta sulla decadenza • Lo Stato inefficente ci costa due punti di Pil • Cinque milioni di italiani in miseria • La crisi fa crollare la fiducia nel mattone • Inaugurato nello Stretto del Bosforo il più profondo tunnel sottomarino del mondo • Il surfista che ha cavalcato un’onda di trenta metri
Berlusconi Silvio Berlusconi, in un’anticipazione del nuovo libro di Bruno Vespa (Sale, zucchero e caffè. L’Italia che ho vissuto da nonna Aida alla Terza repubblica, in uscita il 7 novembre prossimo), si rivolge direttamente al premier Enrico Letta affinché agisca per evitare una crisi di governo. Scriva una riga, è la sua esortazione, con cui chiarire che la legge Severino non si applica al passato: «Segnalo che il governo, se volesse, avrebbe un’autostrada per risolvere il problema: è tuttora aperta la legge delega sulla giustizia, e basterebbe approvare una norma interpretativa di una riga, che chiarisca la irretroattività, la non applicabilità al passato della legge Severino. Letta dica si o no. Basterebbe rispettare lo stato di diritto, l’art. 25 della nostra Costituzione e l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Ma da Palazzo Chigi arriva un no. Intanto sul tema della decadenza si registra un nuovo rallentamento: la Giunta si divide sulla data del voto.
Pubblica amministrazione Secondo la Commissione Ue - che ha presentato ieri il rapporto annuale sulla Competitività - la Pubblica amministrazione italiana fa acqua da ogni parte. Bruxelles disegna il profilo di un governo poco efficace, di imprese restie a sposare i nuovi media, del costo più alto d’Europa da pagare per le autorizzazioni necessarie a lanciare un’attività imprenditoriale: da noi occorrono in media 2100 euro; in Germania sono dieci volte meno. «Prestazione povera», è il giudizio complessivo, e le inefficienze ci costano due punti di Pil. Siamo venticinquesimi in Europa per l’efficacia dell’azione di governo, colpa della politica e dell’amministrazione, ma anche «della poco chiara ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni» che mina l’efficacia delle misure di semplificazione introdotte a livello nazionale. In più, solo il 23,9% dei servizi pubblici è fruibile online, il 54% in meno della media europea. Se non bastasse, le imprese nostrane sono 24esime su ventotto per interazione telematica con enti e istituzioni pubblici. Alla natura conservatrice si aggiunge il costo. Da noi una «start up» pesa in pratiche e autorizzazione oltre cinque volte la media europea che è di 397 euro. Una volta avviata l’azienda, dobbiamo lavorare 269 ore l’anno per pagare le tasse, risultato del 40% superiore al riferimento mediano dei Ventotto, ovvero 163 ore. Per far rispettare i contratti, in media occorrono 1210 giorni, è il secondo peggiore dato Ue, 121% più alto della media. E’ la giustizia civile lenta. E onerosa, visto si deve essere pronti a rinunciare al 29% delle somme dovuto per poi ottenerle. E’ il 40% in più di quanto avviene altrove. La ciliegina sulla torta è la corruzione. La Commissione rivela che quanto a virtuosità nel rinunciare pagamenti irregolari e tangenti siamo al 23° posto della classifica continentale e un quarto sotto la media. Il ventiduesimo scalino è invece quello che conquistiamo come dirottatori di fondi pubblici, dunque per il danaro preso dal tesoro comune che non finisce dove dovrebbe: dietro di noi Grecia, Bulgaria, Ungheria, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia, come dire neanche un Paese del G8. Ultima croce, il ritardo dei pagamenti. Siamo i peggiori, i conti sono saldati in media in 170 giorni. Nonostante il recepimento della direttiva Ue entrata in vigore il 16 marzo che impone i pagamenti entro 30 giorni, la macchina non si è smossa. [Zatterin, Sta]
Poveri Dal 2007 al 2012, gli anni della crisi, le persone che in Italia vivono in grande difficoltà sono raddoppiate, passando dai 2,4 ai 4,8 milioni. Poveri “assoluti” come li definisce la statistica: impossibilitati ad assicurarsi un livello minimo di consumi e servizi. Una condizione cui la crisi ha costretto l’8 per cento degli italiani. Nella gran parte delle famiglie che vivono così (quasi un caso su quattro, il 23,6 per cento), il reddito è unico, c’è una sola persona che cinque anni fa lavorava e che ora è in cerca d’occupazione. Molte sono quelle che hanno procreato tre o più figli ancor’oggi minorenni (il 17,1 per cento), quasi il 10 per cento è di matrice operaia, oppure composta da un nucleo con un solo genitore. Ma la crisi, documenta l’audizione al Senato tenuta ieri dall’Istat, ha fatto lievitare anche il numero degli italiani che vive in condizioni di povertà relativa: per campare campano, ma hanno una capacita di spesa inferiore alla media (calcolata, nel 2012, per una famiglia di due persone, a 990 euro). Qui il tetto sfonda quota 9 milioni e mezzo, il 15,8 per cento della popolazione, e colpisce soprattutto le famiglie più giovani, formate da precari e co.co.pro. Nei primi sei mesi di quest’anno il 17 per cento delle famiglie ha ammesso di aver ridotto la spesa alimentare e di avere, nello stesso tempo, diminuito la qualità (quasi il 5 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso). Il 18,3 per cento ha sacrificato l’acquisto di scarpe e vestiti. È vero che l’aumento della povertà e il crollo dei consumi hanno coinvolto anche gli altri paesi europei, ma l’Italia - Grecia a parte - è l’unico a non aver messo in atto politiche di sostegno al reddito. Il governo, poche settimane fa, aveva dato incarico ad una commissione ad hoc di elaborare un piano d’intervento. Il progetto elaborato prevedeva, per una copertura del 6 per cento delle famiglie, investimenti a regime per 7 miliardi. Non se n’è fatto nulla [Grion, Rep].
Mattone Dal 2006 ad oggi la quota di italiani che ritiene la casa un investimento ideale è crollata dal 70% al 29%. È quanto emerge dall’indagine «Gli italiani e il risparmio» di Acri-Ipsos resa nota ieri, in occasione della 89ma Giornata del risparmio, che evidenzia anche come tre quarti degli italiani sia convinto che per tornare ai livelli pre-crisi ci vorranno «almeno 3-4 anni». Aumenta il numero di coloro che preferiscono investire in risparmio postale, obbligazioni e titoli di Stato, raggiungendo un record storico del 34%; mentre continua a crescere, per contro, la quota di famiglie che pensa che sia sbagliato investire tout court: è ormai quasi un terzo degli italiani, il 32%. In generale, il 19% preferisce la liquidità, contro il 13% del 2012. Il rapporto, tuttavia, ha messo anche in evidenza un lieve miglioramento della capacità delle famiglie italiane di risparmiare (dal 28 al 29%); sono costanti (il 40%) infine quelle che consumano tutto quello che guadagnano. [Mastrobuoni, Sta]
Tunnel Inaugurato ieri da Erdogan, in Turchia, il più profondo tunnel sottomarino del mondo. A Istanbul, l’Europa si collega ora all’Asia anche con un metro ferroviario che attraversa lo Stretto del Bosforo fino a 62 metri sotto il livello dell’acqua. E’ il progetto Marmaray, nome che unisce il Mare di Marmara alla parola turca “ray” (binario), ribattezzato dai quotidiani di Instanbul come “La via della seta 2.0”, accostando l’aspetto tecnologico alle parole del governo che ha lanciato il progetto come il primo collegamento ferroviario tra la Cina e l’Europa occidentale. «Per ora, al prezzo di 70 centesimi di euro, i quasi 14 chilometri di tunnel uniscono una stazione sulla riva europea a un terminal su quella asiatica. Il traffico, in una metropoli la cui popolazione è stimata attorno ai 15 milioni di abitanti, è una piaga quotidiana, capace di fare sostare in strada per ore. Adesso il trasporto previsto di Marmaray raggiungerà i 1,5 milioni di passeggeri al giorno: una cifra in grado di abbattere drasticamente (del 20% almeno) la viabilità su strada. La colossale galleria, costruita da un consorzio turco- giapponese, può sopportare scosse fino al 9° grado della scala Richter (quella che colpì la Turchia nel 1999 fu di 7,8 gradi e uccise 18 mila persone), e oggi è ritenuta il luogo più sicuro della città. Una seconda corsia, destinata alle autovetture, sarà completata entro il 2015» [Ansaldo, Rep].
Onda Lunedì scorso a Nazare, una baia al centro della costa atlantica del Portogallo, il brasiliano Carlos Burle, 45 anni, ha surfato sulla più alta onda mai cavalcata da piedi umani, un gigante di almeno 30 metri, come un palazzo di 10 piani. Tonnellate d’acqua mosse da San Giuda, la colossale perturbazione che ha spazzato il Nord Europa.
(a cura di Roberta Mercuri)