Fior da fiore, 17 marzo 2013
Le Camere a Grasso e Boldrini • Grillo scomunica i franchi tiratori • Ritratto di Laura Boldrini, dall’Onu a Montecitorio • Perché Bergoglio ha scelto di chiamarsi Francesco • Pesce ecologicamente corretto • Gli italiani del cibo «fai da te» • Le fragole della Merkel
Eletti Eletti i presidenti delle Camere, entrambi candidati del centrosinistra: alla Camera la paladina dei diritti umani Laura Boldrini (funzionaria dell’Unhcr impegnata sul fronte dei rifugiati, candidata nelle liste di Sel), al Senato l’ex procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso (che l’altro ieri ha presentato un disegno di legge anticorruzione ispirato da don Ciotti), votato anche da 12 senatori di Grillo nonostante l’ordine di Vito Crimi, e si suppone l’ordine di Beppe Grillo e Casaleggio — Crimi è stato per venti minuti filati al cellulare — fosse quello di votare «scheda bianca». [Sull’argomento leggi anche il Fatto del giorno]
Divisi Al Senato, i grillini divisi tra chi insiste sul candidato di bandiera, il venezuelano Luis Alberto Orellana, chi vota scheda bianca, chi cede agli appelli del web a sostenere Grasso «pur di non avere più Schifani come seconda carica dello Stato».
Traditori Quando il senatore a vita Emilio Colombo ha letto i numeri della votazione e s’è intuito che l’elezione era avvenuta anche grazie al voto di alcuni senatori del M5S, toni sprezzanti dei militanti su Facebook e Twitter: «Venduti alla prima occasione!». «Vergogna!». E insulti, a Grillo, sul suo blog. Lui, alle 23,03, ha risposto con un messaggio in cui invitava i traditori a dimettersi: «Nel codice di comportamento del M5S al punto "trasparenza" è scritto: votazioni in Aula decise a maggioranza dai parlamentari. Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo, spero ne tragga le dovute conseguenze» (Fabrizio Roncone, Cds).
Boldrini 1 Laura Boldrini, nata a Matelica, antico borgo collinare in provincia di Macerata, figlia di un’insegnante d’arte poi diventata antiquaria e di un avvocato che amava «la campagna e la musica classica» e spesso si esprimeva a tavola in latino e in greco. Cresciuta nella parrocchia di San Filippo, molto legata a Don Attilio, un prete attentissimo agli ultimi («Ho imparato lì la vita nel gruppo, l’amore per la natura, il rispetto dei più deboli, lo spirito del servizio»), presa la maturità, contro il volere del padre si preparò uno zaino e partì per il Venezuela, “a lavorare in una "finca de arroz", un’azienda di riso a Calabozo”. «La misero in ufficio, “ma io volevo conoscere la vita nei campi: rimasi lì tre mesi, abbastanza per capire come vivono i contadini in quella parte del mondo, li vedevo lavorare duramente per otto ore, poi la sera andavano nei bar a spendere i soldi che avevano guadagnato di giorno”. Tre mesi dopo, partiva in autobus, tra campesinos, maiali e galline, per un lungo viaggio verso Nord: Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, poi Messico e Stati Uniti, fino a New York. Rientrata in Italia, si iscrisse a Giurisprudenza alla Sapienza, a Roma: “Sei mesi a studiare come una pazza e dare esami, gli altri sei a viaggiare”. La prese, come voleva il padre (“non mi parlò per otto anni”) quella laurea in Legge: 110, con una tesi sul diritto di cronaca. Mentre studiava, lavorava all’Agenzia italiana stampa e migrazione [...]». (Gian Antonio Stella, Cds)
Boldrini 2 «Entrata come giornalista alla Rai, mollò tutto nell’89, quando aveva 28 anni, vincendo un concorso dell’Onu per Junior Professional Officer: “Ho lavorato cinque anni alla Fao, poi il capo ufficio stampa del Pam, il Programma alimentare mondiale, mi chiamò per chiedermi se conoscevo qualcuno che curasse i rapporti con la stampa italiana e mi proposi”. Era sposata, allora. E incinta: “Stavo aspettando mia figlia, Anastasia, mi ricordo che mi presentai al colloquio con la pancia». Nel febbraio del 1998, la destinazione definitiva: portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. “Uno degli organismi che non contano un fico secco, finché la stampa non decide che conta”, avrebbe ironizzato anni dopo Ignazio La Russa. Non sopportava, l’allora ministro della Difesa, la passione con cui Boldrini attaccava la scelta italiana dei respingimenti (ci scrisse anche un libro: Tutti indietro) sostenendo, Costituzione alla mano, che gli aspiranti immigrati fermati sui barconi non potevano venire respinti senza che fosse prima controllato se non avessero diritto all’asilo, tanto più che la Libia di Gheddafi non aveva il minimo rispetto per i diritti umani. Ringhiò La Russa: “La Boldrini o è disumana — e io l’accuso — perché pretende che li teniamo per mesi rinchiusi nei centri per poi espellerli, oppure è criminale perché vuole eludere la legge e vuole che una volta qui scappino e si sparpaglino sul territorio”. Lei, mentre intorno si alzavano reazioni indignate, liquidò la cosa così: “Parole che si commentano da sole”. E tirò diritto: “I numeri parlano chiaro: i rifugiati da noi sono ancora pochi, 47 mila, contro i 600 mila della Germania, 300 mila in Gran Bretagna, 150 mila in Francia. L’80% dei rifugiati vive nel Sud del mondo, non in Europa”». (Gian Antonio Stella, Cds)
Francesco Così Bergoglio, spiegando a seimila giornalisti arrivati da tutto il mondo perché ha scelto di chiamarsi Francesco: «Durante l’elezione avevo accanto a me il cardinale Claudio Hummes, un grande amico! [....] quando venne l’applauso consueto perché era stato eletto il Papa e il cardinale Hummes mi abbracciò, mi baciò e mi disse: "Non dimenticarti dei poveri!". Quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Subito ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva fino allo spoglio di tutti i voti, e Francesco è l’uomo della pace. E così è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. L’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato. E noi in questo momento non abbiamo una relazione tanto buona con il creato, no?» (Gian Guido Vecchi, Cds).
Pesce Greenpeace ha appena pubblicato l’ultima edizione del suo vademecum annuale, in cui sono elencate un centinaio di varietà di pesce, con accanto il consiglio di comprarli e consumarli oppure no, a seconda del pericolo per la specie, del tipo di pesca, delle modalità igieniche ed ecologiche o meno dell’allevamento. Tra le specie che non bisogna portare a tavola: merluzzo (a rischio estinzione), scorfano e pesce spada (con la pesca eccessiva non fanno in tempo a riprodursi), coda di rospo (una specie fragile, mangiarla non è ecologicamente corretto), sgombro ( ha un ruolo di primo piano nella catena alimentare, poiché è il principale nutrimento di squali, tonni o delfini). Sì, fra gli altri, a spigole e orate, ma solo se vengono da allevamenti nel Mediterraneo (Andrea Tarquini, Rep).
Pane e yogurt Secondo la Coldiretti sono 21 milioni gli italiani che hanno deciso di prepararsi in casa yogurt, pane, gelato e conserve. Di questi 11,2 milioni dichiarano di farlo regolarmente. Il fenomeno, legato alla crisi ma soprattutto al nuovo interesse per il cibo naturale e di qualità. Un’altra stima racconta che il 44% della popolazione ama cenare da genitori e parenti e preferisce sempre più a una cena fuori una pasta casalinga con gli amici (Michela Proietti, Cds).
Fragole Quando vuole rilassarsi Angela Merkel va nel giardino di casa sua nell’Uckermark, in Brandeburgo, a coltivare fragole e patate. Il cavolfiore no «perché richiede troppe cure e attira troppe lumache» (Alessandro Alviani, Sta).
(a cura di Roberta Mercuri)