Io Donna, sabato 11 settembre 2010, 5 aprile 2013
Tags : Ingeborg Bachmann
Appunti su Ingeborg Bachmann
Io Donna, sabato 11 settembre 2010
Malati «Per me si trattava di dimostrare che la nostra società è talmente malata che fa diventare malato l’individuo e che l’individuo in questa società, in questo mondo, alla fine si dice che muore, ma questo non è vero perché ognuno di noi alla fine è stato ucciso» (Ingeborg Bachmann sul romanzo Malina, 1971).
Pomate La Bachmann a 47 anni, nella sua casa di Roma: una sera di settembre entra in bagno con la sigaretta accesa, sviene, prende fuoco, alle 5 del mattino si riprende, telefona all’amica Maria Teofili, le chiede di portarle una pomata, resta vigile fino all’arrivo in ospedale poi entra in coma e dopo due settimane muore.
Celan La Bachmann a 23 anni, per le strade di Parigi: ad amoreggiare con Paul Celan.
Studentessa La Bachmann a 36 anni, in un ospedale di Zurigo: abbandonata da Max Frisch, che le ha preferito la studentessa Marianne Oellers, in preda a un esaurimento nervoso, ricoverata. Non riesce a liberarsi dell’alcol e i medici l’hanno resa dipendente dai sonniferi.
Possibilità Ventotto anni, diceva Ingeborg Bachmann, è quell’età di passaggio in cui un uomo finisce di vivere alla giornata e si rende conto che delle mille e una possibilità che la vita sicuramente gli avrebbe offerto, «forse mille sono già sfumate e perdute».
Fiume «La mia vita finisce qui, perché lui è annegato nel fiume durante la deportazione. Era la mia vita. Io l’ho amato più della mia vita» (dedicato a Paul Celan, che non aveva mai superato l’esperienza dei campi di lavoro nazisti, dove aveva visto morire i genitori, e si era poi ammazzato nel 1970 buttandosi nella Senna).
Paura «Sulla paura non c’è da discutere, è l’aggressione, è il terrore, l’attacco massiccio sferrato alla vita» (Ingeborg Bachmann).
Nazisti Il padre, Matthias Bachmann, insegnante a Klagenfurt, nazista della prima ora. La madre, sempre impegnata con il fratellino Heinz, di tredici anni più piccolo.
Giovani «Ho un’avversione difficile da descrivere per i giovani - non per questi in particolare - ed esattamente come mi sarebbe impossibile sedermi con loro allo stesso tavolo, mi risulta impossibile trovarmi insieme a loro in un libro ed essere bollata insieme a una decina di altri come “giovane poetessa”» (Ingeborg Bachmann, allora ventitreenne, rifiutando di partecipare all’antologia di Felmayr della giovane letteratura austriaca).
Figli Ingeborg, che non riusciva «a immaginare un figlio mio perché amavo troppo mio fratello, lo trovavo più bello di tutti gli altri bambini».
Precisi «Alla meticolosamente precisa, il meticolosamente preciso» (dedica di Paul Celan dopo il primo incontro con la Bachmann).
Frisch Max Frisch, nel ’58, ascolta il radiodramma della Bachmann “Il buon Dio di Manhattan” e le scrive per complimentarsi. Lei allora lo va a trovare a Parigi. Invece di entrare in teatro, dove è di scena un’opera di Frisch, restano a parlare fino all’alba seduti accanto ai «macellai insanguinati».
Italiani «Dagli italiani ho imparato qualcosa ma è difficile dire che cosa. Perché da loro si può imparare soltanto dopo avere buttato via ogni idea che ci siamo fatti prima. Non sono le bellezze, né gli alberi di aranci, nemmeno la splendida architettura, ma il modo di vivere. Qui ho imparato a vivere» (Ingeborg Bachmann).
Malati «Per me si trattava di dimostrare che la nostra società è talmente malata che fa diventare malato l’individuo e che l’individuo in questa società, in questo mondo, alla fine si dice che muore, ma questo non è vero perché ognuno di noi alla fine è stato ucciso» (Ingeborg Bachmann sul romanzo Malina, 1971).
Pomate La Bachmann a 47 anni, nella sua casa di Roma: una sera di settembre entra in bagno con la sigaretta accesa, sviene, prende fuoco, alle 5 del mattino si riprende, telefona all’amica Maria Teofili, le chiede di portarle una pomata, resta vigile fino all’arrivo in ospedale poi entra in coma e dopo due settimane muore.
Celan La Bachmann a 23 anni, per le strade di Parigi: ad amoreggiare con Paul Celan.
Studentessa La Bachmann a 36 anni, in un ospedale di Zurigo: abbandonata da Max Frisch, che le ha preferito la studentessa Marianne Oellers, in preda a un esaurimento nervoso, ricoverata. Non riesce a liberarsi dell’alcol e i medici l’hanno resa dipendente dai sonniferi.
Possibilità Ventotto anni, diceva Ingeborg Bachmann, è quell’età di passaggio in cui un uomo finisce di vivere alla giornata e si rende conto che delle mille e una possibilità che la vita sicuramente gli avrebbe offerto, «forse mille sono già sfumate e perdute».
Fiume «La mia vita finisce qui, perché lui è annegato nel fiume durante la deportazione. Era la mia vita. Io l’ho amato più della mia vita» (dedicato a Paul Celan, che non aveva mai superato l’esperienza dei campi di lavoro nazisti, dove aveva visto morire i genitori, e si era poi ammazzato nel 1970 buttandosi nella Senna).
Paura «Sulla paura non c’è da discutere, è l’aggressione, è il terrore, l’attacco massiccio sferrato alla vita» (Ingeborg Bachmann).
Nazisti Il padre, Matthias Bachmann, insegnante a Klagenfurt, nazista della prima ora. La madre, sempre impegnata con il fratellino Heinz, di tredici anni più piccolo.
Giovani «Ho un’avversione difficile da descrivere per i giovani - non per questi in particolare - ed esattamente come mi sarebbe impossibile sedermi con loro allo stesso tavolo, mi risulta impossibile trovarmi insieme a loro in un libro ed essere bollata insieme a una decina di altri come “giovane poetessa”» (Ingeborg Bachmann, allora ventitreenne, rifiutando di partecipare all’antologia di Felmayr della giovane letteratura austriaca).
Figli Ingeborg, che non riusciva «a immaginare un figlio mio perché amavo troppo mio fratello, lo trovavo più bello di tutti gli altri bambini».
Precisi «Alla meticolosamente precisa, il meticolosamente preciso» (dedica di Paul Celan dopo il primo incontro con la Bachmann).
Frisch Max Frisch, nel ’58, ascolta il radiodramma della Bachmann “Il buon Dio di Manhattan” e le scrive per complimentarsi. Lei allora lo va a trovare a Parigi. Invece di entrare in teatro, dove è di scena un’opera di Frisch, restano a parlare fino all’alba seduti accanto ai «macellai insanguinati».
Italiani «Dagli italiani ho imparato qualcosa ma è difficile dire che cosa. Perché da loro si può imparare soltanto dopo avere buttato via ogni idea che ci siamo fatti prima. Non sono le bellezze, né gli alberi di aranci, nemmeno la splendida architettura, ma il modo di vivere. Qui ho imparato a vivere» (Ingeborg Bachmann).
Lucrezia Dell’Arti