27 settembre 2013
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Biografia di Bruno Conti
Nettuno (Roma) 13 marzo 1955. Ex calciatore. Allenatore. Dirigente delle giovanili della Roma dal 1992 (contratto fino al 2016). Da giocatore campione del mondo con l’Italia nell’82, campione d’Italia con la Roma nell’83, vicecampione d’Europa (con i giallorossi) nell’84. Quinto nella classifica del Pallone d’oro ’82, 19° nel 1983. In Nazionale, 47 presenze e 5 gol. «Piaceva e non piaceva quel suo modo di giocare come se usasse il piumino da cipria; più che tirare randellate carezzava il pallone, disegnava dribbling e passi doppi come fosse cresciuto sulla spiaggia di Copacabana».
• «Io sono sempre stato timido, davanti agli allenatori quasi quasi rimpicciolivo, cercavo di trattenere il fiato, di non dare fastidio, di non essere d’impaccio. Non sono mai stato capace di darmi delle arie e spesso in campo quelli più grandi e grossi mi menavano, mi sovrastavano, mi impaurivano. È stato Liedholm il primo a farmi il lavaggio del cervello, a farmi capire che il fisico conta sì ma fino ad un certo punto. Io ero innamorato del pallone, avrei dribblato pure i pali della porta. Liedholm mi ha corretto, mi ha rifatto nuovo, mi ha permesso di debuttare in A col Torino il 10 febbraio 1974».
• «Bruno giocava con il sette, ma lo trovavi spesso a sinistra, dove poteva usare un portentoso piede sinistro. Alla vigilia dei Mondiali un cronista gli chiese: chi sarà il migliore esterno? Io, rispose Bruno, chiamato in quell’occasione Marazico, metà Maradona e metà Zico. Il cannoniere in Spagna fu Paolo Rossi, che vinse anche il Pallone d’oro, ma il miglior calciatore del Mondiale, il più tecnico, il più fantasioso, a detta di tutti e in particolare di Pelé, fu Bruno Conti» (Roberto Renga).
• Figlio di Andrea, muratore: «Vivevo a Nettuno, non avevo un buon rapporto con la scuola, giocavo a calcio e baseball, cercavo di aiutare la mia famiglia. Mio padre si alzava alle 4 del mattino e tornava a casa alle 7. Eravamo sette figli e non ci è mai mancato nulla, ma non vivevamo certamente nel lusso. Io e miei due fratelli dormivamo nello stesso letto e per coprirci usavamo anche i cappotti. Nel calcio ero un talento naturale, ma ci sapevo fare anche nel baseball. Ero un ottimo lanciatore. Un giorno bussarono alla porta di casa i dirigenti del Santa Monica: volevano portarmi negli Stati Uniti. Mio padre si oppose: ero troppo piccolo. A 18 anni, dopo una serie di provini in cui Bologna, Roma, Lazio e altre squadre mi avevano bocciato per il fisico esile, mi chiamò proprio la Roma» (da un’intervista di Stefano Boldrini).
• Soprannominato il gnappetta per il suo metro e sessantanove d’altezza, il Glorioso come il lanciatore mancino di baseball, quello che aveva da essere il suo modello, Giulio Glorioso.
• Nel 1991 lascia il campo per sedersi sulla panchina delle giovanili della Roma: «Per allenare i talenti del futuro». Alla fine della stagione 2004-2005, molto difficile per la Roma, allenò la squadra, salvandola dalla B, portandola alla finale di coppa Italia e consegnandola a Luciano Spalletti.
• Sposato con Laura («L’ho conosciuta quando da bambino lavoravo nel negozio di casalinghi di mia zia), due figli: Daniele (Nettuno 9 gennaio 1979) esordì in serie A con la Roma il 24 novembre 1996, ora capitano del Cagliari (vedi). «Del padre possiede la grinta, il naso pronunciato da antico romano e il caschetto in testa, ma soprattutto il cuore generoso, doti che ne fanno un uomo vero, prima che un ottimo centrocampista» (Massimiliano Castellani) [Avv 12/11/2013]. Andrea (Roma 23 agosto 1977) ha girovagato in provincia (Carpi, Fano, Nocerina, Castel di Sangro, Brescello, Lanciano, Ancona), da ultimo in Svizzera col Malcantone. È nonno di Bruno e Manuel (figli di Daniele).
• Il 20 settembre 2012 è stato tra i primi 11 giocatori ad essere inseriti nella hall of fame ufficiale della Roma.
• Nel 2013, a proposito della Roma di Garcia ha detto: «Sono tornato a emozionarmi dopo questa partenza. Ho visto come Rudi Garcia opera e intende il calcio. Sta facendo un lavoro importante, legando i campioni che ci sono con i nuovi arrivati e con i giovani».
• Fumatore. Ricorda Carlo Ancellotti: «Lui se l’accendeva e aspirava profondamente e lanciava il fumo contro il soffitto. Io no, io avevo paura del Barone Liedholm».