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 2013  aprile 06 Sabato calendario

Ci sono tragedie che ci viene ovvio attribuire alla crisi. Per esempio, la storia del pensionato di Palermo

Ci sono tragedie che ci viene ovvio attribuire alla crisi. Per esempio, la storia del pensionato di Palermo. Si chiamava Giuseppe Fontana, era un muratore in pensione, aveva 68 anni. Doveva rinnovare l’esenzione dal ticket. S’era presentato alle cinque del mattino alla Asp di via Turrisi Colonna. C’era la distribuzione dei biglietti per dare un ordine alla calca, alle 8 del mattino, infatti, la fila era già di 250 persone. Si aprono i cancelli, la ressa spinge, i cittadini vengono stipati in uno spazio troppo stretto e a un certo punto il povero Fontana si accorge di aver fatto tutta quella fatica per niente: non trova più il biglietto dove è stampigliato il numero del suo turno e di sicuro, in quella bolgia, nessuno gli farà il favore di credergli. La disperazione è tale che si sente male, casca per terra, arrivano i medici per soccorrerlo, ma è troppo tardi, il poveretto è stato stroncato da un colpo al cuore. È il maledetto momento che stiamo vivendo, si direbbe, a rendere possibile una tragedia simile. Per non parlare del triplice suicidio di Civitanova Marche.

L’ho sentito in tv. Racconti.
Romeo Dionisi, muratore anche lui, 62 anni. E sua moglie Annamaria Sopranzi, di 68, pensionata a 500 euro al mese, una vita passata a fare l’artigiana. Non hanno più soldi e ci sono due mutui da pagare. Lavoro non se ne trova. Nella palazzina dove abitano, in via Calatafimi, vive anche il presidente del Consiglio comunale di Civitanova, Ivo Costamagna. Qualche giorno fa Dionisi aveva trovato il coraggio di parlargli della sua situazione e Costamagna dice di averlo invitato a passare in Comune per l’affidamento ai servizi sociali. I vicini e i parenti dicono che la coppia non se l’è sentita, che si vergognava. Così, sono andati in un camerino vicino al garage e si sono impiccati, uno accanto all’altra. La Sopranzi ha prima messo un biglietto sul parabrezza dell’auto di un’amica: «Scusaci del gesto. Guarda nello sgabuzzino». Questa amica, di nome Francesca, è poi andata a guardare , ha aperto la porta, ha gridato, è accorsa gente e tra la gente c’era anche il fratello della donna, Giuseppe, di 72 anni. Giuseppe è rimasto sconvolto dallo spettacolo, è scappato via, ha raggiunto il molo, s’è buttato in mare e ha lasciato che le onde lo affogassero.  

• La storia ha fatto un’impressione enorme.
Sì, c’è stato anche un fiume di reazioni politiche. Cominciando da Bersani: «Un dramma che ci lascia sgomenti e ammutoliti. Dobbiamo tutti convincerci che, fuori dai riflettori, c’è una vera e drammatica emergenza sociale. È su questa emergenza che deve assolutamente vedersi il primo segno di cambiamento». Poi Vendola: «Il dramma di Civitanova ci dice che milioni di persone vivono oggi nell’angoscia e nella paura. Tutti noi dobbiamo dare risposte subito. Sono sconvolto per l’ennesimo suicidio per la disperazione sociale: c’è un’Italia del disagio e dolore che non aspetta. La lotta alle ingiustizie e per dare risposte alla crisi non sia occultata da lotta tra nomenclature». Ci sono poi le reazioni assai addolorate delle autorità locali, quelle di Laura Boldrini, che verrà a Civitanova per rendere omaggio alle salme (la Boldrini, tra l’altro, è marchigiana), una nota di Confartigianato e Cna in cui si ricorda un allarme in merito ai fondi per la Cassa integrazione in deroga, per la quale nella Conferenza Stato-Regioni sono stati attribuiti alla Marche appena 22,5 milioni, somma assolutamente insufficiente.  

• Se Bersani e Vendola governassero da un anno, se alle Marche fossero stati dati fondi sufficienti, se tutto quello che si depreca in queste comprensibili manifestazioni di lutto non fosse accaduto, i tre infelici di Civitanova si sarebbero salvati?
Chi sa. Dionisi era un muratore che lavorava a partita Iva, spesso pagato in nero, e che non trovava lavoro perché l’edilizia è tra i settori più in crisi. In quanto partita Iva, non aveva protezione sociale, dato che la nostra protezione sociale è pensata quasi solo per i lavoratori dipendenti. Il discorso sulla moglie artigiana è più o meno identico. Partiti e sindacati considerano anzi questi lavoratori liberi quasi come dei nemici. Il fatto che i due congiugi si vergognassero di ricorrere alla carità pubblica è un segno di straordinaria distinzione, in un paese in cui farsi mantenere dallo Stato viene generalmente considerato un diritto.  

Mi sembrano parole alquanto implacabili a fronte di una tragedia tanto immane.
Sono piuttosto sconce quelle dichiarazioni, invece, che buttano in politica e per fini assai poco commendevoli un dramma privatissimo. Il professor Barbagli, della cui autorità spero nessuno si permetta di dubitare, s’è vanamente sgolato, dati alla mano, a mostrare che il numero di suicidi per motivi economici è addirittura diminuito rispetto agli anni scorsi. Comparando i dati di Italia e Grecia si potrebbe addirittura sostenere che la crisi economica scoraggia i suicidi per motivi economici dato che il tasso di chi si toglie la vita perché non ha più soldi è più basso in Grecia che da noi. Io stesso, che tanti anni fa ho messo in un libro una serie di suicidi e delitti di gente qualunque, ho raccontato di un certo numero di persone che si sono tolte la vita per i soldi. E la crisi non c’era.  

Per esempio?
Per esempio – estraggo a caso - la storia di Arrigo Giuseppe Tira e Piera Carbonatto, da Rivarolo Canavese (lei in realtà veniva da Ozegna), 44 e 36 anni. Raggiunsero in macchina un campo di granturco, parcheggiarono in uno spiazzo, presero delle pasticche per farsi coraggio e poi collegarono il tubo di scappamento con l’abitacolo. In una lettera lunga tre pagine chiedevano scusa di non poter pagare i debiti. Una tragedia dell’economia anche quella, ma almeno senza le lacrime furbe di Prodi e D’Alema, leader della sinistra di quegli anni.