La Gazzetta dello Sport, 9 ottobre 2013
A Stoccolma stanno assegnando i Nobel. L’altro giorno il premio per la Medicina è andato a tre ricercatori che lavorano negli Usa (due americani e un tedesco) e hanno scoperto in che modo le cellule trasferiscono all’interno del corpo le molecole di loro fabbricazione, tipo l’insulina
A Stoccolma stanno assegnando i Nobel. L’altro giorno il premio per la Medicina è andato a tre ricercatori che lavorano negli Usa (due americani e un tedesco) e hanno scoperto in che modo le cellule trasferiscono all’interno del corpo le molecole di loro fabbricazione, tipo l’insulina. Ieri è toccato alla Fisica: gli accademici svedesi hanno premiato Higgs ed Englert per il fatto di aver previsto, a forza di sole equazioni, l’esistenza del bosone. La prova che il bosone esiste sul serio è stata fornita dal Cern Ginevra, che ha messo a lavorare sul problema due squadre di scienziati piene di italiani. Era il 4 luglio dell’anno scorso: dentro il Large Hadron Collider (Lhc), un anello circolare lungo 27 chilometri e piazzato cento metri sotto terra, venne sparata una nuvola di miliardi di protoni con un’energia pari a 14 mila miliardi di elettronvolt (un elettronvolt è pari a 1 volt moltiplicato per la carica dell’elettrone). Quello scontro avrebbe dovuto produrre certe tracce, in base alle quali si sarebbe capito se il bosone esisteva davvero. E risultò che le tracce esistevano. Higgs era presente e si mise a piangere. I masters di quell’esperimento erano italiani: la professoressa Fabiola Gianotti, di 40 anni (fisico e laurata anche in pianoforte), il professor Sergio Bernardini, direttore del Cern, Carlo Rubbia, che col bosone aveva già vinto il Nobel nel 1984. Era quasi ovvio che a questo punto ai due scopritori rimasti in vita (il terzo, Robert Brout, è morto nel 2011) sarebbe stato dato il premio. Il bosone è anche chiamato «particella di Dio».
• Bisognerà ricordare di che si tratta.
Detto nel modo più elementare possibile, il bosone è quella particella che ha permesso alle altre particelle di aggregarsi e fare massa. Collochiamoci all’inizio, cioè non proprio all’inizio, ma a un decimo di miliardesimo di secondo dal primo istante, quello del cosiddetto Big Bang. Come mai in quella condizione di estrema densità e di estremo calore, le particelle non sono scappate in tutte le direzioni e invece si sono unite? Se non fossero corse una nelle braccia delle altre (mi lasci fare, e sia pure mediocremente, il poeta) non sarebbero alla fine nati i pianeti, le stelle, la vita, l’essere umano. Ecco perché il bosone viene detto «particella di Dio». La motivazione di Stoccolma dice che il Nobel è stato assegnato per «la scoperta teorica di un meccanismo che contribuisce alla nostra comprensione dell’origine della massa di particelle subatomiche».
• E i signori premiati hanno immaginato l’esistenza dei bosoni solo per mezzo di equazioni? Cioè sulla carta?
Pensi che Peter Higgs, inglese, 84 anni, è talmente poco tecnologico da non avere nemmeno il telefonino. Alan Walker, che collabora con lui all’università di Edimburgo, ha raccontato: «Gli è stato regalato un computer qualche anno fa ma l’apprendimento non è stato semplice. Ora lo usa suo nipote». Nella sua casa non c’è nemmeno il televisore. «Il professor Higgs adora la musica classica e ha un vecchio impianto a valvole. L’arte in generale lo appassiona. Per scrivere usa ancora carta e penna. Seguire tutti i dettagli della fisica odierna per lui è diventato difficile, anche se ha più volte visitato il Cern ed è rimasto impressionato». L’uomo è in effetti timidissimo. Tutto il mondo lo cerca, e lui è sparito. Ha spiegato Walker: «Il professor Higgs trascorrerà la giornata lontano da casa, in una località che non renderemo nota, e non rilascerà interviste». Lo hanno tuttavia convinto a tenere una conferenza stampa, probabilmente domani. Fino all’altro ieri Higgs aveva spiegato a tutti che del Nobel aveva paura.
• E l’altro Nobel?
Englert? Ha 81 anni, è belga, insegna a Bruxelles. Con Brout avevano ipotizzato il bosone prima di Higgs, arrivandoci per una strada tutta diversa. Però nello studio di Higgs c’era un paragrafo finale che rendeva la sua dimostrazione più completa. Eppure la prima rivista a cui Higgs mandò l’articolo in cui spiegava tutto respinse lo studio, con la motivazione che non era «di ovvia rilevanza per la fisica». Gli si consigliava di pubblicare su una rivista italiana non troppo accreditata, che si chiamava Il nuovo cimento . Higgs mandò lo scritto agli americani di Physycal Review Letters , i quali avevano appena pubblicato lo studio di Englert e Brout e accettarono il nuovo contributo».
• Stava parlando di Englert.
Non le faccio l’elenco dei riconoscimenti che hanno ricevuto tutti e due. I contributi maggiori di Englert riguardano la fisica statistica, la teoria quantistica dei campi, la cosmologia, a teoria delle stringhe e lo studio della supergravità. Lo scorso agosto Englert ha condiviso con Higgs anche il Premio Principe delle Asturie.
• E gli italiani?
Riuniti nell’edificio 40 del Cern di Ginevra, all’annuncio hanno stappato champagne. Non importa che il riconoscimento non sia andato anche a uno di loro. Fabiola Gianotti ha semplicemente commentato: «Ho la pelle d’oca».