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 2013  agosto 28 Mercoledì calendario

La rovinosa caduta di Mike Tyson (23/08/2013)


Myke Tyson, 47 anni, ex pugile, ex galeotto, attore a tempo perso, ha fatto sapere che sta per morire: «Sono un alcolista. Negli ultimi sei giorni non ho bevuto o preso droghe e per me questo è un miracolo. Sono un cattivo ragazzo, a volte. Ho fatto un sacco di cose cattive e voglio essere perdonato». La confessione è arrivata in diretta televisiva al programma Friday Night Fights sulla Espn. [tutti i giornali del 26/8]

Nato il 30 giugno 1966, in un appartamento di Bedford-Stuyvesat, brutta zona di Brooklyn, terzo di tre figli. La madre Lorna viveva sola perché il padre dei bambini, Jimmy Kirckpatrick, se n’era andato. [Silvia Kramar, Mike Tyson. Una storia americana, Tullio Pironti editore, 1990]

«La prima volta che ho fatto a pugni avrò avuto dieci anni, è stato il giorno più terrificante della mia vita. Tutto è nato perché un ragazzo aveva staccato la testa a un mio piccione. È la prima cosa che ho amato nella vita: i piccioni». [Aldo Grasso, Corriere della Sera 12/3/2011]

All’età di 13 anni lo avevano già arrestato 38 volte. «Tornavo a casa con vestiti nuovi, e mia madre sapeva che non avevo i soldi per comprarli». [Paolo Mastrolilli, La Stampa 26/8]

Esordio nella boxe professionitsa il 6 marzo 1985. Spedì al tappeto l’avversario, Hector Mercedes, in 107 secondi. [Carlo Santi, Il Messaggero 26/8]

Campione mondiale dei massimi dal 22 novembre 1986 (ko tecnico alla seconda ripresa contro Trevor Berbick, a Las Vegas) al 10 febbraio 1990 (sconfitto per ko alla decima ripresa da Buster Douglas, a Tokyo), di nuovo dal 16 marzo 1996 (vittoria per kot alla terza ripresa contro Frank Bruno, a Las Vegas) fino al 9 novembre dello stesso anno (sconfitto da Evander Holyfield per kot all’undicesima ripresa, a Las Vegas). Squalificato nella rivincita contro Holyfield il 28 giugno 1997 (a Las Vegas, durante la quarta riprese con un morso gli staccò un pezzo d’orecchio), si batté di nuovo per il titolo l’8 giugno 2002, a Memphis, sconfitto da Lennox Lewis per Ko all’ottava ripresa.

«Tyson si libera dai disperati tentativi di clinch di Berbick, lancia un montante destro al fianco, va a vuoto con un poderoso montante sinistro al mento, raccoglie un istante la guardia e parte con un gancio sinistro che le ormai vecchie registrazioni fanno fatica a seguire. Berbick va al tappeto come uno straccio bagnato. Mentre l’arbitro, il grande Mills Lane, lo insegue in giro per il ring contandolo, Berbick prova tre volte a rialzarsi, ma le gambe non lo reggono e crolla di nuovo a terra» (il 22 novembre 1986, a Las Vegas, quando Tyson mise ko Trevor Berbick conquistando il titolo mondiale a vent’anni, il più giovane di sempre). [Pietro Grossi, la Lettura 20/11/2011]

Sul ring sempre in pantaloncini neri, scarpe nere, senza calzini. «Come se ogni volta dovesse essere un funerale, un’esecuzione. Lui, il ragazzino disadattato che non aveva esperienza. Quello con un padre subito in fuga, con una madre vera che moriva presto e un patrigno vero che se ne andò anche lui per malattia. Lui, che appena arrivato a Milano fece fermare la macchina per abbassarsi i pantaloni e intrattenersi con le prostitute di Parco Lambro». [Emanuela Audisio, la Repubblica 1/8/2004]

«Mia madre era un’alcolizzata, mio padre un magnaccia, e io che facevo, il neurochirurgo?». [Emanuela Audisio, la Repubblica, 28/06/1997]

Nella villa di Southington, nell’Ohio, s’era fatto costruire una piscina a forma di guantone da boxe.

Nel carcere Plainfield (Indiana) dal febbraio 1992 al marzo 1995, 1.095 giorni di reclusione. Era stato condannato a dieci anni (quattro sospesi) con l’accusa di aver stuprato la reginetta di bellezza Desirée Washington, nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1991 in una camera d’albergo a Indianapolis.

Poi, Sui suoi guai giudiziari, nel 2003 commentò: «Non ho mai violentato Desirée Washington, ma se avessi la possibilità di farlo adesso, non esiterei. Violenterei lei e quella cagna di sua madre». [Riccardo Romani, Corriere della Sera 30/5/2003].

Dalla prigione uscì convertito all’Islam, con il nuovo nome di Mikhail Abdul Aziz ovvero “Servo del Signore” e con un tatuaggio di Mao sul braccio destro.

Uscendo Tyson dal carcere, il suo manager Don King andò ad aspettarlo portando in regalo una Rolls-Royce e una Mercedes nuove. Tyson non si impressionò, negli ultimi giorni di galera aveva mandato i suoi amici a comprare per sei miliardi e 800 milioni una villa a Las Vegas (indirizzo Tomiyasu Lane 6740, 1250 metri quadri coperti, quattromila metri di proprietà, stile dell’arredamento art-déco) e per un’altra manciata di miliardi 19 auto, tra cui una Rolls Royce, una Lamborghini, una Range Rover, due Mercedes, due Porsche, due Ferrari e quattro Bmw identiche (nessuna auto posseduta da Mike Tyson ha mai percorso più di seimila chilometri).

Nel 2003 ha dichiarato bancarotta: «Nel melodramma trash dell’uomo nero che divora se stesso, dopo i trionfi, lo stupro, il carcere, i morsi, le donne, i ko, le truffe, il libretto ci porta alla scena inevitabile, la rovina finanziaria. Mike Tyson è al verde. Iron Mike, l’uomo di ferro con il cuore di marmellata, si è rifugiato nel luogo dal quale per tutta la vita ha cercato di sfuggire, in tribunale, per chiedere a New York la protezione legale contro i creditori. Deve soldi a tutti, sette milioni alla seconda moglie divorziata, Monica, 30 al network Showtime con la quale ha un contratto, 24 milioni al fisco, milioni incalcolati agli avvocati. E lui non ha più centesimo. Dei 300 milioni di dollari (teoricamente) guadagnati nei suoi 37 anni di vita, non è rimasto più nulla». [Vittorio Zucconi, la Repubblica 4/8/2003]

La volta che a Maui, dove si stava preparando per il match con Lewis, si fece trovare con una biografia di Machiavelli sotto il braccio («Mi sembra un cretino, questo “Maciavelli’, ma non un cretino completo») e disse alla giovane inviata della Cnn: «Io do interviste soltanto a donne che me la danno». [Vittorio Zucconi, la Repubblica 4/8/2003]

«Mi piacciono gli scrittori come Fitzgerald, quello che si è suicidato, Hemingway, tutta la loro generazione. Alcuni erano alcolisti e tossicodipendenti, ma si godevano la vita. Hemingway ammirava Tolstoj, Tolstoj ammirava Pushkin, e Mailer ammirava Hemingway. I grandi sono tutti collegati tra loro». [Paul Hayard, il venerdì di Repubblica 24/5/2002]

Nel 2011 allo show televisivo di Ellen DeGeneres dichiarò di aver smesso con gli stupefacenti e di seguire una dieta vegana. «Sembrava davvero un altro. Un matrimonio finalmente felice, con Lakiha Spencer, impreziosito dalla nascita di due figli. L’one man show diretto da Spike Lee che ha portato nei teatri di tutti gli Stati Uniti la sua storia, dall’adolescenza trascorsa in riformatorio all’apoteosi del ring e poi il buio della quotidianità, un’affabulazione tra trionfi e cadute che ne ha messo a nudo l’anima e lo ha reso ancor più popolare». [Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport 28/8]

«Che sport formidabile il pugilato. Alcuni ne escono in perfette condizioni. È difficile capire come fanno dopo tutti i jab, i crochet, gli swing, i montanti che gli piovono addosso, però ci riescono; e Nino Benvenuti, un puro rappresentante della «nobile arte», è il primo della lista. Ma come è finito Johnny Saxton, campione mondiale dei welter, ardimentoso rivale di Kid Gavilan e di Carmen Basilio? Ricoverato in una casa di cura in California. Demenza pugilistica. E il crepitante Johnny Bratton altro mondiale nel 1951? Anche lui a ciondolare in manicomio a prendere cazzotti nei sogni. Ma terribile fu la storia del coreano Duk Koo Kim che ebbe la sventura di imbattersi in Ray Boom Boom Mancini. Era il 1982. Dopo 14 round di botte da far spavento, il povero Duk si ritrovò all’ospedale col cervello che non funzionava più. Morì 5 giorni dopo. La madre disperata si suicidò. E si suicidò anche l’arbitro di quel match di sangue». [Gianni Ranieri, La Stampa 26/8]

«Tutte queste cose belle che mi sono capitate nella vita, il successo, i soldi, le donne, non erano per me. Non era previsto che ciò accadesse, e invece è successo» (Tyson alla Espn). [Paolo Mastrolilli, La Stampa 26/8]

(a cura di Luca D’Ammando)