La Gazzetta dello Sport, 20 aprile 2013
Il Partito democratico, tentando di uscire dal vicolo cieco in cui s’era cacciato con il flop della candidatura Marini, ha messo in pista Prodi con un risultato che è poco definire disastroso: Prodi non è arrivato nemmeno a 400 voti, e per essere eletto al Quirinale ce ne sarebbero voluti 504
Il Partito democratico, tentando di uscire dal vicolo cieco in cui s’era cacciato con il flop della candidatura Marini, ha messo in pista Prodi con un risultato che è poco definire disastroso: Prodi non è arrivato nemmeno a 400 voti, e per essere eletto al Quirinale ce ne sarebbero voluti 504. Cento franchi tiratori, tutti del Partito democratico (ci sono le prove, come vedremo), lo hanno impallinato, dando vita all’ultima guerra intestina tra le tribù del Pd, stavolta porobabilmente i dalemiani e i cattolici del Partito risentiti per la bocciatura di Marini. Prodi ha poi rinunciato alla candidatura e la Bindi s’è dimessa dalla presidenza del partito dichiarando di non avere nessuna responsabilità nel disastro e di non voler condividere gli errori del segretario. Conosciuto l’esito del voto, il direttivo democratico s’è riunito nella Corea di Montecitorio (l’ala che si trova dall’altra parte rispetto al Transatlantico), un vertice ristrettissimo tra Bersani, Franceschini, Enrico Letta, la Finocchiaro. La zona è stata chiusa ai cronisti che hanno solo fatto in tempo a sentire la Finocchiaro mormorare: «Sono sconfortata». Si sono poi riuniti i due gruppi parlamentari e, mentre scriviamo, la loro discussione è in corso. Si fanno le ipotesi più disparate: implorare Napolitano di accettare un prolungamento del mandato, oppure convergere su Rodotà, i cui voti sono aumentati al quarto giro rispetto al primo, o anche accogliere la proposta di Scelta civica e votare la Cancellieri, o infine eleggere Pietro Grasso e liberare per il centro-destra la presidenza del Senato. Monti s’è a sua volta proposto come mediatore, incontrando sia Berlusconi che Bersani.
• Cominciamo come sempre dai numeri.
La terza votazione, ieri mattina, era ancora a maggioranza qualificata, cioè per passare si sarebbero dovuti raccogliere 672 consensi, i 2/3 dell’assemblea. Il Pd aveva già annunciato che il suo candidato di giornata sarebbe stato Romano Prodi, e che l’avrebbe messo in pista nel pomeriggio, alla quarta votazione. Ieri mattina, al terzo giro, Pd, Pdl e Scelta civica hanno votato scheda bianca, i leghisti sono invece usciti dall’aula. Il più votato è risultato Stefano Rodotà, candidato del Movimento 5 Stelle, con 250 voti. D’Alema ne ha presi 34, Prodi 22, Napolitano 12, la Cancellieri 9. Ed eccoci alla tornata del pomeriggio, nella quale si sarebbe giocata la candidatura di Prodi. Berlusconi, furibondo per una scelta che considera «da guerra civile», intima ai suoi di non presentarsi in aula – fatto mai accaduto in precedenza per un partito di quella consistenza - e i cinquestelle ribadiscono che voteranno per Rodotà. Fin dalla sera prima Mario Monti aveva annunciato che il suo gruppo di Scelta civica avrebbe scritto sulla scheda il nome di Anna Maria Cancellieri, attuale ministro dell’Interno. Infatti per Monti Prodi non è un candidato accettabile, dato che il Pdl non intende appoggiarlo, e non si tratterebbe quindi di un presidente largamente condiviso. Se non ci saranno spostamenti nel segreto dell’urna in favore del Professore bolognese, l’elezione appare quindi impossibile. Il Pd ha in tutto 496 voti, gliene mancano otto per l’en plein.
• Perché candidarlo allora?
Per cercare di ricucire le spaccature del primo giorno, quelle che s’erano consumate sul nome di Marini. Che cosa significava la bocciatura di Marini? Che il partito sbarrava la strada a un accordo tra Pd e Berlusconi. Dopo una nottata di telefonate e baruffe, Bersani ha promesso a D’Alema di far votare ai grandi elettori, preliminarmente, il candidato su cui puntare, all’interno di una rosa ristretta (Prodi, D’Alema, Amato). Ma, al mattino, riuniti i suoi ancora una volta al cinema Capranica, Bersani ha invece chiesto un consenso su Prodi e l’assemblea lo ha dato senza esitazioni, all’unanimità. È stata anche fatta la controprova, chiedendo chi fosse contrario. Nessuno ha alzato la mano. D’Alema, si dice, è uscito da questo voltafaccia irritatissimo.
• Nel pomeriggio invece…
Il risultato della quarta votazione è stato questo: Prodi 395, Rodotà 214, Cancellieri 78, D’Alema 15. È importante, per capire quello che è successo, anche analizzare i voti finiti a Rodotà e alla Cancellieri. Le schede per Rodotà sono state 52 in più di quelle che gli garantiva cinquestelle. La Cancellieri di voti in più ne ha presi 79. Sono consensi che vengono certamente dal Pd: quelli di Sel hanno scritto sul loro foglietto “R. Prodi” in modo da farsi riconoscere (gli “R. Prodi” erano infatti 49), e la loro versione dei fatti appare credibile anche se tra i voti per Rodotà ci sono 49 “S. Rodotà”, messi nell’urna evidentemente da chi voleva confondere le acque.
• Perché a questo punto non votare Rodotà?
Il Pd dovrebbe rassegnarsi a mandare al Quirinale una persona che non è stata scelta dal Partito che ha preso più voti alle elezioni. Un boccone amarissimo, anche se Rodotà appartiene per storia e cultura alla stessa area di riferimento del Partito democratico (Vendola e i suoi da oggi torneranno a votarlo). È lo scherzo di Grillo, il quale non abbandonerà mai il suo candidato. Anche stavolta il comico genovese vuole vedere uniti in matrimonio Pd e Pdl, unico modo per dimostrare agli elettori di essere diverso dai partiti e dai loro inciuci.