Sette, venerdì 22 febbraio 2013, 5 aprile 2013
Tags : La strage di Villarbasse
Gli ultimi italiani condannati a morte
Sette, venerdì 22 febbraio 2013
Ultimi D’Ignoti Giovanni, di anni 31, manovale, La Barbera Francesco, di anni 26, garzone di cucina e Puleo Giovanni, di anni 32, ciabattino, tutti e tre originari di Mezzojuso, piccolo paese vicino a Palermo, colpevoli, insieme a Lala Pietro, di anni 21, già pregiudicato per rapina, di aver ucciso dieci persone, furono gli ultimi condannati a morte in Italia.
Esecuzione L’esecuzione, alle 7.45 del 4 marzo 1947, al poligono di tiro di Basse di Stura, Torino. Giorgio Bocca: « I lugubri preparativi sembrano ultimati: il plotone di esecuzione di trentasei uomini è schierato sul pendio che sta di fronte al muro dei condannati. C´è il frate che va da una sedia all´altra, cui i condannati sono legati, e mormora parole consolatrici che loro non ascoltano rannicchiati come orsi dietro il legno delle sedie, l´ultima illusoria protezione. (...) I soldati del plotone sono nervosi, a uno cade il fucile di mano: allora accorre l´ufficiale comandante con la sciarpa azzurra. Parte la scarica che, nel vuoto della campagna, è appena un crepitio, tanto che neanche i passeri si spaventano. Due dei condannati si afflosciano sulle sedie, Puleo non so come, torcendosi è riuscito a sollevarsi e a gridare qualcosa. Ma cosa? Un collega ha preso appunti. “Che cosa ha gridato?”. “Viva la Sicilia indipendente e libera”».
Sigaretta La Barbera e Puleo, pur con le mani legate e la benda agli occhi, a fumar l’ultima sigaretta aspettando la morte.
Delitto Gianoli Massimo, di anni 65, avvocato, la sera del 20 novembre 1945 aveva con sé a tavola il fattore Antonio Ferrero e sua moglie più altri sette ospiti, nei piatti la bagna cauda, quando vide entrare i quattro banditi siciliani, La Barbera, Puleo, D’Ignoti e Lala, il volto coperto da un tovagliolo, due pistole in mano, in cerca dei molti contanti che il Lala, impiegato nella Cascina come mezzadro tempo prima, s’era detto certo di trovare. Avendo i presenti riconosciuto il Lala, cui era caduto il tovagliolo dal volto, il Puleo, che era un gigante, scese in cantina e si piazzò sull’orlo di un pozzo con un randello grande e nodoso, si fece portare l’avvocato con i suoi ospiti, uno alla volta, le mani dietro la schiena legate col filo di ferro, e dopo averli accoppati con un colpo micidiale di randello, li aveva buttati, alcuni ancora vivi, nella cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
Pancia Siccome l’avvocato Gianoli, che era piuttosto grosso, non passava attraverso il buco del pozzo ed era rimasto, per via della pancia, mezzo fuori e mezzo dentro, il Lala gli mise una mano sul collo e una sul cranio e premette con tutto il suo peso; quindi fu necessario ricorrere al randello.
Bottino Bottino dei quattro banditi: duecentomila lire, tre salami, tre paia di calze e dieci fazzoletti.
Corpi I corpi, ritrovati dopo dieci giorni grazie a un mugnaio dipendente del Gianoli, Enrico Coletto, che la mattina del 28 novembre, notando che dal coperchio della cisterna uscivano fili di foraggio e di grano, vi calò un rastrello e, ritraendolo, si accorse di aver pescato un grembiule.
Caltanissetta Giorgio Bocca: «Eppure le tracce del delitto sono numerose, visibili: un contadino ha trovato nel prato un cappello macchiato di sangue, poi un vicino ha notato altre macchie di sangue nella cantina e una giacca sul cui bavero è rimasto appuntato un biglietto con scritta la parola Caltanissetta, che vuol dire?».
Lupi I tre siciliani (Lala intanto s’era fatto ammazzare dalla mafia), arrestati dopo quattro mesi di indagini, condannati dalla Corte d’Assise di Torino dopo tre giorni di processo (dal 3 al 5 luglio 1946), quando vennero a sapere che anche la Cassazione aveva confermato la pena di morte ulularono come lupi tutta la notte.
Morte Puleo, qualche giorno prima della fucilazione, steso a terra sotto un lenzuolo: «Ho deciso di piangere la mia morte, tanto nessuno lo farà per me».
Ultimi D’Ignoti Giovanni, di anni 31, manovale, La Barbera Francesco, di anni 26, garzone di cucina e Puleo Giovanni, di anni 32, ciabattino, tutti e tre originari di Mezzojuso, piccolo paese vicino a Palermo, colpevoli, insieme a Lala Pietro, di anni 21, già pregiudicato per rapina, di aver ucciso dieci persone, furono gli ultimi condannati a morte in Italia.
Esecuzione L’esecuzione, alle 7.45 del 4 marzo 1947, al poligono di tiro di Basse di Stura, Torino. Giorgio Bocca: « I lugubri preparativi sembrano ultimati: il plotone di esecuzione di trentasei uomini è schierato sul pendio che sta di fronte al muro dei condannati. C´è il frate che va da una sedia all´altra, cui i condannati sono legati, e mormora parole consolatrici che loro non ascoltano rannicchiati come orsi dietro il legno delle sedie, l´ultima illusoria protezione. (...) I soldati del plotone sono nervosi, a uno cade il fucile di mano: allora accorre l´ufficiale comandante con la sciarpa azzurra. Parte la scarica che, nel vuoto della campagna, è appena un crepitio, tanto che neanche i passeri si spaventano. Due dei condannati si afflosciano sulle sedie, Puleo non so come, torcendosi è riuscito a sollevarsi e a gridare qualcosa. Ma cosa? Un collega ha preso appunti. “Che cosa ha gridato?”. “Viva la Sicilia indipendente e libera”».
Sigaretta La Barbera e Puleo, pur con le mani legate e la benda agli occhi, a fumar l’ultima sigaretta aspettando la morte.
Delitto Gianoli Massimo, di anni 65, avvocato, la sera del 20 novembre 1945 aveva con sé a tavola il fattore Antonio Ferrero e sua moglie più altri sette ospiti, nei piatti la bagna cauda, quando vide entrare i quattro banditi siciliani, La Barbera, Puleo, D’Ignoti e Lala, il volto coperto da un tovagliolo, due pistole in mano, in cerca dei molti contanti che il Lala, impiegato nella Cascina come mezzadro tempo prima, s’era detto certo di trovare. Avendo i presenti riconosciuto il Lala, cui era caduto il tovagliolo dal volto, il Puleo, che era un gigante, scese in cantina e si piazzò sull’orlo di un pozzo con un randello grande e nodoso, si fece portare l’avvocato con i suoi ospiti, uno alla volta, le mani dietro la schiena legate col filo di ferro, e dopo averli accoppati con un colpo micidiale di randello, li aveva buttati, alcuni ancora vivi, nella cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
Pancia Siccome l’avvocato Gianoli, che era piuttosto grosso, non passava attraverso il buco del pozzo ed era rimasto, per via della pancia, mezzo fuori e mezzo dentro, il Lala gli mise una mano sul collo e una sul cranio e premette con tutto il suo peso; quindi fu necessario ricorrere al randello.
Bottino Bottino dei quattro banditi: duecentomila lire, tre salami, tre paia di calze e dieci fazzoletti.
Corpi I corpi, ritrovati dopo dieci giorni grazie a un mugnaio dipendente del Gianoli, Enrico Coletto, che la mattina del 28 novembre, notando che dal coperchio della cisterna uscivano fili di foraggio e di grano, vi calò un rastrello e, ritraendolo, si accorse di aver pescato un grembiule.
Caltanissetta Giorgio Bocca: «Eppure le tracce del delitto sono numerose, visibili: un contadino ha trovato nel prato un cappello macchiato di sangue, poi un vicino ha notato altre macchie di sangue nella cantina e una giacca sul cui bavero è rimasto appuntato un biglietto con scritta la parola Caltanissetta, che vuol dire?».
Lupi I tre siciliani (Lala intanto s’era fatto ammazzare dalla mafia), arrestati dopo quattro mesi di indagini, condannati dalla Corte d’Assise di Torino dopo tre giorni di processo (dal 3 al 5 luglio 1946), quando vennero a sapere che anche la Cassazione aveva confermato la pena di morte ulularono come lupi tutta la notte.
Morte Puleo, qualche giorno prima della fucilazione, steso a terra sotto un lenzuolo: «Ho deciso di piangere la mia morte, tanto nessuno lo farà per me».
Lucrezia Dell’Arti