10 giugno 2013
Tags : Fabrizio De André
• «Per l’album La buona novella mi sono ispirato ai Vangeli apocrifi. Scelsi i Vangeli scritti da autori armeni, bizantini, greci, perché erano una versione laica della storia di quell’eroe rivoluzionario che era Cristo
• «Per l’album La buona novella mi sono ispirato ai Vangeli apocrifi. Scelsi i Vangeli scritti da autori armeni, bizantini, greci, perché erano una versione laica della storia di quell’eroe rivoluzionario che era Cristo... Solo che Marco e gli altri erano un po’ l’ufficio stampa, gli Apocrifi vanno invece a ruota libera» (Fabrizio De André).
• «Da bambino pensavo che le donne in mezzo alle gambe avessero un mostro che mi avrebbe fatto a pezzi, poi a quel mostro mi sono talmente affezionato che l’idea di conquistarlo faceva passare in sottordine qualsiasi altro tipo di approccio umano: se una donna mi attraeva facevo di tutto per riuscire a farci l’amore, se non mi attraeva le voltavo le spalle e preferivo andare a chiacchierare con un amico. Non sono mai riuscito a diventare amico di una donna, il che vuole dire non essere riuscito a conoscerle se non parzialmente» (appunti di Fabrizio De André) [Gianni Poglio, Panorama giugno 2012].
• Francesco Guccini conserva ancora un biglietto da mille lire con la firma di Fabrizio De André: «Ho vinto una partita di scopa testa a testa». [Gino Castaldo, Rep 7/6/2010]
• «Fabrizio De André si è circondato di collaborazioni, quindi ciò che è ascrivibile a lui non è la gran parte del suo lavoro». Così a Radiouno Rai, durante il programma Start , Francesco De Gregori ha tirato un siluro al cantautore genovese. Nessuno aveva mai osato tanto e De Gregori ha proseguito dando un colpo al cerchio ed uno alla botte. Prima ha definito De André «fondamentale per l’inizio del mio lavoro», poi, dopo la stoccata, ha sostenuto che«questo non gli toglie nulla perché se non avesse avuto quell’autorevolezza insita nelle sue corde vocali la musica italiana sarebbe molto, molto più povera». Quindi riprende a sparare: «Per me De André resta una grande voce narrante. Ma a volte si sentono dire cose iperboliche. Credo che questo non faccia bene né a lui né alla gente che deve capire e ascoltare. E credo non sarebbe piaciuto neanche a lui. Quando si dice “è stato il più grande poeta italiano del Novecento” ecco, mi sembra una esagerazione. La poesia è altro dalla canzone. Detto questo De André e De André».E qui si ricollega all’inizio dell’intervista, dove rivolge un peana a Faber dicendo: «Credo che non avrei mai fatto questo mestiere se a 12 anni non mi fossi imbattuto in canzoni come Iltestamento o La guerra di Piero . Poi il nostro rapporto si è modificato. Lui ha scritto cose molto belle, magari non tutte così fondamentali per me». [Angelo Allegri, il Giornale 10/12/2011]
• [...] Con De André lei viveva molto la Genova di allora, il territorio: la scuola dei cantautori e così via... «Tutte balle, non c’era nessuna scuola dei cantautori, non c’era un cazzo. I vicoli erano pieni di casini, case di tolleranza, immigrati meridionali, e quindi un altro mondo».
Lei aveva contatti insieme a De André con il mondo dei quartieri poveri, gli emarginati?
«Nessuno. Che contatti puoi avere? Avrei potuto fare il travestito, ma non usava ancora».
Ma allora tutte queste storie su De André?
«Tutte sòle. Le bugie alla mia età sono insopportabili. Non c’era un bel cazzo di niente, non c’era la scuola dei genovesi. Tenco l’ho intravisto, era un depresso che s’è ammazzato. Paoli non mi ha mai rivolto la parola. Con Fabrizio eravamo molto amici perché eravamo cresciuti insieme in Corso Italia, i nostri genitori erano amici. Io andavo al liceo classico Doria e lui allo scientifico Colombo. Eravamo benestanti, ma non la vera upper-class». [...] Tornando a De André, mi sembra che ci siano due narrative contrastanti. Chi ne ha fatto un mito, una specie di santo bohémien, poeta maledetto. E chi invece lo pensa solo come un borghese ubriaco....
«Che fosse un borghese è vero, e beveva pure. Io l’ho conosciuto che aveva due anni. Ho sei anni più di lui. Era una persona che era considerata dal padre un insidioso, dal fratello Mauro, buonanima, un fallito, e di questo Fabrizio ha sofferto. Aveva gravi complessi. Credo di averlo aiutato molto, soprattutto a trovare il coraggio di fare delle scelte di vita importanti. Portai Marco Ferreri a vedere il suo primo concerto alla Bussola di Bernardini. Credo di averlo aiutato, ad esempio, a decidere di andare a vivere in Sardegna, a rifiutare di fare la tv. Lui era fondamentalmente una gran brava persona, molto onesto, divertente, simpatico. Poi, per le cose che ha scritto, gli hanno affibbiato la patente dell’angelo triste, del poeta non alla Ferlinghetti, cioè divertente, ma alla Bukowski, delle robe orrende. Musicalmente le sue cose sono divertenti e molto orecchiabili. E ha anche avuto parecchia fortuna. E poi è morto in un momento giusto della sua vita, quando stava per spegnersi: da noi chi muore viene deificato» [...] (Paolo Villaggio a Luca Caminati). [Luca Caminati, Rolling Stones luglio 2011]
• E il boss della camorra ringraziò De André – Raffaele Cutolo era convinto che De André avesse scritto Don Raffaè per lui, ma non è proprio così. Mauro Pagani coautore del brano – ebbe l’idea di fare un brano sulla vita agiata del boss in galera, ma Fabrizio pensava piuttosto al «personaggio che spiega cosa pensare» ispirandosi a Gli alunni del tempo di Giuseppe Marotta. In realtà Don Raffaè era il nome del sindaco nella commedia Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo e il brigadiere «Pasquale Cafiero » è stato scelto per motivi di metrica. Piuttosto, nel testo c’è una variazione di ‘O café di Modugno che cantava: «Ah che bell’ ‘o café,sulo a Napule ‘o sanno fa» poi trasformato in «pure in carcere ‘o sanno fa». Cutolo comunque scrisse direttamente a De André per ringraziarlo. «Ho ricevuto tre lettere da Cutolo – dirà Faber – e un suo libro di poesie. Alcune sono davvero toccanti. Si vede che, pur avendo fatto solo la quinta elementare, è un poeta, uno che pensa e riesce a sentire». [Antonio Lodetti, il Giornale 23/10/2010]
• Su una parete dell’ufficio di Gigi Riva c’è la foto della sua camera di scapolo anni Sessanta con un manifesto di De André. «Ho tutti i suoi primi 33 giri», confessa. «C’incontrammo a Genova una volta, era molto introverso. Già, anche lui. Cominciammo con un paio di bicchieri di whisky, sennò nessuno parlava. Io ero intimidito dal personaggio. Una passione che mi è restata per tutta la vita. De André mi ha fatto molta compagnia. Certe cose che lui cantava o diceva diventavano per me regole di vita. [Giuseppe Videtti, la Repubblica 21/11/2010]