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 2013  agosto 29 Giovedì calendario

Biografia di Stefano Ricucci

• Roma 11 ottobre 1962. Finanziere. Immobiliarista. Ex marito di Anna Falchi. Protagonista nell’estate 2005 del tentativo di scalata alla Rcs, la casa editrice del Corriere della Sera. In quell’occasione, leggendo sui giornali i resoconti delle intercettazioni telefoniche che lo riguardavano, gli italiani appresero due sue espressioni romanesche, entrate subito nel linguaggio comune: «Ma che stamo a ’fà, i furbetti der quartierino?» (di cui nessuno ha saputo ricostruire l’origine storica) e «Ma che volete fa’, i froci cor culo dell’artri?» detta a una riunione di giuristi e banchieri.
• Figlio di Matteo, autista di pullman e militante democristiano, e di Gina, casalinga. Infanzia e giovinezza a Zagarolo (fino a che non è entrato nel Consiglio d’amministrazione della Lazio, carica accettata nonostante la sua fede romanista, è stato dirigente e sponsor della locale squadra di calcio), studi all’Istituto odontotecnico Eastman di Roma (la sorella Susanna invece era stata iscritta al classico), al termine dei quali viene impiegato dallo studio dentistico Parrone, sedi a Zagarolo e a Roma. I titolari dello studio sono il dottor Giovanni Parrone, medico, e suo fratello Giuseppe, odontotecnico e compagno di scuola di Ricucci. Hanno un altro studio a Ragusa: «Tra Zagarolo e l’isola è un viavai di clienti su macchinone importanti e pure Ricucci, qualche volta, attraversa lo Stretto per dare una mano» (Giacomo Amadori).
• Nell’83 si mette in proprio con uno studio a Carchitti (frazione di Palestrina, sempre in provincia di Roma) e un altro nel centro commerciale di San Cesareo. Fa interventi anche da dentista, cosa non consentita, e viene denunciato due volte per truffa ed esercizio abusivo della professione.
• Si dimostra molto attaccato al denaro, pretende il pagamento sull’unghia dallo zio Genesio Ferracci e non esita a ipotecare il terreno del fabbro del paese (Ponzo Antonio) e poi a mandarlo all’asta quando questi non lo salda. Amadori racconta che lo chiamavano Acciacca, perché camminava sempre svagato, cioè con la testa tra le nuvole e pensando a chissà che, col rischio quindi, passeggiando, di acciaccare chi sa che.
• Carriera iniziale da immobiliarista, cominciata, secondo quanto ha raccontato lui stesso, con la costruzione di un piccolo centro commerciale nel comune di San Cesareo, su un terreno della madre e con un prestito del padre. Erano i primi anni Ottanta: rivenduto, il centro commerciale fruttò un utile di 186 milioni. «Ricucci deposita i soldi in banca e chiede nuovi affidamenti. Così dopo San Cesareo “con 1 miliardo ho comprato un’altra area, ceduta dopo sei mesi a 1,7 miliardi”. Racconta Ricucci che grazie a questo meccanismo fa crescere il suo gruppo che controlla con la lussemburghese Magiste: vende sulla carta, deposita in banca, chiede fidi, compra di nuovo e così via. E, fido dopo fido, si lega alle banche che lo finanziano, alle quali inizia a vendere sportelli bancari: “Facevo circa 50-60 sportelli l’anno e scontavo gli affitti per avere altri affidamenti”».
• Il nome Magiste viene formato dall’unione di MAtteo+GIna+STEfano.
• Comincia a far finanza (fondi comuni) a 25 anni, gli affidamenti che gli derivano dall’attività immobiliare gli permettono di giocare partite di una certa consistenza e «nel 90 mi trasferisco a Roma dove con la prima operazione guadagno 20 miliardi sui quali mi sono fatto dare altri affidamenti». Mario Gerevini ha dimostrato – citando anche i numeri dei conti correnti – che le date degli affidamenti bancari sui quali Ricucci ha costruito la sua fortuna negli anni Novanta coincidono con quelle degli spostamenti del banchiere Massimo Bianconi, più tardi top manager di Unicredito e SanPaolo Imi e infine direttore di Banca delle Marche. Ricucci s’arricchisce puntando sui titoli giusti: Olivetti (+508%) e Tecnost (+746%). Siamo nel 1998-99 e queste impennate di Borsa coincidono con le manovre che preparano l’assalto a Telecom dei capitani coraggiosi. Ricucci – che a suo dire non conosce ancora Gnutti – è però ormai un immobiliarista e un finanziere di peso. Anche i torinesi di Banca Immobiliare lo accolgono volentieri tra i suoi clienti, accettando 70 milioni da investire. Nel 2001 possiede un patrimonio che vale mezzo miliardo di euro. Vende immobili per 100 milioni a Generali Immobiliari e per 240 alla Iil di Gnutti. Gnutti, conosciuto in quell’occasione («un fenomeno») gli apre le porte di Hopa, la finanziaria protagonista, nel 1999, della scalata a Telecom. Magiste ne acquista il 3%. Ricucci siede in Consiglio d’amministrazione. È il 21 aprile del 2001. Ricucci compra anche il 7,7% di Iil, poi girata a Fiorani e fusa in un aggregato che andò in Borsa col marchio di Bipielle Investimenti. Fiorani è l’uomo del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Ricucci, appena notato dalle cronache perché fotografato da Panorama in spiaggia con Anna Falchi, è entrato a quel punto nel grande giro.
• Cominciò a rastrellare azioni Rcs nel 2003. Alla fine di quell’anno ne aveva più del 2 per cento. Informò la Consob e nessuno lo prese sul serio. Ma a metà maggio 2005 era arrivato al 13,5 per cento, investendo qualcosa come 700 milioni (denari provenienti da affidamenti, dalla vendita a Consorte del pacchetto Bnl e da denari prestati soprattutto dalla Bpi di Fiorani che accettava in garanzia le stesse azioni Rcs) e spingendo il valore del titolo dai suoi normali 4 euro o 4 euro e mezzo a più di 6 euro. Nonostante il grande allarme del cosiddetto salotto buono (i 15 azionisti Rcs riuniti nel patto di sindacato, uno dei quali almeno, però, si teneva pronto, nel caso Ricucci ce l’avesse fatta, a tradire i suoi soci), lo sciopero del Corriere della Sera («per far intervenire qualcuno a fermarlo» fu la giustificazione di quella strana protesta), la ridda di voci secondo le quali dietro Ricucci c’era Berlusconi (che aveva due miliardi in cassa per via della vendita all’estero del 17 per cento di Mediaset) oppure Caltagirone (che però si sfilò subito vendendo a Consorte la sua quota Bnl) oppure De Benedetti oppure Berlusconi e De Benedetti insieme oppure D’Alema o anche i francesi di Hachette oppure il genero dell’ex premier spagnolo Aznar, Alejandro Agag Longo, oppure Livolsi per conto di chi sa chi, Ricucci continuò a comprare ed era al 15,1 al 30 maggio (quota che ne faceva il primo azionista del Corriere), sopra il 18 al 13 giugno, al 20,1 il 4 luglio. Intanto un rastrellamento parallelo di azioni Mediobanca da parte di Ricucci e degli altri immobiliaristi Zunino, Statuto e Coppola e soprattutto la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche dell’indagato Fiorani (patron della ex Banca Popolare di Lodi ora divenuta Banca Popolare Italiana) mostravano che Ricucci agiva probabilmente in collegamento con lo stesso Fiorani, che in quel momento stava tentando di impossessarsi della Banca Antonveneta, e di Consorte, che era pronto a lanciare un’Opa su Bnl per conto di Unipol. Alle spalle dei tre, il governatore Antonio Fazio. Ma, ai primi di agosto 2005, la gip Clementina Forleo sequestrò tutte le azioni Antonveneta acquistate da Fiorani, Ricucci e dagli altri; Fiorani e Ricucci furono interdetti; l’intervento dei magistrati fece intanto scendere il valore delle azioni Rcs e questo diminuì anche la garanzia che Ricucci aveva offerto alle banche. Cominciò la vendita dei titoli, però lentamente e in parte (secondo quello che hanno sostenuto i magistrati) anche per finta, cioè attraverso società fittizie che si trovavano all’estero ed erano controllate dallo stesso Ricucci. Infine i magistrati, dopo aver congelato un pacchetto del 14,6% di azioni Rcs che si trovava in deposito alla Banca Popolare Italiana, accusarono Ricucci di aggiotaggio, bancarotta fraudolenta, false fatturazioni, rivelazione di segreto contabile, e il 18 aprile 2006 lo arrestarono, azione che lo stesso Corriere della Sera criticò e giudicò eccessiva. Del 14,6 per cento di azioni Rcs, che Ricucci aveva in carico a 5,3 euro, la metà venne poi acquistata, nel giugno 2006, dai Benetton e l’altra metà dall’immobiliarista Toti per una somma di poco superiore ai 4 euro per azione (Toti s’era fatto finanziare l’acquisto da Capitalia, a sua volta socio di Rcs). Fu scarcerato il successivo 13 luglio. La Magiste venne dichiarata fallita il 19 gennaio 2007.
• Nel giugno 2007 risultò indagato, insieme ad altri, anche nell’inchiesta condotta dalla Procura di Roma sulla scalata di Unipol a Bnl. Ospite in tv di Matrix, a Enrico Mentana che gli chiedeva a quanto ammontasse il suo patrimonio immobiliare rispose: «Abbastanza, 670, 680 milioni di euro». Una cifra stratosferica, replicò il conduttore. «Questa è, che devo di’».
• Ha patteggiato su Antonveneta (un anno di carcere e la confisca di circa 29 milioni di euro di plusvalenze): «Una maniera per continuare a fare il proprio lavoro». Ha detto di non voler patteggiare per la Rcs («non patteggio quando non mi sento colpevole»). Ha versato all’erario 25,6 milioni di euro per gli anni compresi tra il 2001 e il 2005 (la sede lussemburghese della Magiste era fittizia). Nell’estate 2008, per versare denaro alla Magiste Real Estate in vista di un accordo con il fisco, il Tribunale fallimentare ha messo all’asta uno dei suoi gioielli immobiliari, Villa Corelli a Roma, con affaccio su Villa Borghese: da ristrutturare, base d’asta 40 milioni di euro. Il 31 ottobre 2011 il tribunale di Milano ha confermato la condanna in primo grado a tre anni e sei mesi più 900.000 euro di multa per la scalata Bnl-Unipol. A dicembre 2013 la Corte d’appello di Milano lo ha assolto perché «il fatto non sussiste» (nel dicembre 2012 la Cassazione annullava una precedente assoluzione in Appello per aggiotaggio e chiedeva un nuovo giudizio).
• «Stefano Ricucci adesso è Mister Ricucci: ha spostato i suoi affari a Londra (“altra mentalità, si lavora meglio”), ramo real estate nel senso che, quando il tombeur de femme riposa, compra e vende case da nababbi, senza più abitarle. (…) C’erano una volta i “furbetti del quartierino” (copyright Ricucci). Immobiliaristi, finanzieri, raider. Ma anche manager e banchieri. Protagonisti della calda estate del 2005, durante la quale, prima che la magistratura iniziasse a curiosare, pareva che la finanza italiana fosse roba loro: i lupetti di piazza Affari con il pallino del mattone e delle scalate. Rieccoli, nove anni dopo. Il tempo si è abbattuto sulle ambizioni, i processi anche. Ma se si guarda a come se la passano oggi gli ex furbetti, quel tempo pare magnanimo. “Ormai in Italia ci sto poco, solo lo stretto necessario”, confida Ricucci agli amici tra un tweet e l’altro dal Regno Unito. In liquidazione la sua società Magiste, l’uomo che tentò la scalata a Rcs è tornato al primo amore: il mattone. Quello che agli albori degli anni ’80, quando tirò su un supermercato a San Cesareo, gli fruttò il suo primo gruzzolo (186 milioni di lire). Ricucci oggi, dopo le traversie giudiziarie, opera soprattutto nel real estate di lusso, tra Londra e Montecarlo. Del resto alle case da sogno non ha mai resistito: da Villa Corelli a Roma, a villa Feltrinelli alla Cacciarella (Argentario, dove si sposò con Anna Falchi). Entrambe messe all’asta dal tribunale fallimentare. “In Italia ti uccidono con l’invidia”, è il mantra del Ricucci inglese, sempre inseguito dagli esperti di gossip nostrano. “Dei riflettori non mi è mai importato”. Altri tempi quando si faceva immortalare, proprio alla Cacciarella, alle prese con un plastico lancio di galline tra due Mercedes nere (vedere Twitter)» (Paolo Berizzi) [Rep 22/4/2014].
• Prime nozze all’inizio degli anni Novanta con Linda Maria Imperatori (cugina di Gianfranco Imperatori). Da questo matrimonio ha avuto il figlio Edoardo (1993). Separazione e divorzio senza drammi. Il 9 luglio 2005 sposò Anna Falchi. La separazione nel 2007, il divorzio nel 2011. Dopo una sfilza di brevi relazioni con soubrette e showgirl (Sara Varone, Claudia Galanti, Debora Salvalaggio, Florina Marincea ecc.). Adesso sta con Natasha Tozzi, figlia più piccola del cantante Umberto.
• Tifoso della Roma, fu nel cda della Lazio.
• Colleziona orologi: «L’uomo non compra gioielli. Compra orologi».