Fior da fiore, 1 settembre 2013
In Vaticano al posto di Bertone arriva il diplomatico Parolin • Breve ritratto di Parolin • L’intervento in Siria scivola dopo il 9 settembre • Nuovi tagli alla spesa dello Stato • Chiude il museo di lady Diana
Parolin 1 Il passaggio di consegne, ufficialmente, ci sarà il 15 ottobre ma da ieri il Vaticano volta pagina: Francesco ha nominato nuovo Segretario di Stato l’arcivescovo Pietro Parolin, 58 anni, dal 2009 nunzio e quindi ambasciatore in Venezuela, accogliendo «la rinuncia» all’incarico del cardinale Tarcisio Bertone, quasi 79 anni, che lascia dopo sette anni al vertice della Terza Loggia. Se la nomina di Parolin era attesa, la sorpresa riguarda piuttosto la conferma formale degli altri uomini ai vertici della Segreteria di Stato. Nella piramide di comando, cambia il numero uno ma restano i due vice e i rispettivi numeri tre. Il Papa ha rinnovato la fiducia al Sostituto per gli Affari Generali, l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu e al Segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti; così come restano monsignor Peter Wells, Assessore per gli Affari Generali, e monsignor Antoine Camilleri, Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Con loro, è stato confermato anche l’arcivescovo Georg Gänswein, storico segretario particolare di Ratzinger che Benedetto XVI aveva voluto come prefetto della Casa pontificia, la «casa del Papa» che organizza le udienze a Capi di Stato e di governo, ambasciatori e autorità e sovrintende a tutte le cerimonie.
Parolin 2 Monsignor Parolin, nato a Schiavon, in provincia di Vicenza, il 17 gennaio 1955, a 58 anni è il più giovane Segretario di Stato dal dopoguerra. Rimasto orfano di padre a dieci anni e cresciuto con la sorella e il fratello dalla mamma Ada, maestra elementare, dalla quale ogni estate passa tuttora le ferie, entra in seminario quattordicenne. Dopo la maturità classica, e gli studi in filosofia e teologia, passa due anni da viceparroco a Schio e prima di andare a Roma a studiare Diritto canonico alla Gregoriana. Nell’83, a 28 anni, entra pure nella pontificia Accademia ecclesiastica. Nell’86 comincia il suo servizio diplomatico, in Nigeria fino all’89, in Messico fino al ’92, prima di tornare a Roma ed entrare in Segreteria di Stato. Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, si è occupato di innumerevoli dossier. Soprattutto è esperto di Medio Oriente (nel dicembre 2008 arrivò tra l’altro a guidare la delegazione che partecipa ai lavori della commissione bilaterale tra Santa Sede ed Israele) e del continente asiatico in generale, dal Vietnam alla Cina. Quando Ratzinger lo ha ordinato vescovo, nel 2009, ha scelto come motto le parole della lettera di San Paolo ai Romani: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?». (Gian Guido Vecchi, Cds)
Siria Tutti si aspettavano l’ok per l’attacco alla Siria, invece Barack Obama ha preso tempo. Pur non disarmando l’apparato militare messo in campo, il presidente ha deciso di consultare il Congresso: agirà solo se ci sarà un consenso. E tutto questo non potrà avvenire prima del 9 settembre, perché i parlamentari sono in vacanza e non è previsto che la interrompano. Se si aggiunge poi che il 17 c’è l’assemblea generale dell’Onu è possibile che l’eventuale raid non sia troppo vicino. In mezzo c’è il summit del G20, in programma tra qualche giorno in Russia, dove il presidente intende portare la questione per strappare un sostegno. Obama, parlando dal Giardino delle rose alla Casa Bianca, ha detto: «Ho deciso la risposta (sulla Siria). L’ordine può arrivare domani, tra una settimana, entro un mese». Ma prima di darlo, vuole che il Congresso discuta e si esprima con un voto autorizzando o meno un’operazione militare che la maggioranza del Paese non vuole. Lo ha riconosciuto lo stesso presidente dicendo che gli americani «non amano la guerra» ma «non si può chiudere gli occhi su quanto è avvenuto a Damasco». Il rallentamento di Obama deve aver «lasciato sconcertati gli avversari. La tv siriana - fatto raro - ha mandato in diretta il discorso dopo una giornata di proclami alla lotta, marce militari e immagini di soldati. “Abbiamo il dito sul grilletto. L’esercito è pronto a qualsiasi sfida”, ha affermato il premier Wael al Halqi. Nelle strade di Damasco controlli e vita normale con i negozi affollati. Nella capitale è anche arrivata una delegazione di alto livello iraniana preceduta dai moniti bellicosi di Teheran sulla “conseguenze catastrofiche” e le possibilità di ritorsione contro l’asse Usa-Israele. Ora i propagandisti con il turbante potranno prendersi una pausa. Obama lo ha già fatto. Nel primo pomeriggio ha lasciato la Casa Bianca ed è andato a giocare a golf con il vice Biden». (Guido Olimpio, Cds) [Sull’argomento leggi anche il Fatto del giorno]
Tagli Il Governo, che dopo aver cancellato l’Imu sulla prima casa si trova stretto fra la necessità di trovare subito 3 miliardi di euro e la promessa (quasi rispettata) di non mettere altre tasse, ha trovato quasi un miliardo di euro usando le forbici sulle uscite dello Stato. Tagli lineari per 300 milioni saranno distribuiti fra tutti i ministeri, con l’eccezione della scuola. Più del doppio dei soldi però, quasi 700 milioni, arriveranno da tagli selettivi, riduzione delle spese autorizzate su una serie di voci specifiche, spesso vecchi programmi rimasti indietro e con stanziamenti ancora disponibili. Ad esempio ci sono gli interventi sulla rete ferroviaria, 300 milioni di euro. Ma anche le assunzioni previste anni fa per poliziotti e vigili del fuoco, in deroga al blocco del turn over, o quelle straordinarie per la guardia di finanza destinate ad alzare il tiro contro l’evasione fiscale. O ancora la cura in Italia dei libici feriti dalle mine, un piano previsto dal Trattato di amicizia con Gheddafi, fino alle indennità di servizio per i diplomatici e ad una vecchia campagna per la promozione del made in Italy (Enrico Marro, Lorenzo Salvia, Cds).
Museo Chiude il museo dedicato a Lady D nella tenuta della famiglia Spencer. Dal 31 agosto 1997, quando la principessa morì in un incidente a Parigi, sono passati 16 anni: eppure venerdì scorso, nell’ultimo giorno di apertura, la fila per vedere gli abiti, i giocattoli, le scarpette da ballo o le foto di infanzia di Diana era lunga e ordinata. Il mausoleo non smobilita quindi per mancanza di visitatori ma perché tutti gli oggetti torneranno ai figli William e Harry, come espressamente previsto dal testamento. «Ma, secondo la stampa, è anche possibile che siano stati proprio i due principini a reclamare il ritorno a casa degli oggetti per porre fine a quella che alcuni hanno definito “la Disneyland del dolore”. Il prossimo mese, per esempio, la mostra itinerante A Celebration arriverà a Putnam Museum di Davenport nell’Iowa, una cittadina di 100mila abitanti che per l’occasione ha previsto una serie di eventi dal titolo: “Una storia reale”, “Un brindisi a Diana” e così via. Un affare commerciale piuttosto redditizio se si pensa che l’esposizione ha fruttato negli anni quasi 30 milioni di euro, di cui soltanto una piccola percentuale è finita alle associazioni di carità volute da Diana. Una speculazione economica sull’immagine della principessa che a Harry e William, dicono i bene informati, non è mai piaciuta» (Monica Ricci Sargentini, Cds).
(a cura di Roberta Mercuri)