Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 30 Sabato calendario

La lunga giornata di Napolitano s’è conclusa con una convergenza solo apparente tra le forze politiche

La lunga giornata di Napolitano s’è conclusa con una convergenza solo apparente tra le forze politiche. Tutti si dicono pronti a sostenere le scelte del presidente della Repubblica, ma ciascuno intavola opzioni che non collimano. Ormai fuori dai giochi Bersani — salvo colpi di scena a questo punto improbabilissimi —, il vicesegretario del partito Enrico Letta ha ribadito nella sua lunga dichiarazione dopo il colloquio al Quirinale che «le ampie contrapposizioni rendono non idoneo un governissimo tra le forze tradizionali» anche se «abbiamo espresso fiducia e profonda gratitudine al presidente, a cui non mancherà il nostro sostegno alle decisioni che prenderà». Quindi, da questo lato, niente governo di larghe intese, con ministri di destra e di sinistra seduti intorno allo stesso tavolo. Probabilmente sì, invece, a un governo istituzionale, cioè a un governo guidato da una personalità indiscutibile (Saccomanni? La Cancellieri? Amato?) con ministri al di sopra delle parti. Ma proprio questa ipotesi è negata dal centrodestra, che vuole invece far nascere un governo politico Pd-Pdl-Scelta civica-Lega. «Governo politico», è stato più volte ribadito ieri dallo stesso Berlusconi, con uomini politici a far da ministri e con un programma concordato tra destra e sinistra. Maroni ha detto ai giornalisti: «Non abbiamo appoggiato il governo Monti, figuratevi se ci mettiamo ad appoggiare un altro governo tecnico». Dopo la dichiarazione di Letta, è arrivata una nota di Alfano: «Mai e in nessun caso il capo dello Stato, nei colloqui con noi, ha preso in considerazione ipotesi di cosiddetti “governi del presidente” o “istituzionali” o “tecnici”, che avrebbero visto comunque la contrarietà non solo nostra, ma della enorme maggioranza degli italiani, dopo la fallimentare esperienza di Monti». E però, anche qui, «ci rimettiamo con fiducia alle valutazioni del presidente Napolitano».

Che cosa potrà mai inventare Napolitano per mettere tutti d’accordo?
Gli amici di Bersani insistono a questo punto sul governo istituzionale. E cioè un presidente del consiglio, dei ministri e un programma che non impegnino preventivamente nessuno e che ciascuna forza politica possa votare o non votare a piacimento. Questo eviterebbe, dicono costoro, qualunque commistione. Ma i berlusconiani non la intendono per nulla così, e sono talmente decisi nella richiesta di un governo politico che ieri a Napolitano, dopo aver dichiarato che non esiste nessuna richiesta di scambio col Quirinale, hanno dato il via libera persino a un ministero guidato da Bersani, purché formato dalle quattro le forze politiche disponibili. Anche i montiani, infatti, sono pronti a supportare le scelte del Presidente, mentre i grillini hanno ribadito che o si fa fare il governo a loro oppure voteranno contro chiunque. Si parla infatti con insistenza della possibilità che Napolitano stamattina risolva il problema dimettendosi.  

Sarebbe una soluzione?
Forse sì. Si guadagnerebbero 15 giorni sui tempi di convocazione dell’assemblea (deputati+senatori+tre membri per regione). Il nuovo presidente potrebbe sciogliere il Parlamento e chiamare il popolo alle urne. Si voterebbe il 30 giugno e il 1° luglio come vogliono Berlusconi e Bersani.  

Me che sugo ci sarebbe? Si riprodurrebbe la stessa situazione di adesso, con il Senato ingovernabile chiunque vinca alla Camera.
Il presidente della Repubblica potrebbe nominare un presidente del Consiglio, imporgli di fare il governo prima di martedì (riapertura dei mercati) e nello stesso tempo dimettersi. Il nuovo governo andrebbe alle camere, sarebbe magari battuto, ma avrebbe in ogni caso l’autorità per predisporre una riforma elettorale capace di evitare nuovi pareggi. Magari in questo quadro Napolitano sarebbe anche pronto a farsi rieleggere, con l’intesa che lascerebbe tra un anno o due, o magari già il prossimo autunno, a situazione decantata.  

Perché allora non continuare con Monti?
Monti, con le mosse delle ultime settimane e il disastro marò, ha perso ogni credibilità. Il nuovo presidente del Consiglio — dimissionario o no — avrebbe quel minimo di autorità che serve per trattare con l’Europa. Bisogna rinegoziare le condizioni con cui stiamo nell’Eurozona, in modo che i vincoli siano allentati e si possa intanto ripartire con un po’ di domanda pubblica (sperando che la soluzione sia questa). Ieri Jim O’Neill, presidente di Goldman Sachs Asset Management, ha rilasciato questa dichiarazione: «La storia più interessante in questo momento non è Cipro, è il fattore Grillo in Italia. Non capisco come i tipi duri del Nord non ci stiano pensando. Gli italiani cominceranno a chiedersi quali siano i benefici della permanenza nell’euro. Cosa sta facendo l’Ue per affrontare questo problema?».  

Grillo ha detto che il Parlamento può votare in un giorno il ritorno al Mattarellum e la morte del Porcellum.
Certo, può farlo. Ma per negoziare con l’Europa ci vuole un governo.