Storia d’Italia, Rizzoli, 1959, 4 giugno 2013
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Sonnino nel racconto di Montanelli
Storia d’Italia, Rizzoli, 1959
Per un pezzo Sonnino si era atteggiato ad erede di Crispi. Ma ultimamente aveva ripudiato le pregiudiziali autoritarie, cercando di differenziarsi da Giolitti sul piano del cosiddetto “impegno” ideologico e morale. Al trasformismo del suo avversario e delle sue composite falangi, egli opponeva il rigore di un pugno di “incorruttibili” che si dicevano refrattari a qualsiasi compromesso. Non si trattava soltanto di calcolo politico. Forse ereditato dalla madre inglese, in Sonnino c’era un fondo puritano che sotto alcuni aspetti lo rendeva un parente di Ricasoli; e il suo sdegno contro i metodi giolittiani dell’intrigo e del mercanteggiamento era sincero. Aveva una solida preparazione, e non affrontava un problema senza averlo scrupolosamente sviscerato. Ma severo, nerovestito e di difficile approccio, aveva stoffa più di predicatore che di uomo politico, e di simpatie non ne attirava. Secondo Sforza, che lo detestava, ogni mattina egli ringraziava pienamente Dio di averlo fatto diverso da tutti gli altri uomini, cosa che gli altri uomini non sono disposti a perdonare. Con Grande stupore Giolitti ordinò ai suoi di appoggiare Sonnino. Ma non si trattava di generosità. Privo di una maggioranza, Sonnino chiamò nel suo ministero i radicali che così si trovarono a convivere con gli arcinemici della Destra, e chiese l’appoggio dei socialisti e l’ottenne grazie a Ferri, il quale glielo diede in odio a Turati, irremovibilmente Giolittiano. E questa ibrida combinazione piaceva a Giolitti per due motivi: prima di tutto per la sua precarietà, e poi perché toglieva al suo rivale l’aureola di “uomo di principi” dimostrando che anche lui, quando gli faceva comodo, “trasformava”, e più di quanto Giolitti avesse mai fatto.
Per un pezzo Sonnino si era atteggiato ad erede di Crispi. Ma ultimamente aveva ripudiato le pregiudiziali autoritarie, cercando di differenziarsi da Giolitti sul piano del cosiddetto “impegno” ideologico e morale. Al trasformismo del suo avversario e delle sue composite falangi, egli opponeva il rigore di un pugno di “incorruttibili” che si dicevano refrattari a qualsiasi compromesso. Non si trattava soltanto di calcolo politico. Forse ereditato dalla madre inglese, in Sonnino c’era un fondo puritano che sotto alcuni aspetti lo rendeva un parente di Ricasoli; e il suo sdegno contro i metodi giolittiani dell’intrigo e del mercanteggiamento era sincero. Aveva una solida preparazione, e non affrontava un problema senza averlo scrupolosamente sviscerato. Ma severo, nerovestito e di difficile approccio, aveva stoffa più di predicatore che di uomo politico, e di simpatie non ne attirava. Secondo Sforza, che lo detestava, ogni mattina egli ringraziava pienamente Dio di averlo fatto diverso da tutti gli altri uomini, cosa che gli altri uomini non sono disposti a perdonare. Con Grande stupore Giolitti ordinò ai suoi di appoggiare Sonnino. Ma non si trattava di generosità. Privo di una maggioranza, Sonnino chiamò nel suo ministero i radicali che così si trovarono a convivere con gli arcinemici della Destra, e chiese l’appoggio dei socialisti e l’ottenne grazie a Ferri, il quale glielo diede in odio a Turati, irremovibilmente Giolittiano. E questa ibrida combinazione piaceva a Giolitti per due motivi: prima di tutto per la sua precarietà, e poi perché toglieva al suo rivale l’aureola di “uomo di principi” dimostrando che anche lui, quando gli faceva comodo, “trasformava”, e più di quanto Giolitti avesse mai fatto.
Indro Montanelli