Corriere della Sera, venerdì 21 gennaio 2000, 2 aprile 2013
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La verità sui soldi del Psi (articolo del 21/1/2000)
Corriere della Sera, venerdì 21 gennaio 2000
«Ha scritto fino all’ultimo, Bettino. Poche ore prima di morire, ancora scriveva. Decine e decine di pagine, almeno trenta e anche di più. Appunti, disegni, lettere politiche: per esempio una a Oscar Scalfaro, una a Francesco De Martino. E la verità su chi ebbe i fondi del Psi. Mi ha inviato tutto, e altre cose voleva farmi vedere sabato, quando sarei venuto a trovarlo qui ad Hammamet. Un testamento? Lo chiami come vuole, noi un nome l’avevamo già trovato: “Il processo speciale”. Pubblicheremo ogni cosa e quello che lui non ha fatto in tempo a scrivere lo scriverò io». È un fiume che ha rotto gli argini, l’avvocato Giannino Guiso: «Ho conosciuto Craxi nel 1963, sono sempre stato suo amico e da molti anni anche suo legale, come potrebbe non essere così?». Ed è come un’ultima arringa, la sua, in difesa dell’amico e cliente. Gli occhi lucidi, la voce tremante, Guiso preannuncia la tempesta che potrebbe levarsi da quelle carte: «L’ho detto: c’è tutto, lì dentro. I giudici italiani vogliono sapere dove finirono i fondi esteri del Psi? Lo chiedano, lo chiedano pure a Lech Walesa, a Yasser Arafat o ai socialisti cileni, a tutti i movimenti di liberazione che Bettino sostenne. Altro che arricchimenti illeciti di Craxi... I fondi del caso “All Iberian”? Tutti ai palestinesi dell’Olp di Arafat: che fossero 15 o 22 miliardi, lì finirono. Quanto a Solidarnosc, Craxi l’aiutò moltissimo. E se poi mi chiede attraverso quali canali, forse si può pensare ai canali che erano più vicini al sindacato polacco: come il Vaticano». Walesa, Arafat, il Vaticano: l’avvocato ridisegna quegli anni così come Craxi li ha ridisegnati fino all’altro ieri, nelle sue ultime carte: «Dissero che quei fondi esteri avevano danneggiato gli interessi dell’Italia. E allora, senta: se una certa somma anche molto ingente esce da una banca svizzera e viene trasferita su un altro conto al– l’estero, per esempio di un movimento straniero di liberazione, e durante tutto il percorso non passa mai per l’Italia, in che cosa vengono danneggiati gli interessi del nostro Paese? Quanto alla corruzione lasciamo perdere, l’abbiamo ripetuto fin troppe volte: Bettino non incassò mai, ma proprio mai, una lira per sé». Una parte di quei fondi rimase all’estero. Ogni tanto, nelle interviste, qualcuno chiedeva al leader socialista perché non li facesse rientrare in Italia, se non altro come gesto di buona volontà. Lui rispondeva allora, e l’avvocato ripete adesso, che i soldi non erano «nella sua disponibilità» né in quella dei suoi familiari. Ma esistono ancora, quei conti, oltre confine? «Sì – risponde Guiso – e vi è, certo, chi ne ha la disponibilità. Ma non mi chieda chi, non glielo posso dire». Fra le pagine più scottanti del «testamento», c’è anche una lettera di Craxi all’ex presidente della Repubblica ed ex ministro degli Interni del governo che lui presiedette, Scalfaro. Una vecchia lettera? «No, scritta poco tempo fa», risponde Guiso; e lascia capire che in quel foglio, ma anche in un altro documento, vi sarebbero nuovi dati sulla vicenda dei presunti fondi neri dei servizi segreti, fondi che sarebbero affluiti negli anni scorsi al Viminale. Altrettanto scottante l’altra lettera, quella al– l’ex segretario socialista Francesco De Martino che precedette Craxi alla guida del partito: «Bettino fu accusato – ricorda Guiso – di aver incamerato troppi finanziamenti. E fu accusato anche da alcuni dei suoi predecessori e compagni. Ma, ricorda in questa lettera, in quali condizioni si trovava il Psi quando lui ne prese il timone? Era finanziariamente pieno di buchi. Dalla gestione di De Martino, Craxi ricorda di aver ereditato qualcosa come 18 miliardi di debiti, e doveva pur ripianarli. Ecco, si è parlato tanto della vicenda del– l’Ambrosiano, ma perché nessuno si è mai chiesto a che cosa fossero serviti i fondi di quella banca, come Craxi li avesse utilizzati?». Fra le carte riempite ad Hammamet, ci sono anche litografie e disegni, caricature polemiche che Craxi faceva dei suoi avversari, classificati in vari gironi come i «bugiardi», i «becchini», gli «extraterrestri»: «Per esempio c’è uno Scalfaro ritratto con le mani giunte, gli occhi chiusi, il volto ispirato e rivolto al cielo». Ma il nocciolo del «testamento», quello che Craxi sembra avere più a cuore, è un altro. È la rilettura totale che l’ex leader socialista fa di Tangentopoli, senza lasciar fuori nessuno, o quasi: «C’erano su un fronte – dice Guiso – partiti che prendevano fiumi di soldi da una potenza estera, l’Unione Sovietica, che voleva favorire la loro presa del potere. La verità: Stalin e gli altri suoi eredi pagavano i comunisti italiani, perché prendessero il potere. Era giusto, questo, violava o no gli interessi dell’Italia? Cossutta dice che lui questi soldi li prendeva per difendere la libertà, e mi fa ridere. Sul fronte opposto, c’erano partiti obbligati a cercare disperatamente finanziamenti, per tener testa ai potenti mezzi degli altri, salvare la democrazia e mantenere l’Italia nell’Occidente. Questo è stato il caso di Craxi. Ma lui non ha mai chiesto soldi a nessuno. Venivano gli altri, da lui. Tutti, ma proprio tutti, hanno salito le sue scale». Nelle ultime settimane, ricorda l’avvocato, Craxi seguiva con attenzione la vicenda di Helmut Kohl, anch’egli accusato di aver intascato illeciti finanziamenti: «Perché era una storia molto simile alla sua. In Italia, pochi minuti dopo che Bettino è morto, hanno deciso sulla Commissione d’indagine per Tangentopoli. Bene, quella commissione dovrebbe essere europea».
«Ha scritto fino all’ultimo, Bettino. Poche ore prima di morire, ancora scriveva. Decine e decine di pagine, almeno trenta e anche di più. Appunti, disegni, lettere politiche: per esempio una a Oscar Scalfaro, una a Francesco De Martino. E la verità su chi ebbe i fondi del Psi. Mi ha inviato tutto, e altre cose voleva farmi vedere sabato, quando sarei venuto a trovarlo qui ad Hammamet. Un testamento? Lo chiami come vuole, noi un nome l’avevamo già trovato: “Il processo speciale”. Pubblicheremo ogni cosa e quello che lui non ha fatto in tempo a scrivere lo scriverò io». È un fiume che ha rotto gli argini, l’avvocato Giannino Guiso: «Ho conosciuto Craxi nel 1963, sono sempre stato suo amico e da molti anni anche suo legale, come potrebbe non essere così?». Ed è come un’ultima arringa, la sua, in difesa dell’amico e cliente. Gli occhi lucidi, la voce tremante, Guiso preannuncia la tempesta che potrebbe levarsi da quelle carte: «L’ho detto: c’è tutto, lì dentro. I giudici italiani vogliono sapere dove finirono i fondi esteri del Psi? Lo chiedano, lo chiedano pure a Lech Walesa, a Yasser Arafat o ai socialisti cileni, a tutti i movimenti di liberazione che Bettino sostenne. Altro che arricchimenti illeciti di Craxi... I fondi del caso “All Iberian”? Tutti ai palestinesi dell’Olp di Arafat: che fossero 15 o 22 miliardi, lì finirono. Quanto a Solidarnosc, Craxi l’aiutò moltissimo. E se poi mi chiede attraverso quali canali, forse si può pensare ai canali che erano più vicini al sindacato polacco: come il Vaticano». Walesa, Arafat, il Vaticano: l’avvocato ridisegna quegli anni così come Craxi li ha ridisegnati fino all’altro ieri, nelle sue ultime carte: «Dissero che quei fondi esteri avevano danneggiato gli interessi dell’Italia. E allora, senta: se una certa somma anche molto ingente esce da una banca svizzera e viene trasferita su un altro conto al– l’estero, per esempio di un movimento straniero di liberazione, e durante tutto il percorso non passa mai per l’Italia, in che cosa vengono danneggiati gli interessi del nostro Paese? Quanto alla corruzione lasciamo perdere, l’abbiamo ripetuto fin troppe volte: Bettino non incassò mai, ma proprio mai, una lira per sé». Una parte di quei fondi rimase all’estero. Ogni tanto, nelle interviste, qualcuno chiedeva al leader socialista perché non li facesse rientrare in Italia, se non altro come gesto di buona volontà. Lui rispondeva allora, e l’avvocato ripete adesso, che i soldi non erano «nella sua disponibilità» né in quella dei suoi familiari. Ma esistono ancora, quei conti, oltre confine? «Sì – risponde Guiso – e vi è, certo, chi ne ha la disponibilità. Ma non mi chieda chi, non glielo posso dire». Fra le pagine più scottanti del «testamento», c’è anche una lettera di Craxi all’ex presidente della Repubblica ed ex ministro degli Interni del governo che lui presiedette, Scalfaro. Una vecchia lettera? «No, scritta poco tempo fa», risponde Guiso; e lascia capire che in quel foglio, ma anche in un altro documento, vi sarebbero nuovi dati sulla vicenda dei presunti fondi neri dei servizi segreti, fondi che sarebbero affluiti negli anni scorsi al Viminale. Altrettanto scottante l’altra lettera, quella al– l’ex segretario socialista Francesco De Martino che precedette Craxi alla guida del partito: «Bettino fu accusato – ricorda Guiso – di aver incamerato troppi finanziamenti. E fu accusato anche da alcuni dei suoi predecessori e compagni. Ma, ricorda in questa lettera, in quali condizioni si trovava il Psi quando lui ne prese il timone? Era finanziariamente pieno di buchi. Dalla gestione di De Martino, Craxi ricorda di aver ereditato qualcosa come 18 miliardi di debiti, e doveva pur ripianarli. Ecco, si è parlato tanto della vicenda del– l’Ambrosiano, ma perché nessuno si è mai chiesto a che cosa fossero serviti i fondi di quella banca, come Craxi li avesse utilizzati?». Fra le carte riempite ad Hammamet, ci sono anche litografie e disegni, caricature polemiche che Craxi faceva dei suoi avversari, classificati in vari gironi come i «bugiardi», i «becchini», gli «extraterrestri»: «Per esempio c’è uno Scalfaro ritratto con le mani giunte, gli occhi chiusi, il volto ispirato e rivolto al cielo». Ma il nocciolo del «testamento», quello che Craxi sembra avere più a cuore, è un altro. È la rilettura totale che l’ex leader socialista fa di Tangentopoli, senza lasciar fuori nessuno, o quasi: «C’erano su un fronte – dice Guiso – partiti che prendevano fiumi di soldi da una potenza estera, l’Unione Sovietica, che voleva favorire la loro presa del potere. La verità: Stalin e gli altri suoi eredi pagavano i comunisti italiani, perché prendessero il potere. Era giusto, questo, violava o no gli interessi dell’Italia? Cossutta dice che lui questi soldi li prendeva per difendere la libertà, e mi fa ridere. Sul fronte opposto, c’erano partiti obbligati a cercare disperatamente finanziamenti, per tener testa ai potenti mezzi degli altri, salvare la democrazia e mantenere l’Italia nell’Occidente. Questo è stato il caso di Craxi. Ma lui non ha mai chiesto soldi a nessuno. Venivano gli altri, da lui. Tutti, ma proprio tutti, hanno salito le sue scale». Nelle ultime settimane, ricorda l’avvocato, Craxi seguiva con attenzione la vicenda di Helmut Kohl, anch’egli accusato di aver intascato illeciti finanziamenti: «Perché era una storia molto simile alla sua. In Italia, pochi minuti dopo che Bettino è morto, hanno deciso sulla Commissione d’indagine per Tangentopoli. Bene, quella commissione dovrebbe essere europea».
Luigi Offeddu