Rassegna, 22 marzo 2013
La carriera di Mennea
• L’esplosione di Mennea, dopo il sesto posto nei 200 e il bronzo nella 4x100 agli Europei di Helsinki a 19 anni, avviene a Milano nel giugno 1972: all’Arena corre i 100 in 10’’ e i 200 in 20’’2. Due record europei eguagliati. Mennea non si ferma più. Ai Giochi di Monaco, dove nasce la stella di Sara Simeoni, vince il bronzo nei 200, alle spalle di Borzov e Black, e ha solo vent’anni. Nel 1973, rischia di doversi fermare per la pubalgia, ma le cure del prof. Boni a Pavia gli consentono di guarire e di ripartire ancora più forte. Il 1974 è l’anno dell’oro europeo nei 200 a Roma, dove vince anche l’argento nei 100 e nella 4x100, e nel 1975 si mette alle spalle il mito di Borzov, perché lo batte in Coppa Europa a Nizza nei 200. Ma non si accontenta mai; è convinto di non essere pronto per i Giochi di Montreal 1976 e vuole rinunciare. Lo spingono a correre, arriva quarto, ma come ha spiegato Vittori «avrebbe dovuto vincere l’oro, perché una settimana dopo, a Viareggio, aveva corso in un tempo inferiore a quello di Quarrie, il campione olimpico». Batte il giamaicano a Milano, il 2 luglio del 1977 (20’’11), in un’Arena strapiena di gente. Come ricordava Giorgio Tosatti, «Mennea e la Simeoni erano gli unici casi in cui l’atletica faceva lievitare le copie», perché il rettilineo di Mennea, nei 200, è come un gol che dura 10’’, fra spettatori impazziti. Il 1978 è l’anno dei tre ori europei: quello dei 400 al coperto a Milano; quelli dei 100 e dei 200 a Praga, quando corre 10 volte in sei giorni. Proseguono i suoi duelli dialettici con Primo Nebiolo, il presidente, perché Mennea è un super-professionista che non può vivere di sola passione. Il 12 settembre 1979, a Città del Messico, diventa l’uomo più veloce del mondo: il record dei 200, 19’’72, resiste fino al 1996 (Michael Johnson). Un momento di rara e infinita felicità, persino superiore al suo capolavoro, quello dell’oro olimpico di Mosca (28 luglio 1980). Otto mesi dopo annuncia il suo ritiro dalle corse. [Ormezzano, Sta]
• «Ai blocchi di partenza, Pietro Mennea sembrava avesse due patate in bocca, le guance gonfiate dall’aria che masticava nervosamente, dalla tensione, pallido, serio, emotivo come non deve mai essere un atleta. Aveva un fisico pressoché insignificante, gracile, bruttino, concitato nella corsa. Il suo vero avversario, il russo, anzi il sovietico Valerij Borzov, era un’altra cosa: la perfezione di un torello con due gambe così. Figurarsi che cosa poteva essere, al confronto, il giamaicano Don Quarrie, una statua di bronzo con i baffi e i basettoni neri. Impossibile, poi, paragonarlo ai Johnson o ai Bolt. Sarebbe come mettere a fianco un micio domestico e due pantere. Com’è potuto succedere che un micetto domestico cresciuto in una strada di Barletta diventasse una pantera olimpionica non è un mistero. Ostinazione, rabbia da “terrone”, un carico di lavoro spaventoso, più di tutti gli altri atleti messi insieme, per sconfiggere gli appuntamenti mancati con il destino, gli infortuni, le sconfitte». [Di Stefano, Cds]