17 marzo 2013
Tags : Francesco I - Jorge Mario Bergoglio
La versione di Jalics
• La versione di Franz Jalics, uno dei due sacerdoti torturati: «Vivevo a Buenos Aires dal 1957. Nel 1974, mosso dal desiderio interiore di vivere il Vangelo e di attirare l’attenzione sulla terribile povertà, e con il permesso dell’arcivescovo Aramburu e dell’allora Provinciale padre Jorge Mario Bergoglio, andai insieme a un confratello ad abitare in una favela, uno dei quartieri più poveri della città. Pur vivendo là, continuammo a svolgere la nostra attività didattica all’Università.
Correvano allora in Argentina anni in cui la situazione era simile a una guerra civile. In quel periodo, più precisamente nell’arco di due anni, circa trentamila persone – guerriglieri di sinistra come anche civili innocenti – furono assassinati dalla giunta militare. Noi due, io e il mio confratello, vivendo in quel quartiere poverissimo, non avemmo mai contatti né con la giunta né con la guerriglia. Ciò nonostante, in quella situazione di allora, segnata dalla mancanza d’informazioni, e anche a causa di informazioni false diffuse ad arte, la nostra situazione divenne una situazione fraintesa, anche all’interno della Chiesa. Fu in quel periodo che perdemmo ogni contatto con uno dei nostri collaboratori laici: quella persona si era unita alla guerriglia.
In seguito, nove mesi più tardi, egli fu catturato dai soldati della giunta e sottoposto a interrogatori. Fu allora che i militari appresero che in passato quella persona era stata in contatto con noi. Così supposero che anche noi avessimo a che fare con la guerriglia, e fummo entrambi arrestati. Trascorremmo cinque giorni sotto interrogatorio. Dopo quei cinque giorni, l’ufficiale che aveva guidato i nostri interrogatori venne a dirci che voleva congedarsi da noi. Ce lo disse con queste parole: «Padri, voi non avete alcuna colpa. Io mi prenderò cura in persona della situazione, farò sì che possiate tornare ad abitare nel quartiere povero dove avevate scelto di vivere».
Eppure, malgrado questa promessa, non fummo liberati. Per ragioni che ci apparvero inspiegabili, fummo trattenuti in stato di detenzione per cinque mesi. Cinque mesi trascorsi ammanettati e con gli occhi bendati. Io non sono in grado di prendere alcuna posizione sul ruolo di Padre Bergoglio in questa situazione che vivemmo. Dopo che ci rimisero in libertà, al termine di quei cinque mesi, io lasciai l’Argentina. Solo quattro mesi più tardi avemmo la possibilità di parlare di quanto ci era accaduto con Padre Bergoglio, il quale nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires. In seguito celebrammo la messa insieme con lui e ci abbracciammo calorosamente. Adesso io mi sono rappacificato con quegli eventi, e da parte mia li considero chiusi. Auguro a Papa Francesco la benedizione di Dio nell’esercizio del suo mandato. [la Repubblica 17/3/2013]
• Nel 1976 Bergoglio scrisse al fratello di Jalics: «Ho intrapreso molte iniziative presso il governo affinché Suo fratello sia liberato. Finora non abbiamo avuto successo, ma non ho perso la speranza che venga presto rilasciato. Gli voglio bene e farò tutto quello che posso affinché venga liberato [...] Ho fatto di questa vicenda una MIA faccenda, le difficoltà sulla vita religiosa che io e Suo fratello abbiamo avuto non hanno nulla a che fare con ciò». La Stampa: «Jalics era convinto che Bergoglio l’avesse tradito perché in disaccordo col suo lavoro nei quartieri poveri. La famiglia di Jalics non ha prove che supportino le accuse contro Bergoglio. A fine anni Ottanta c’era stato un incontro tra Jalics e Bergoglio. Il gesuita ha poi raccontato che Bergoglio s’è scusato. Jalics ha infine bruciato i documenti di quel periodo». [Ale. Alv.m La Stampa 17/3/2013]
• «Se non ci fosse stato Bergoglio a capo della congregazione, le difficoltà sarebbero state molto più grandi» Così l’ex ministro per il culto argentino Angel Miguel Centeno al quotidiano La Nacion qualche anno fa. [Luigi Geninazzi e Filippo Rizzi, Avvenire 14/3/2013]