25 marzo 2013
Tags : Meredith, Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Amanda Knox
• Seattle (Stati Uniti) 9 luglio 1987. Studentessa. È arrestata il 6 novembre 2007 per l’omicidio di Meredith Kercher (Perugia 1 novembre 2007). Con lei coinvolto anche il fidanzato di allora Raffaele Sollecito. Il 4 dicembre 2009 è condannata a 26 anni, il 3 ottobre 2011 è assolta in appello. La sentenza è letta dal presidente della Corte Claudio Pratillo Hellmann («per non aver commesso il fatto»). Ha avuto tre anni per aver calunniato Patrick Lumumba accusandolo di omicidio, già scontati. Il 26 marzo 2013 la Cassazione annulla le sentenze di assoluzione del grado di giudizio precedente e dispone il rinvio a un nuovo processo davanti alla Corte d’assise d’appello di Firenze. Il 30 gennaio 2014 quest’ultima rovescia il precedente giudizio di secondo grado, afferma la colpevolezza dei due imputati e condanna Amanda Knox a 26 anni e 6 mesi di reclusione e Raffaele Sollecito a 25 anni. È atteso un nuovo ricorso in Cassazione.
• Figlia di genitori divorziati, la madre, Edda Mellas, è un’insegnante di matematica; il padre, Curt Knox, vicepresidente della finanza presso Macy’s. Ha due sorelle più giovani, Deanna and Ashley.
• Gioca a calcio ed è soprannominata “Foxy Knoxy”.
• Frequenta l’università di Washington per laurearsi in Lingue. Nel 2007, per imparare l’italiano, si trasferisce all’università degli Stranieri di Perugia. Qui divide l’appartamento con Meredith Kercher, studentessa londinese, e due ragazze italiane.
• «Da una parte la studentessa che, a Seattle, consegue bei voti lasciando un ottimo ricordo negli insegnanti, pratica tanti sport, soprattutto football e arrampicate su roccia, dalla morale ineccepibile grazie all’educazione impartitale dai padri gesuiti presso i quali è andata a scuola. Dall’altra, la ragazza spregiudicata, in competizione con la madre, che, appena arrivata a Perugia, ha un rapporto sessuale su di un treno con un ragazzo, tale Federico, conosciuto da poco, e che sul suo blog posta un racconto in cui descrive lo stupro a una donna. È il ritratto di Amanda Knox secondo il quotidiano inglese Daily Mail [...] “Amanda rimase sconvolta quando sua madre Edda, a 39 anni, sposò, in seconde nozze, un ragazzo di 27. A ferirla erano i pettegolezzi che sentiva nel sobborgo di Seattle dove abita la sua famiglia. Da allora Amanda ha sviluppato un’incapacità di avere amicizie femminili diventando molto gelosa di sua mamma”. Ai party universitari è spesso ubriaca e cambia ragazzo in continuazione “per emergere dall’ombra della madre”. Philip Setran, un suo amico dall’infanzia, afferma che “non ha mai avuto vere amicizie femminili, ha sempre e solo frequentato ragazzi”. Quando arriva all’università di Perugia, Amanda si fa subito notare per il suo comportamento sopra le righe. Un compagno di corso dice al Daily Mail: “Sembrava che per lei il massimo del divertimento fosse dar fastidio alle altre ragazze. È una tipa a cui piace parlare molto e ridere dei suoi stessi scherzi”. I giornalisti inglesi hanno rintracciato un altro ex della breve esperienza perugina di Amanda, Daniele Di Luna, un ragazzo di Roma: “Abbiamo fatto sesso una notte, l’avevo appena conosciuta”. Ma non ha voluto aggiungere altro» (Corriere della Sera 12/11/2007).
• «Era in prima fila, nella classe del corso avanzato di lingua italiana. In prima fila come sempre, anche in quel lunedì 5 novembre. La professoressa dice agli alunni (sono ventisette, arrivano da mezzo mondo) di scrivere una lettera. “A chi volete”, precisa. Amanda Marie Knox [...] scrive alla mamma che sta a Seattle, in America. La sua amica – o forse è meglio dire coinquilina – l’inglese Meredith è stata uccisa da quattro giorni. “Cara mamma – scrive Amanda – sono sconvolta. Non posso pensare che a questo. Mi sento nervosa”. Non c’è il nome di Meredith, nella lettera. Amanda vuole solo fare conoscere il suo stato d’animo. Non parla della ragazza uccisa, solo delle proprie emozioni. “Cara mamma, quello che è successo è tutto un mistero”. I banchi di legno sono antichi, degradanti verso la cattedra e la lavagna. “Quando ho dato quel compito – ha raccontato una professoressa agli inquirenti – sapevo che Amanda abitava con la ragazza che era stata appena uccisa. Me l’aveva detto lei. Ma non sapevo certo che fosse sospettata”. Il giorno dopo, martedì 6 novembre, Amanda non si presenta in classe. Cominciano a circolare le prime voci, poi arriva la conferma: la ragazza è stata arrestata con l’accusa di omicidio. “Come faccio spesso, avevo letto la lettera di Amanda e di altri studenti a tutta la classe. Alcune di quelle frasi, “non posso pensare che a questo”, “mi sento nervosa”, “è tutto un mistero” hanno choccato gli altri allievi, perché tutti hanno pensato a ciò che era avvenuto nella casa di Amanda. Ed è per questo che ho preso la decisione di consegnare la lettera alla polizia”. Sono circolate voci, su questa lettera. Si sussurrava che, il giorno prima dell’arresto, Amanda avesse scritto che il dj Patrick Lumumba (da lei indicato come assassino) fosse totalmente estraneo alla vicenda. Si diceva che ci fossero riferimenti precisi ai responsabili del delitto. “Nulla di tutto questo”, ha sottolineato la professoressa. “Nella lettera non c’è il nome di Amanda e tanto meno quello dei suoi assassini. L’abbiamo consegnata alla polizia solo per un motivo: i periti, gli psicologi o altre figure professionali potranno analizzare ogni parola per comprendere le ragioni profonde dello scritto e magari trovare tracce che noi non riusciamo a vedere. E anche noi ci interrogheremo per capire chi fosse davvero questa ragazza”. Amanda, all’università degli stranieri, piaceva a tutti. “Uno studente non si mette in prima fila per caso, e Amanda lo faceva sempre. Sembrava una ragazza carina e pulita. Parlava di Seattle, la sua città, che è gemellata proprio con Perugia. Aveva promesso di fare un lavoro sulla sua città, per parlare della storia e delle sue attrattive. Ma purtroppo non è riuscita a consegnarmelo. Ricordo un’altra caratteristica della ragazza: era sempre puntuale, alle 9 del mattino era lì prima di tutti. E sapevamo che lavorava fino a tardi, come pierre nel pub di Patrick. Dava lezione di chitarra a una ragazza del Kazakistan ed anche in questa attività era sempre puntuale, alle sette di sera”. Nella lettera di due pagine, oltre all’angoscia “per ciò che è successo”, Amanda parla alla mamma anche delle cose di tutti i giorni. “Spero che quando mi verrai a trovare potremo andare assieme a comprare i vestiti nuovi”. “Anche in quel giorno angoscioso – dice la professoressa – Amanda si proiettava verso il futuro. ‘La mia storia non è finita’, ha scritto verso la fine della lettera, e questa frase dovrà essere interpretata dagli psicologi. A noi, nel momento in cui ha consegnato il compito, ha detto che la lingua italiana le piaceva proprio, che aveva già imparato tanto e che era contenta perché erano previste tante altre lezioni. Una ragazza carina e pulita, ma purtroppo sappiamo che dietro le facciate si possono trovare sorprese che fanno star male”» (Jenner Meletti, la Repubblica 14/11/2007).
• «“Quella sera mi pare che sono stata a casa di Raffaele e credo che abbiamo cenato verso le 11. Dopo cena ho notato sangue sulla mano di Raffaele, ma ho avuto l’impressione che il sangue fosse proveniente dal pesce”. Amanda Knox scrive il suo memoriale il 6 novembre mentre aspetta di essere trasferita in carcere. Il racconto è confuso, ma sembra avere uno scopo preciso: alimentare i sospetti sul suo fidanzato. Perché quello che emerge leggendo le dichiarazioni della ragazza statunitense accusata insieme allo stesso Raffaele Sollecito e Rudy Hermann Guede di aver violentato e ucciso Meredith Kercher, è la volontà di indirizzare le indagini verso altre persone. Poco prima ha accusato Patrick Lumumba di essere l’assassino, ha detto di non ricordare se Raffaele fosse presente, ha giurato di trovarsi in un’altra stanza. Adesso, però, chiede carta e penna e dà una nuova versione. Comincia tutto alle 23 del 5 novembre, Amanda è in questura per un nuovo interrogatorio. La polizia ha scoperto uno scambio di sms con Lumumba. Lei, seduta su una panca accanto a un’agente, parla subito di “tutti gli uomini che sicuramente conoscevano Meredith”. Indica “le strade dove abitano disegnando strade e punti di riferimento sul suo quadernone, nonché le utenze cellulari”. Una lista precisa che, si scoprirà soltanto in seguito, comprende anche persone che la stessa Amanda trascinerà poi nell’inchiesta: “Peter, uno svizzero che frequentava certamente Meredith e più volte è venuto a casa nostra; Patrick, il proprietario del pub ‘Le Chic’ dove lavoro, sicuramente la conosceva, io non so però dove abita; Ardak, un nordafricano; Yuve, un algerino che saltuariamente lavora a ‘Le Chic’; Spyros, un greco di cui ho soltanto il cellulare; Shaky, un marocchino che lavora in una pizzeria e frequenta le discoteche e i pub dove andiamo”. Descrive Rudy senza nominarlo: “C’è un ragazzo di colore, basso, che gioca a basket nel campo di piazza Grimana, che una volta è venuto a casa dei ragazzi che abitano sotto di noi e quella volta c’era anche Meredith”. Poi si concentra sul suo fidanzato: “So, perché me lo ha confidato lui, che in passato faceva anche uso di cocaina e acidi... Raffaele ha problemi di depressione e tristezza”. Nell’interrogatorio Amanda racconta di essere stata nella casa del delitto. Accusa Patrick. Il magistrato ordina i fermi. È l’alba. Qualche ora più tardi, la ragazza scrive le quattro pagine “che tutti i poliziotti devono leggere”. “È dopo tutte le ore di confusione che sono venute fuori le risposte. Quella sera sono stata a casa di Raffaele Sollecito, ma non ricordo... forse ho fatto l’amore con lui... Ho fumato della marijuana con lui e potrei essermi addormentata. Una cosa che ricordo è che ho fatto la doccia con Raffaele, e questo potrebbe spiegare come abbiamo trascorso il tempo. In realtà non ricordo esattamente che giorno fosse, ma ricordo che abbiamo fatto la doccia e ci siamo lavati per parecchio tempo. Lui mi ha pulito le orecchie, mi ha asciugato e spazzolato i capelli”. Poi smentisce quello che ha appena affermato davanti al pubblico ministero e cioè di aver portato Patrick da Meredith: “Ho ricevuto un suo sms. Mi diceva che non era necessario che andassi a lavorare quella sera perché non c’era nessuno. Adesso ricordo anche di avergli risposto ‘Ci vediamo. Buona serata!’, e questo per me non significa che lo avrei incontrato immediatamente”. Parla del sangue sulla mano di Raffaele. Poi continua: “Ho seri dubbi sulla verità delle mie dichiarazioni perché rese sotto pressione di stress, choc e perché ero esausta. Mi era stato detto che sarei stata arrestata e messa in prigione per trent’anni. Quando non ricordavo le cose sono stata colpita in testa, ma capisco lo stress della polizia... Ho avuto un flash e vedo Patrick in immagini confuse. L’ho visto vicino al campetto di basket, vicino alla porta di casa. Mi sono vista rannicchiata in cucina perché nella mia testa ho sentito Meredith gridare. Le cose mi sembrano irreali come in un sogno. Non so se è successo o se è un sogno... Non ho mai chiesto a Raffaele di mentire per me. So che Raffaele ha fornito prove contro di me, affermando che sono uscita da casa sua la notte dell’omicidio. Non penso che Raffaele ha ucciso Meredith, ma penso che sia spaventato come me. E adesso tenta una via d’uscita prendendo le distanze da me... Voglio che sia molto chiaro che quegli avvenimenti mi sembrano più irreali di quanto ho dichiarato prima e cioè che io stavo a casa di Raffaele”. Poi lei stessa riconosce che il suo racconto non regge: “Tutto quello che ho detto sul mio coinvolgimento nella morte di Meredith, sebbene contrastante, è la migliore verità che sono stata in grado di pensare. Mettetela così: voi pensate che quello che io credo sia accaduto... C’è una cosa che dentro di me penso sia vera, ma c’è un’altra possibilità che potrebbe essere vera. Onestamente non so quale sia quella giusta”. Sembra un delirio. “Io so di non aver ucciso Meredith. Nei flash vedo Patrick come l’assassino, ma il modo in cui la verità appare nella mia mente non c’è nessun modo di appurarla, perché non ricordo con certezza se c’ero. Io chiedo: chi è il vero assassino perché credo che potrei essere usata come testimone che condanna. Perché Raffaele ha mentito (oppure, per voi) Raffaele ha mentito? Perché penso a Patrick? È affidabile la prova che io mi trovavo a quell’ora nel luogo del crimine? Ci sono prove che condannano Patrick o un’altra persona?... Vi prego, non prendetevela con me, sto facendo del mio meglio. Se vi sembra che nel mio racconto ci sono parti che non hanno senso, chiedete. Credetemi, anche se capisco i motivi per cui non lo fate”. Il giorno dopo Amanda torna a casa “a farmi la doccia, non ho pensato che qualcuno fosse stato ucciso”. Lo scrive dopo aver confessato di essere stata nella villetta al momento dell’omicidio. Forse è proprio per crearsi l’’alibi che quella mattina aveva chiamato più volte Meredith al cellulare. Lo racconta alla polizia Alessandro Biscarini. Nel giardino della sua casa sono stati buttati i telefonini della vittima. “Alle 11,45-12 il secondo cellulare ha squillato più volte, sia in giardino sia in casa. Mentre squillava ho guardato il display e ho visto apparire il nome Amanda”» (Alessandro Capponi Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 22/11/2007).
• «Da mattina a sera. A volte anche oltre, quando le luci del carcere si spengono ed arriva il momento di rispettare un rigoroso silenzio. Amanda Knox, rinchiusa nella sua cella non vuole sapere di smettere di cantare. Nella sua personale hit parade tra i preferiti risuona come un disco rotto Let it be, uno dei brani più famosi dei Beatles. […] Da quando è uscita dall’isolamento partecipa tutti i sabati alla messa officiata da uno dei cappellani del carcere. Sin dai primi giorni ha chiesto di avere due cose da tenere con sé in cella: la Bibbia e la sua chitarra» (Caterina Proietti, il Giornale 11/2/2008).
• «È difficile immaginarla come una fredda assassina quando varca la soglia del Tribunale accompagnata da due guardie penitenziarie. Difficile credere che abbia ucciso l’amica per pochi soldi, e chissà quali contrasti. Eppure la procura dice che è lei, Amanda Knox, quella che ha organizzato tutto. [...] Erano così diverse lei e Mez. Si erano conosciute rispondendo a un annuncio per una camera in affitto, avevano culture e abitudini opposte, ma per un po’ – gli amici dicono – sono andate d’accordo. [...]» (C.Man., Il Messaggero 17/9/2008).
• Mentre è in carcere tiene un diario, My prison («I’m writing this because I want to remember…»).
• La mattina prima dell’udienza indossa una maglietta bianca a cuoricini neri. L’avvocatessa Giulia Bongiorno, suo difensore, la definisce «l’Amelie di Seattle», ingenua e infantile (Cinzia Leone, Il Riformista 1/12/2009).
• Il 3 ottobre 2011, alle ore 21:43, la Corte di assise di appello di Perugia, presieduta da Claudio Pratillo Hellmann, dopo aver disposto la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato Amanda Knox a 3 anni di reclusione per il reato di calunnia, già scontati dall’imputata, ma ha assolto con la formula di non aver commesso il fatto entrambi gli imputati dalle accuse di omicidio e di violenza sessuale, e per insussistenza del fatto dall’accusa di simulazione di reato, e ne ha ordinato conseguentemente la scarcerazione immediata. I due hanno lasciato le case di reclusione prima della mezzanotte, mentre nella piazza Matteotti, di fronte all’uscita dell’aula d’udienza si scatenava un’aspra protesta contro la sentenza e contro gli stessi difensori degli imputati. Amanda Knox ha lasciato l’Italia diretta a Seattle il 4 ottobre 2011 alle ore 11:45 facendo scalo proprio nel Regno Unito, nella sala riservata alle alte personalità, per motivi di sicurezza, dell’aeroporto internazionale di Heathrow. [Wikipedia]
• Il 26 marzo 2013 la prima sezione penale della Corte di cassazione annullò le sentenze di assoluzione del secondo grado di giudizio e respinse il ricorso della Knox contro la condanna per calunnia, che divenne definitiva.
• Il 30 aprile 2013, per HarperCollins, il suo libro confessione Waiting to be heard (In attesa di essere ascoltata). Per la pubblicazione pare abbia ricevuto 4 milioni di dollari circa.
• Il 30 gennaio 2014, al processo bis, la Corte d’assise d’appello di Firenze, dopo quasi dodici ore di camera di consiglio, ribaltò la vecchia sentenza di secondo grado e affermò la colpevolezza dei due imputati, condannando Amanda Knox a 26 anni e 6 mesi di reclusione e Raffaele Sollecito a 25. Nessuna misura restrittiva in carcere in attesa del nuovo ricorso in Cassazione, ma divieto di espatrio e ritiro del passaporto per Sollecito. «Secondo la ricostruzione della Corte d’appello di Firenze, Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Rudi Guede “collaborarono tutti per il fine che si erano proposti: immobilizzare Meredith e usarle violenza”. Guede era animato dall’“istinto sessuale”, Amanda e Sollecito da “volontà di prevaricazione e di umiliazione di Meredith” che poi fu accoltellata. “Ad un certo punto della sera gli eventi precipitarono – scrivono i giudici – la ragazza inglese venne aggredita da Amanda Marie Knox, da Raffaele Sollecito, il quale spalleggiava la propria ragazza, e da Rudy Hermann Guede, e costretta all’interno della propria camera ove avvennero le fasi finali dell’aggressione e dell’accoltellamento”. La Corte ritiene che “l’arma che produsse la ferita nella parte destra del collo fosse impugnata da Raffaele Sollecito e l’altra lama – si legge ancora nelle motivazioni – quella che produsse la ferita estesa sulla parte sinistra del collo (...) e che provocò la morte di Meredith Kercher sia stata da impugnata da Amanda Marie Knox. Si tratta del coltello sequestrato all’interno dell’abitazione di Raffaele Sollecito” (…) Per quanto riguarda il movente dell’omicidio, la sera dell’omicidio in casa vi fu un litigio fra Amanda e la studentessa inglese con una “progressiva aggressività” all’interno della quale si può collocare la violenza sessuale di Guede su Meredith, ma “non è credibile che fra i quattro ragazzi fosse iniziata un’attività sessuale di gruppo”. Secondo i giudici la sera dell’omicidio, una “situazione di apparente normalità potrebbe essere stata rotta dall’accendersi della discussione” tra Meredith e Amanda “che si inserì in un contesto in cui sia per le condizioni psicofisiche degli imputati” – che si erano “raccolti in intimità, facendo anche uso di stupefacente” – sia per il livello di esasperazione cui era giunta la convivenza fra le ragazze, si ebbe una progressione di aggressività, all’interno della quale può collocarsi la condotta di violenza sessuale. Secondo la corte la violenza corrispose, per quanto attiene a Rudy Hermann Guede, alla “soddisfazione di un proprio istinto sessuale maturato in tale contesto”, mentre, per quanto attiene ad Amanda e Raffaele “in una volontà di prevaricazione e di umiliazione nei confronti della ragazza inglese”. “La volontà omicida degli aggressori risulta palese”. È scritto ancora nelle motivazioni della sentenza. Una volta che Meredith era stata colpita e che “si era portata l’aggressione alla sfera sessuale, di fronte alla resistenza della ragazza lasciarla in vita avrebbe costituito per gli aggressori la certezza della punizione. A un certo punto dell’aggressione si era andati troppo oltre, Meredith doveva essere messa in condizione di non denunciare l’aggressione subita”» (Cds 29/4/2014).