Riders, dicembre 2008, 19 giugno 2013
Tags : Marco Simoncelli
Vi raccontiamo noi chi è Sic (articolo del dicembre 2008)
Riders, dicembre 2008
Ci eravamo lasciati sei mesi fa con lui che diceva: «Se non fossi caduto in Qatar e a Jerez, sarei tra i primi in classifica». Era maggio, lui aveva 49 punti di distanza dal leader della 250, Mika Kallio, e in classifica generale era ottavo. Marco Simoncelli arrivava da due campionati fallimentari, l’anno prima gli era stata tolta la moto ufficiale e questa stagione era quella che o la va o si torna a casa. Cominciarla con zero punti in due gran premi (Qatar e Jerez, appunto) avrebbe stroncato chiunque. Ma non lui: il suo incubo era già diventato una favola. Dopo la conquista del Mondiale 250 con la Gilera ci siamo rivisti a Valencia, per l’ultima corsa del campionato. Corsa dominata. Quel giorno il suo manager, Carlo Pernat, da 30 anni nel mondo del motociclismo, è entrato nel camper della famiglia Simoncelli, si è rivolto alla mamma di Marco e ha detto: «Nemmeno lui sa quali sono i suoi limiti e dove può arrivare». Allora lo abbiamo chiesto direttamente a Marco, davanti a un piatto di ravioli al ragù: dove puoi arrivare? «Questo lo devono dire gli altri. Dove voglio arrivare invece lo dico io: il mio sogno è rivincere il mondiale 250, poi passare in MotoGP e magari vincere anche lì». Nel primo servizio realizzato per Riders, pubblicato a giugno 2008, ci siamo divertiti a vestirlo in stile anni Settanta, in questa occasione lo abbiamo fatto diventare il testimonial del nostro Speciale Tribù, torturandogli i capelli. Così, per la prima e unica volta, potete vedere come sarebbe Simoncelli se avesse i capelli lisci, rasta, punk o tutti all’indietro (su riders-online.it il video del backstage). Un evento storico. E per andare al di là del campione 250 che tutti hanno conosciuto dopo la ribalta mediatica, abbiamo chiesto aiuto a chi gli è sempre stato vicino, anche quando nessuno credeva in lui: gli amici storici, la fidanzata, la famiglia e pochi fedeli consiglieri. A chi, con lui, ha reso possibile il lieto fine. O un nuovo inizio.
E se fosse andata male? Partiamo da una domanda.
Se quest’anno avesse fallito ancora? Mamma Rosella quasi si commuove: «È incredibile, ma a questa eventualità non ho mai pensato. Sapevo che sarebbe diventato campione del mondo, nei miei pensieri l’avevo già visto tante volte questo film. Forse è incoscienza, forse eccessivo ottimismo». Papà Paolo ha baffi e occhiali con una montatura fine. un uomo alto, di corporatura robusta e incute un certo timore. Scherza, ma fino a un certo punto: «Rischiava di andare a fare il gelataio o il muratore». Marco lo sa: «I gelati mi piacciono, ne avrei mangiati tanti, però non esser riuscito a dimostrare il mio valore mi avrebbe fatto tirare il culo».
Tutti insieme sul lettone «Non ho mai avuto bisogno di uno psicologo» dice Marco «anche quando soffrivo molto». E il motivo sono loro: mamma, papà, la sorellina Martina di dieci anni e la fidanzata Kate. Una famiglia unita. A essere speciale è soprattutto il rapporto col padre. Svela Pernat: «Una volta mi ha raccontato che agli inizi della carriera suo figlio cadeva in curva e che per insegnargli a piegare, la domenica mattina, lo portava nel piazzale di un supermercato e tracciava le curve con dei bidoni di benzina. Il loro è un legame speciale». Un esempio? Lo racconta proprio il padre: «Sabato, il giorno prima dell’ultima gara a Valencia, Marco si è svegliato, ha visto che ancora dormivo dall’altra parte del camper ed è venuto nel letto con me». Marco conferma: «Mi è sempre piaciuto un sacco dormire nel lettone. L’ho fatto spesso fino a 15-16 anni. E anche adesso, ogni tanto lo faccio». Sua sorella Martina descrive una competizione molto speciale: «Ogni tanto saliamo tutti sul lettone di mamma e babbo e facciamo la gara a chi scende per primo. Marco trova sempre dei buchi dove infilarsi e vincere». Come nei sorpassi, verrebbe da dire. Le rivelazioni di Martina continuano: «Marco parla nel sonno. L’altro giorno l’ho trovato seduto sul pavimento della sua camera che diceva: ”Bee beep, spostati, muoviti...”. Un’altra volta ha urlato: ”Oh, ragazzi, siamo sotto la barca, sotto la barca!”». Dell’importanza della famiglia Marco ne è ben consapevole: «I miei mi hanno insegnato che l’onestà viene ripagata, sempre. Di essere riconoscente verso chi ti ha aiutato quando nessuno lo faceva. Che nessuno ti regala niente e che se vuoi una cosa devi essere tu il primo a crederci».
buoni e cattivi Marco sa bene chi deve ringraziare e chi no. «Due anni fa c’è chi ha parlato di un somaro da 80 chili e il somaro ero io. Addirittura nel box non mi salutavano neanche più. Alcuni di loro hanno avuto anche il coraggio di venirsi a complimentare: se lo potevano risparmiare. Facile dire ”te l’avevo detto”. Invece non aveva detto niente nessuno». Trattiene la rabbia Marco e sua madre lo capisce: «Se penso al 2006 mi vengono ancora i brividi perché Marco è una persona trasparente, leale, che non ti tradirà mai. genuino e in una società falsa come quella in cui viviamo, spicca per questo. Quando aveva tre anni e mezzo un’astrologa mi disse che sarebbe stato bravo a fare il pilota. Ma non specificò che tipo di pilota. Me lo descrisse come un ragazzo sensibile e semplice. Io allora faticavo a vedere queste doti: era agitatissimo. Ora posso dire che ci ha preso». Un ragazzo così semplice che, se durante un’intervista televisiva lo descrivono come un tipo naif, non finge di sapere cosa significa e ammette: «Io non so nemmeno cosa vuol dire». Hai provato a informarti? «Sì. Mi hanno detto che erano dei pittori un po’ astrattisti, un po’ confusionari. Un po’... naif, insomma». L’ultima volta che ha fatto arrabbiare il padre è successo per aver rotto quattro volte in una settimana i braccetti delle sospensioni della sua BMW 120 diesel. «Colpa di Graziano Rossi che gli ha insegnato a fare i traversi».
«cresciuto di testa? sì, per i capelli...» Simoncelli è un coccolone, certo, ma anche un casinista. Da sempre. Gianmarco e Michele sono due suoi amici storici. «Alle superiori, correndo, ha chiuso la porta in faccia a un compagno» racconta il primo «Non so quanti punti di sutura hanno messo a quel ragazzo, ricordo che volevano sospenderlo». La più grande follia? «Quest’estate, all’una di notte ha chiamato Kate, che abita a Bergamo, e le ha chiesto: ”Vieni a Riccione?”. Lei: ”No, vieni tu a Bergamo”. Alle tre eravamo lì». Continua Kate: «Sì, siamo stati in discoteca fino alle sei e poi sono venuti tutti a dormire da me all’insaputa dei miei genitori. Mia madre si è svegliata ma si è accorta solo di Marco, non ha visto che c’era anche qualcuno aggrappato alla tazza del bagno...». E i traversi di cui si lamenta papà Paolo? «Una volta Marco è entrato nel sottopassaggio di Misano a 120 all’ora e non ha pensato che subito dopo c’è una rotonda» dice ancora Gianmarco. «Per evitare di capottarsi l’ha dovuta prendere in senso contrario. Siamo sbiancati». Con Michele, Marco ha pure litigato: «Stavo con una ragazza un po’ possessiva e Marco era un po’ pesante». Già, perché la mano pesante negli scherzi è uno dei difetti di Marco. Non l’unico... Gli altri: «È testardo» (GianMarco), «Orgoglioso» (Kate), «Quando si fa la doccia vuole sentire a tutto volume la radio che ha in camera» (Martina). E mentre tutti si sforzano nel dire quanto Marco sia maturato mentalmente, loro vanno controcorrente: «Cresciuto di testa? Forse sono aumentati i capelli...».
aligi il guru A parte le battute scherzose, Simoncelli è maturato. Il suo guru è Aligi Deganello, responsabile tecnico del team Gilera, 55 anni e una passione per le gomme artigliate e Mike Hailwood. Lo incontriamo in un ristorante bolognese. Sopra di noi, appesa al muro, c’è una foto di Barry Sheene che corre con una 125. Coincidenza: la Suzuki numero 7 di Sheene è lo sfondo del cellulare di Marco («Perché lui era un figo vero» dice il pilota della 250). Altre due coincidenze hanno segnato il rapporto tra la famiglia Simoncelli e Aligi. La prima: «Eravamo in Brasile sul Cordovado» spiega Aligi «io ero il capotecnico di Jenkner. Marco era nell’altra squadra Aprilia. Volevamo fare uno scatto di gruppo, i due team insieme, invece, per chissà quale ragione, la facemmo solo io, Marco e suo padre». Per papà Paolo quella foto è sacra, «un segno del destino». La seconda: «Marco si era ritrovato senza una squadra ufficiale e io, a causa di un infortunio, senza lavoro» dice Aligi. «A fine 2006 Aprilia mi chiama e mi chiede se volevo fare il capotecnico di una squadra satellite. Il giorno dopo mi chiama Paolo e mi chiede se potevo fare la stessa cosa per il team di Marco. Io rispondo che sì, era un piacere, ma che dovevo aspettare la risposta di Aprilia. Poco dopo scoprii che la squadra era la stessa». Il Marco che Aligi si è trovato in squadra era un ragazzo in difficoltà ma motivato. «Aveva molte superstizioni, sintomo di insicurezza. Le abbiamo eliminate, mantenendo solo quei riti che aiutano a trovare la giusta concentrazione. E poi abbiamo dato un nuovo significato a Sic, il suo soprannome. diventato l’acronimo di Sbattersene I Coglioni perché abbiamo deciso che invece di lamentarci per una moto che non andava, ci dovevamo rimboccare le maniche». Seguendo le indicazioni di Marco, Aligi gli ha fatto una moto su misura, andando al di là di qualsiasi parametro. Le modifiche hanno riguardato soprattutto l’inclinazione della forcella, l’erogazione del motore, la lunghezza del forcellone e le sospensioni (che sono state indurite). «Marco è un grande staccatore. Bisognava dargli una moto capace di staccate incredibili, che non andasse larga nell’uscita di curva». Aligi ha anche pianto per Marco. A Valencia, 2007: «Marco girava con tempi buonissimi, poi ha avuto uno scontro con Debon ed è finito nella ghiaia. Rientrato quindicesimo ha ripreso ad andare forte, segno che la stoffa c’era. Arrivò undicesimo. Pensai che ne aveva sempre una, ma capii che il 2008 sarebbe stato un grande anno». Ci aveva preso. Come l’astrologa.
Lui e valentino Non chiedete ad Aligi Deganello a chi assomiglia Marco come pilota. O vi risponderà: «Ogni pilota ha le sue caratteristiche». Aggiunge Pernat: «Assomiglia sicuramente a Kevin Schwantz. Anche Marco butta giù la moto come se fosse una bicicletta. Ma più di tutti assomiglia a Valentino. Questo non significa che lo imiti. No, lui è come Valentino. Sono spontanei in tutto quello che fanno, genuini e guasconi. Anche in sella hanno lo stesso modo di guidare: si inventano traiettorie incredibili, fanno sorpassi al limite ma puliti». Poi ci sono due caratteristiche, fondamentali: «Loro due non vanno a fare una gara, vanno a divertirsi. E sono curiosi di tutto. Il primo Valentino curiosava nei box, chiedeva fino allo sfinimento che modifiche faceva uno, quali un altro e così via. Lo stesso fa Marco adesso». Divertimento e curiosità: se n’è accorto anche Aldo Drudi, il designer dei caschi, che ha un rapporto speciale con entrambi. «Vanno a fare cross anche d’inverno o con 40 gradi e nel mio studio fanno domande, curiosano, non stanno mai fermi. Si vede che quelli forti fanno così». Drudi sta curando i loro siti (quello di Marco sarà pronto i primi di gennaio) e ha disegnato un personaggio per Walt Disney ispirato a Super Pippo Simoncelli. Il giorno del nostro servizio fotografico, alla fine di ogni pettinatura, Marco si fotografava col cellulare e mandava un mms a Drudi. Al telefono si salutano così, imitando un comico di Zelig Off: «Ciao fratello, ti stimo!». come la zuppa del supermercato Dice Drudi: «L’anno scorso Marco è venuto da me e mi ha detto: ”Hai ragione tu Aldo, basta con i caschi chiassosi, voglio una grafica semplice”. Da questa scelta ho capito che aveva fatto ordine anche nella sua testa, anche se non mi aspettavo un cambio del genere. Marco ha capito che non si corre contro gli avversari ma contro i propri limiti e ha fatto una cosa che riesce solo ai campioni: assestare il colpo decisivo in un momento difficile». Fa una metafora, Drudi: «Marco quest’anno è stato come la zuppa che compri al supermercato, butti la polvere in una padella e ti ritrovi il piatto pronto. Mi ricordo ancora la prima gara del 2008 in Qatar: andò forte, poi cadde e si fece male a una mano. Era in Clinica Mobile, con la tuta calata e il petto nudo: piangeva come un bambino. Mai visto un pilota in quello stato. Ma tutta la squadra gli fece capire che non doveva mollare, che era sulla strada giusta».
la corazza Lo chiamavano Strike. «Gli ho dato questo soprannome quando era piccolo, perché era fin troppo irruente» spiega Manuel Pasini, papà del pilota Mattia. «È stato l’unico pilota delle minimoto a prendersi una bandiera nera per aver colpito un altro ragazzino, in curva». Ne è passato di tempo, insomma. Dai campionati italiani ed europei vinti, a quando lo avevano etichettato il nuovo Valentino, salvo poi ricredersi e chiamarlo somaro di 80 chili. «Ormai la corazza se l’è fatta» dice Pernat «non gliela toglie più nessuno». Però lui ha deciso di rimanere in 250, rinunciando a un sacco di soldi: la differenza tra quello che guadagnerà e quello che avrebbe guadagnato salendo nella massima serie è di un milione di dollari. Lo confermano Pernat, papà Paolo e Simoncelli stesso. «Però, se vince il campionato e quattro o cinque gare, si mette in tasca di più» precisa Pernat. Marco si sente sicuro: «Tanto, se continuo ad andare forte, gli stessi soldi me li danno anche il prossimo anno». E poi, spiega papà Paolo, «a lui non è mai importato granché dei soldi. Ancora oggi esce di casa con 20 euro in tasca».
la cricca dei consiglieri Oggi si può dire: «i primi a contattare Marco sono stati quelli della Yamaha Tech 3 di Poncharal. Era già pronto un precontratto» svela Pernat. «Poi la Ducati. Inizialmente per la squadra ufficiale e in un secondo momento, per avere meno pressioni, per il team satellite. Ci sono state anche alcune proposte da Suzuki e Honda Gresini. Invece è rimasto con la Gilera in 250, per il centenario. E nel 2009 sarà l’uomo da battere. L’avversario principale sarà Bautista, ma Marco ha un vantaggio: adesso è padrone del territorio, Bautista no. Bautista teme lui, lui non teme Bautista». La decisione Marco l’ha presa dopo aver consultato un gruppo ristrettissimo di persone. «Ho chiesto il parere a mio babbo, ad Aligi, a Pernat, a Drudi e a Valentino. Mio babbo e io ci siamo sempre confrontati e abbiamo cambiato opinioni un po’ di volte, Aligi mi ha detto di fare la scelta che mi faceva essere più contento. Pernat mi ha consigliato di restare in 250. Drudi e Valentino, invece, mi dicevano di salire e di fare un anno di prova senza troppe pressioni. Ma dopo due stagioni difficili non avevo voglia di fare un altro apprendistato. In 250 sarò protagonista tutte le domeniche, in MotoGP sarei stato uno fra i tanti». E lui non lo vuole più essere, uno fra i tanti. «Non lo sarà» dicono sicuri sia Drudi che Pernat. «Si giocherà dei mondiali e magari li vincerà anche in MotoGP». Niente male per chi quest’anno rischiava di cambiare mestiere. Niente male per un somaro di 80 chili.
Guido Meda su Marco Simoncelli Li ho già sentiti quelli che «Marco Simoncelli è una costruzione mediatica». Marco Simoncelli è una costruzione naturale e ben riuscita di se stesso, altro che balle. Me lo ricordo bene due anni fa, nello stesso locale malese dove ora ha festeggiato il mondiale, mentre piangeva convinto che nessuno credesse in lui, povera stella. Che è già di per sé una bella storia adesso revisionata, vendicata persino. Sic è uno sopra le righe, sì, come è bello che sia un pilota in un periodo in cui l’elettronica, invece, tenderebbe a mettere tutti sulla stessa riga. Per il medesimo motivo si sono un po’ stufati i vecchi, quelli belli che hanno conosciuto Barry Sheene, che non trovano più nella perfezione tecnologica il gusto assoluto di correre. Serve altro: magari una sportellata o due moccoli, duemila boccoli o una bocca che quando si apre ti serva un titolo risparmiandoti lo sforzo di inventarlo. Non fuma, non si spacca le ossa, ma è un datore di lavoro perfetto, tutto istinto e straniamenti. Un’altra manna dal cielo, al posto di una staccata al limite, un sorpasso all’esterno, più rari di prima. Per continuare così, rimpiangendo il passato di Valentino Rossi, in armonia con il suo presente, alle prese con il suo futuro che non sarà eterno. Tutti preoccupati e presi a dire di lui che così ne nasce uno ogni cento anni. Magari sbagliando. Magari.
Ci eravamo lasciati sei mesi fa con lui che diceva: «Se non fossi caduto in Qatar e a Jerez, sarei tra i primi in classifica». Era maggio, lui aveva 49 punti di distanza dal leader della 250, Mika Kallio, e in classifica generale era ottavo. Marco Simoncelli arrivava da due campionati fallimentari, l’anno prima gli era stata tolta la moto ufficiale e questa stagione era quella che o la va o si torna a casa. Cominciarla con zero punti in due gran premi (Qatar e Jerez, appunto) avrebbe stroncato chiunque. Ma non lui: il suo incubo era già diventato una favola. Dopo la conquista del Mondiale 250 con la Gilera ci siamo rivisti a Valencia, per l’ultima corsa del campionato. Corsa dominata. Quel giorno il suo manager, Carlo Pernat, da 30 anni nel mondo del motociclismo, è entrato nel camper della famiglia Simoncelli, si è rivolto alla mamma di Marco e ha detto: «Nemmeno lui sa quali sono i suoi limiti e dove può arrivare». Allora lo abbiamo chiesto direttamente a Marco, davanti a un piatto di ravioli al ragù: dove puoi arrivare? «Questo lo devono dire gli altri. Dove voglio arrivare invece lo dico io: il mio sogno è rivincere il mondiale 250, poi passare in MotoGP e magari vincere anche lì». Nel primo servizio realizzato per Riders, pubblicato a giugno 2008, ci siamo divertiti a vestirlo in stile anni Settanta, in questa occasione lo abbiamo fatto diventare il testimonial del nostro Speciale Tribù, torturandogli i capelli. Così, per la prima e unica volta, potete vedere come sarebbe Simoncelli se avesse i capelli lisci, rasta, punk o tutti all’indietro (su riders-online.it il video del backstage). Un evento storico. E per andare al di là del campione 250 che tutti hanno conosciuto dopo la ribalta mediatica, abbiamo chiesto aiuto a chi gli è sempre stato vicino, anche quando nessuno credeva in lui: gli amici storici, la fidanzata, la famiglia e pochi fedeli consiglieri. A chi, con lui, ha reso possibile il lieto fine. O un nuovo inizio.
E se fosse andata male? Partiamo da una domanda.
Se quest’anno avesse fallito ancora? Mamma Rosella quasi si commuove: «È incredibile, ma a questa eventualità non ho mai pensato. Sapevo che sarebbe diventato campione del mondo, nei miei pensieri l’avevo già visto tante volte questo film. Forse è incoscienza, forse eccessivo ottimismo». Papà Paolo ha baffi e occhiali con una montatura fine. un uomo alto, di corporatura robusta e incute un certo timore. Scherza, ma fino a un certo punto: «Rischiava di andare a fare il gelataio o il muratore». Marco lo sa: «I gelati mi piacciono, ne avrei mangiati tanti, però non esser riuscito a dimostrare il mio valore mi avrebbe fatto tirare il culo».
Tutti insieme sul lettone «Non ho mai avuto bisogno di uno psicologo» dice Marco «anche quando soffrivo molto». E il motivo sono loro: mamma, papà, la sorellina Martina di dieci anni e la fidanzata Kate. Una famiglia unita. A essere speciale è soprattutto il rapporto col padre. Svela Pernat: «Una volta mi ha raccontato che agli inizi della carriera suo figlio cadeva in curva e che per insegnargli a piegare, la domenica mattina, lo portava nel piazzale di un supermercato e tracciava le curve con dei bidoni di benzina. Il loro è un legame speciale». Un esempio? Lo racconta proprio il padre: «Sabato, il giorno prima dell’ultima gara a Valencia, Marco si è svegliato, ha visto che ancora dormivo dall’altra parte del camper ed è venuto nel letto con me». Marco conferma: «Mi è sempre piaciuto un sacco dormire nel lettone. L’ho fatto spesso fino a 15-16 anni. E anche adesso, ogni tanto lo faccio». Sua sorella Martina descrive una competizione molto speciale: «Ogni tanto saliamo tutti sul lettone di mamma e babbo e facciamo la gara a chi scende per primo. Marco trova sempre dei buchi dove infilarsi e vincere». Come nei sorpassi, verrebbe da dire. Le rivelazioni di Martina continuano: «Marco parla nel sonno. L’altro giorno l’ho trovato seduto sul pavimento della sua camera che diceva: ”Bee beep, spostati, muoviti...”. Un’altra volta ha urlato: ”Oh, ragazzi, siamo sotto la barca, sotto la barca!”». Dell’importanza della famiglia Marco ne è ben consapevole: «I miei mi hanno insegnato che l’onestà viene ripagata, sempre. Di essere riconoscente verso chi ti ha aiutato quando nessuno lo faceva. Che nessuno ti regala niente e che se vuoi una cosa devi essere tu il primo a crederci».
buoni e cattivi Marco sa bene chi deve ringraziare e chi no. «Due anni fa c’è chi ha parlato di un somaro da 80 chili e il somaro ero io. Addirittura nel box non mi salutavano neanche più. Alcuni di loro hanno avuto anche il coraggio di venirsi a complimentare: se lo potevano risparmiare. Facile dire ”te l’avevo detto”. Invece non aveva detto niente nessuno». Trattiene la rabbia Marco e sua madre lo capisce: «Se penso al 2006 mi vengono ancora i brividi perché Marco è una persona trasparente, leale, che non ti tradirà mai. genuino e in una società falsa come quella in cui viviamo, spicca per questo. Quando aveva tre anni e mezzo un’astrologa mi disse che sarebbe stato bravo a fare il pilota. Ma non specificò che tipo di pilota. Me lo descrisse come un ragazzo sensibile e semplice. Io allora faticavo a vedere queste doti: era agitatissimo. Ora posso dire che ci ha preso». Un ragazzo così semplice che, se durante un’intervista televisiva lo descrivono come un tipo naif, non finge di sapere cosa significa e ammette: «Io non so nemmeno cosa vuol dire». Hai provato a informarti? «Sì. Mi hanno detto che erano dei pittori un po’ astrattisti, un po’ confusionari. Un po’... naif, insomma». L’ultima volta che ha fatto arrabbiare il padre è successo per aver rotto quattro volte in una settimana i braccetti delle sospensioni della sua BMW 120 diesel. «Colpa di Graziano Rossi che gli ha insegnato a fare i traversi».
«cresciuto di testa? sì, per i capelli...» Simoncelli è un coccolone, certo, ma anche un casinista. Da sempre. Gianmarco e Michele sono due suoi amici storici. «Alle superiori, correndo, ha chiuso la porta in faccia a un compagno» racconta il primo «Non so quanti punti di sutura hanno messo a quel ragazzo, ricordo che volevano sospenderlo». La più grande follia? «Quest’estate, all’una di notte ha chiamato Kate, che abita a Bergamo, e le ha chiesto: ”Vieni a Riccione?”. Lei: ”No, vieni tu a Bergamo”. Alle tre eravamo lì». Continua Kate: «Sì, siamo stati in discoteca fino alle sei e poi sono venuti tutti a dormire da me all’insaputa dei miei genitori. Mia madre si è svegliata ma si è accorta solo di Marco, non ha visto che c’era anche qualcuno aggrappato alla tazza del bagno...». E i traversi di cui si lamenta papà Paolo? «Una volta Marco è entrato nel sottopassaggio di Misano a 120 all’ora e non ha pensato che subito dopo c’è una rotonda» dice ancora Gianmarco. «Per evitare di capottarsi l’ha dovuta prendere in senso contrario. Siamo sbiancati». Con Michele, Marco ha pure litigato: «Stavo con una ragazza un po’ possessiva e Marco era un po’ pesante». Già, perché la mano pesante negli scherzi è uno dei difetti di Marco. Non l’unico... Gli altri: «È testardo» (GianMarco), «Orgoglioso» (Kate), «Quando si fa la doccia vuole sentire a tutto volume la radio che ha in camera» (Martina). E mentre tutti si sforzano nel dire quanto Marco sia maturato mentalmente, loro vanno controcorrente: «Cresciuto di testa? Forse sono aumentati i capelli...».
aligi il guru A parte le battute scherzose, Simoncelli è maturato. Il suo guru è Aligi Deganello, responsabile tecnico del team Gilera, 55 anni e una passione per le gomme artigliate e Mike Hailwood. Lo incontriamo in un ristorante bolognese. Sopra di noi, appesa al muro, c’è una foto di Barry Sheene che corre con una 125. Coincidenza: la Suzuki numero 7 di Sheene è lo sfondo del cellulare di Marco («Perché lui era un figo vero» dice il pilota della 250). Altre due coincidenze hanno segnato il rapporto tra la famiglia Simoncelli e Aligi. La prima: «Eravamo in Brasile sul Cordovado» spiega Aligi «io ero il capotecnico di Jenkner. Marco era nell’altra squadra Aprilia. Volevamo fare uno scatto di gruppo, i due team insieme, invece, per chissà quale ragione, la facemmo solo io, Marco e suo padre». Per papà Paolo quella foto è sacra, «un segno del destino». La seconda: «Marco si era ritrovato senza una squadra ufficiale e io, a causa di un infortunio, senza lavoro» dice Aligi. «A fine 2006 Aprilia mi chiama e mi chiede se volevo fare il capotecnico di una squadra satellite. Il giorno dopo mi chiama Paolo e mi chiede se potevo fare la stessa cosa per il team di Marco. Io rispondo che sì, era un piacere, ma che dovevo aspettare la risposta di Aprilia. Poco dopo scoprii che la squadra era la stessa». Il Marco che Aligi si è trovato in squadra era un ragazzo in difficoltà ma motivato. «Aveva molte superstizioni, sintomo di insicurezza. Le abbiamo eliminate, mantenendo solo quei riti che aiutano a trovare la giusta concentrazione. E poi abbiamo dato un nuovo significato a Sic, il suo soprannome. diventato l’acronimo di Sbattersene I Coglioni perché abbiamo deciso che invece di lamentarci per una moto che non andava, ci dovevamo rimboccare le maniche». Seguendo le indicazioni di Marco, Aligi gli ha fatto una moto su misura, andando al di là di qualsiasi parametro. Le modifiche hanno riguardato soprattutto l’inclinazione della forcella, l’erogazione del motore, la lunghezza del forcellone e le sospensioni (che sono state indurite). «Marco è un grande staccatore. Bisognava dargli una moto capace di staccate incredibili, che non andasse larga nell’uscita di curva». Aligi ha anche pianto per Marco. A Valencia, 2007: «Marco girava con tempi buonissimi, poi ha avuto uno scontro con Debon ed è finito nella ghiaia. Rientrato quindicesimo ha ripreso ad andare forte, segno che la stoffa c’era. Arrivò undicesimo. Pensai che ne aveva sempre una, ma capii che il 2008 sarebbe stato un grande anno». Ci aveva preso. Come l’astrologa.
Lui e valentino Non chiedete ad Aligi Deganello a chi assomiglia Marco come pilota. O vi risponderà: «Ogni pilota ha le sue caratteristiche». Aggiunge Pernat: «Assomiglia sicuramente a Kevin Schwantz. Anche Marco butta giù la moto come se fosse una bicicletta. Ma più di tutti assomiglia a Valentino. Questo non significa che lo imiti. No, lui è come Valentino. Sono spontanei in tutto quello che fanno, genuini e guasconi. Anche in sella hanno lo stesso modo di guidare: si inventano traiettorie incredibili, fanno sorpassi al limite ma puliti». Poi ci sono due caratteristiche, fondamentali: «Loro due non vanno a fare una gara, vanno a divertirsi. E sono curiosi di tutto. Il primo Valentino curiosava nei box, chiedeva fino allo sfinimento che modifiche faceva uno, quali un altro e così via. Lo stesso fa Marco adesso». Divertimento e curiosità: se n’è accorto anche Aldo Drudi, il designer dei caschi, che ha un rapporto speciale con entrambi. «Vanno a fare cross anche d’inverno o con 40 gradi e nel mio studio fanno domande, curiosano, non stanno mai fermi. Si vede che quelli forti fanno così». Drudi sta curando i loro siti (quello di Marco sarà pronto i primi di gennaio) e ha disegnato un personaggio per Walt Disney ispirato a Super Pippo Simoncelli. Il giorno del nostro servizio fotografico, alla fine di ogni pettinatura, Marco si fotografava col cellulare e mandava un mms a Drudi. Al telefono si salutano così, imitando un comico di Zelig Off: «Ciao fratello, ti stimo!». come la zuppa del supermercato Dice Drudi: «L’anno scorso Marco è venuto da me e mi ha detto: ”Hai ragione tu Aldo, basta con i caschi chiassosi, voglio una grafica semplice”. Da questa scelta ho capito che aveva fatto ordine anche nella sua testa, anche se non mi aspettavo un cambio del genere. Marco ha capito che non si corre contro gli avversari ma contro i propri limiti e ha fatto una cosa che riesce solo ai campioni: assestare il colpo decisivo in un momento difficile». Fa una metafora, Drudi: «Marco quest’anno è stato come la zuppa che compri al supermercato, butti la polvere in una padella e ti ritrovi il piatto pronto. Mi ricordo ancora la prima gara del 2008 in Qatar: andò forte, poi cadde e si fece male a una mano. Era in Clinica Mobile, con la tuta calata e il petto nudo: piangeva come un bambino. Mai visto un pilota in quello stato. Ma tutta la squadra gli fece capire che non doveva mollare, che era sulla strada giusta».
la corazza Lo chiamavano Strike. «Gli ho dato questo soprannome quando era piccolo, perché era fin troppo irruente» spiega Manuel Pasini, papà del pilota Mattia. «È stato l’unico pilota delle minimoto a prendersi una bandiera nera per aver colpito un altro ragazzino, in curva». Ne è passato di tempo, insomma. Dai campionati italiani ed europei vinti, a quando lo avevano etichettato il nuovo Valentino, salvo poi ricredersi e chiamarlo somaro di 80 chili. «Ormai la corazza se l’è fatta» dice Pernat «non gliela toglie più nessuno». Però lui ha deciso di rimanere in 250, rinunciando a un sacco di soldi: la differenza tra quello che guadagnerà e quello che avrebbe guadagnato salendo nella massima serie è di un milione di dollari. Lo confermano Pernat, papà Paolo e Simoncelli stesso. «Però, se vince il campionato e quattro o cinque gare, si mette in tasca di più» precisa Pernat. Marco si sente sicuro: «Tanto, se continuo ad andare forte, gli stessi soldi me li danno anche il prossimo anno». E poi, spiega papà Paolo, «a lui non è mai importato granché dei soldi. Ancora oggi esce di casa con 20 euro in tasca».
la cricca dei consiglieri Oggi si può dire: «i primi a contattare Marco sono stati quelli della Yamaha Tech 3 di Poncharal. Era già pronto un precontratto» svela Pernat. «Poi la Ducati. Inizialmente per la squadra ufficiale e in un secondo momento, per avere meno pressioni, per il team satellite. Ci sono state anche alcune proposte da Suzuki e Honda Gresini. Invece è rimasto con la Gilera in 250, per il centenario. E nel 2009 sarà l’uomo da battere. L’avversario principale sarà Bautista, ma Marco ha un vantaggio: adesso è padrone del territorio, Bautista no. Bautista teme lui, lui non teme Bautista». La decisione Marco l’ha presa dopo aver consultato un gruppo ristrettissimo di persone. «Ho chiesto il parere a mio babbo, ad Aligi, a Pernat, a Drudi e a Valentino. Mio babbo e io ci siamo sempre confrontati e abbiamo cambiato opinioni un po’ di volte, Aligi mi ha detto di fare la scelta che mi faceva essere più contento. Pernat mi ha consigliato di restare in 250. Drudi e Valentino, invece, mi dicevano di salire e di fare un anno di prova senza troppe pressioni. Ma dopo due stagioni difficili non avevo voglia di fare un altro apprendistato. In 250 sarò protagonista tutte le domeniche, in MotoGP sarei stato uno fra i tanti». E lui non lo vuole più essere, uno fra i tanti. «Non lo sarà» dicono sicuri sia Drudi che Pernat. «Si giocherà dei mondiali e magari li vincerà anche in MotoGP». Niente male per chi quest’anno rischiava di cambiare mestiere. Niente male per un somaro di 80 chili.
Guido Meda su Marco Simoncelli Li ho già sentiti quelli che «Marco Simoncelli è una costruzione mediatica». Marco Simoncelli è una costruzione naturale e ben riuscita di se stesso, altro che balle. Me lo ricordo bene due anni fa, nello stesso locale malese dove ora ha festeggiato il mondiale, mentre piangeva convinto che nessuno credesse in lui, povera stella. Che è già di per sé una bella storia adesso revisionata, vendicata persino. Sic è uno sopra le righe, sì, come è bello che sia un pilota in un periodo in cui l’elettronica, invece, tenderebbe a mettere tutti sulla stessa riga. Per il medesimo motivo si sono un po’ stufati i vecchi, quelli belli che hanno conosciuto Barry Sheene, che non trovano più nella perfezione tecnologica il gusto assoluto di correre. Serve altro: magari una sportellata o due moccoli, duemila boccoli o una bocca che quando si apre ti serva un titolo risparmiandoti lo sforzo di inventarlo. Non fuma, non si spacca le ossa, ma è un datore di lavoro perfetto, tutto istinto e straniamenti. Un’altra manna dal cielo, al posto di una staccata al limite, un sorpasso all’esterno, più rari di prima. Per continuare così, rimpiangendo il passato di Valentino Rossi, in armonia con il suo presente, alle prese con il suo futuro che non sarà eterno. Tutti preoccupati e presi a dire di lui che così ne nasce uno ogni cento anni. Magari sbagliando. Magari.
Moreno Pisto