19 settembre 2013
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Biografia di Angelo Izzo
• Roma 28 agosto 1955. Pluriomicida. Estremista di destra. Condannato a due ergastoli con sentenza passata in giudicato.
• Uno dei tre fascisti che la notte del 30 settembre 1975 violentarono e massacrarono in una villa sul Circeo Rosaria Lopez (17 anni, morì) e Donatella Colasanti (20, si salvò fingendosi morta: è deceduta per malattia il 30 dicembre 2005). Protagonista di fughe, evasioni e ritorni in carcere, in semilibertà dal dicembre 2004, il 28 aprile 2005 a Ferrazzano (Campobasso) torturò, stuprò e uccise Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano (47 e 14 anni), compagna e figlia del boss della Sacra Corona unita Giovanni Maiorano, conosciuto in carcere. «Non mi dispiacerebbe morire con il sole in faccia, la parete bianca dietro le spalle e io che come Jules Bonnot, anarchico dei primi del Novecento, dico al plotone di esecuzione: “branco di porci”».
• «Tra la fine di settembre del 1975 e il luglio 2001, aveva confessato ad un’inviata del Venerdì di Repubblica, di aver “smesso di amare la violenza grazie all’amore per gli altri”; che in carcere aveva avuto “il tempo di leggere, studiare, riflettere, guardarmi dentro”. Era cambiato, insomma. Anche fisicamente non era più il pariolino snello e ricciuto, ma un uomo di cinquant’anni, grasso e calvo. Però gli occhi erano sempre gli stessi: quelli di un pluriomicida, pluristupratore, plurirapinatore cresciuto, parole sue, “in una mentalità guerriera e fascista”, in una continua regressione che permettesse a lui, e a quelli del suo gruppo, di “ritrovare l’istinto sanguinario”. L’istinto di seviziare per 36 ore, con altri due camerati, Gianni Guido (vedi) e Andrea Ghira (oggi deceduto - ndr), Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Per poi, alla fine del “festino”, affogarne una nella vasca da bagno e cercare di finire l’altra a bastonate. I due corpi vennero messi in altrettanti sacchi di plastica e caricati sulla 127 di Guido che la parcheggiò sotto casa per andare a cena: avrebbero finito il lavoro a stomaco pieno. Furono i gemiti di Donatella Colasanti, fintasi morta, ad attirare un metronotte. Per lo scempio e il delitto atroce, Izzo e Ghira latitanti furono condannati all’ergastolo, Gianni Guido a 30 anni» (Massimo Dell’Omo).
• «Sul delitto della villetta di Ferrazzano vi dico questo. Che avevo una storia con Maria Carmela, la mamma, e che “disponevo” di Valentina, la figlia. C’era una relazione complessa, sentimenti, sesso e soldi. Tutto col beneplacito di Giovanni Maiorano, marito di Maria Carmela, papà di Valentina. Giovanni me le affidò, siamo stati assieme in carcere a Palermo in tutto il 2004 e uno degli ultimi giorni lui mi ha detto: io da qui non esco più, tu stai per tornare a Campobasso, in semilibertà, là vicino abitano le mie due donne. Abbine cura, mi disse, e aggiunse: puoi disporre di mia moglie come vuoi. E aggiunse: gestite assieme i soldi che ho messo da parte, sommateli ai soldi che hai tu. Vi dico ancora che per un po’ sono stato contento, mi sentivo l’uomo di casa, facevamo la spesa, pranzavamo e facevamo progetti di vita futura, aprire un ristorante, un supermercato. Avevo rapporti sessuali con la madre e un affetto morboso verso Valentina. Ma col passare dei mesi lei, Maria Carmela, diventava sempre più opprimente. Prima mi sono sentito fortificato da questo nuovo ruolo di capofamiglia, poi ho cominciato a innervosirmi, a irritarmi, ho cominciato a pensare: me ne devo liberare, non so come. Sentivo qualcosa di mostruoso che tornava verso la luce. Quel giorno le ho portate alla villetta per fare un picnic e le ho uccise, prima Maria Carmela e poi Valentina. Credevo che quella parte della mia personalità fosse morta per sempre e invece ho anche pensato, a un certo punto, di mettere i corpi nel bagagliaio dell’auto, come la notte del Circeo» (dalla sua confessione).
• «Sorrideva il giovane Izzo appena arrestato per la strage del Circeo, sorrideva al suo arrivo in Italia dopo l’estradizione dalla Francia nel ’93, sorrideva strafottente e ghignava giovedì scorso, quando è stato portato in aula, seduto nella gabbia degli imputati, imperturbabile dinanzi agli insulti e alle urla dei parenti delle vittime e della folla. “Al momento non è completamente lucido, ha detto uno dei suoi avvocati. Se avesse carta e penna, potrebbe essere di migliore aiuto, potrebbe aiutarlo a cristallizzare meglio i ricordi”. Questo è il vero segreto di Angelo Izzo, e non la follia: nel corso dei quasi trent’anni trascorsi in carcere, Izzo ha fatto molto uso di carta e penna per fare “rivelazioni” a getto continuo su tutti i “misteri d’Italia e sui processi che ne sono conseguiti, dalla strage di piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, dal terrorismo ai delitti di mafia, Izzo sapeva tutto di tutti, cristallizzava i suoi ricordi e scriveva ai magistrati, che correvano ad ascoltarlo, verbalizzavano le sue verità, e ci costruivano sopra le indagini, i mandati di cattura, i rinvii a giudizio, le requisitorie e le sentenze. I pubblici ministeri erano affascinati dai “ricordi” di Izzo. Lo racconta ancora oggi Libero Mancuso, il pm di Bologna che ha gestito il processo per la strage alla stazione e ha certificato il “pentimento” di Izzo: “Izzo era un uomo sempre doppio, ma io gli credevo. Mi riferisco all’ansia che si avvertiva in lui quando rispondeva alle domande di noi magistrati. Si intuiva la volontà di soddisfare chi lo interrogava, al di là di quello che lui sapeva. Era come se prevedesse quello che l’inquirente voleva sentirsi dire e si adeguasse a questa previsione per fare contento il magistrato...”» (Lino Iannuzzi).
• Il 14 marzo 2008 Pietro Cavarretta e Gabriella Gagliardi, i giudici del Tribunale di sorveglianza di Palermo che gli concessero il regime di semilibertà, sono stati condannati dalla sezione disciplinare del Csm alla sanzione dell’ammonimento. Il 15 dicembre 2009 la Corte europea dei diritti dell’uomo dichiarò lo Stato italiano «responsabile in relazione al duplice omicidio commesso da un pericoloso criminale in regime di semilibertà» e gli impose di versare ai sette familiari della Maiorano che avevano presentato il ricorso 45mila euro a titolo di risarcimento dei danni morali.
• Il 10 marzo 2010 ha sposato nel carcere di Velletri la giornalista romana Donatella Papi. Il matrimonio è durato poco più di un anno. La donna, che subito dopo le nozze aveva annunciato raggiante di aver coronato il suo sogno d’amore, il 12 aprile 2011 ha chiesto la separazione, affermando: «Angelo non è colpevole dei reati che gli sono attribuiti ma di altri fatti gravissimi per la nostra Repubblica e deve ora chiarire con la giustizia quello che ha detto a me”».
• Il 13 luglio 2012 Armando D’Aleterio, procuratore di Campobasso, ha chiesto per Izzo un ulteriore aggravio di 3 anni di isolamento diurno per effetto del cumulo dei due ergastoli, richiesta confermata dal Tribunale nel febbraio del 2013.