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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

• Con un’offerta da 100 milioni di euro la Cairo Communication, tratterà in esclusiva con Telecom Italia l’acquisto di La7 (tutto si dovrebbe concludere entro giugno)

• Con un’offerta da 100 milioni di euro la Cairo Communication, tratterà in esclusiva con Telecom Italia l’acquisto di La7 (tutto si dovrebbe concludere entro giugno). La decisione è arrivata un po’ a sopresa lunedì 18 febbraio dopo diversi mesi di trattative e di offerte poi decadute. Il cda di Telecom ha infatti respinto le proposte di Claudio Sposito, presidente del fondo Clessidra (più interessato alle frequenze che alla tv) e del patron di Tod’s, Diego Della Valle, che aveva manifestato interesse per La7 solo pochi giorni prima. [1] 

• «Apprendo la notizia con positività – le prime parole di Cairo – ho davanti un compito molto difficile ma esaltante. L’azienda nell’ultimo decennio ha perso 100 milioni all’anno e va risanata in tempi rapidi, senza modificare la linea editoriale, ma tagliando i costi in eccesso». [2] «Per come la vedo io La7 è una tv che ha alcuni programmi di grande qualità che fanno ascolti importanti, penso a Santoro, a Crozza e a Mentana. Per un editore se questi programmi funzionano bene dal punto di vista degli ascolti è giusto lasciare fare loro quei programmi in totale autonomia. Semmai ci sono momenti del palinsesto, dalla mezzanotte in poi e nel pomeriggio, in cui si può fare qualcosa in più». [3]

• Manacorda: «Il primo dato è che Cairo si porterà a casa – se tutto va come previsto – La7 e la sorellina digitale La7D, non solo gratis – visto che la società che controlla le due reti verrà ripulita da ogni debito – ma anche con una dote: un “prestito del venditore”, così si chiama, al compratore di circa 90 milioni che dovrebbe consentirgli di far partire senza troppe angustie la sua avventura televisiva». [4] 

• Ma allora Telecom Italia, che vende in perdita la sua tv, che ci guadagna? Nulla. Però, visto che da tempo La7 brucia circa cento milioni l’anno su poco più di duecento milioni di fatturato, cedere le chiavi significa non doversi più accollare in futuro le possibili perdite. Inoltre Cairo lascia a Telecom un pezzo pregiato del pacchetto potenzialmente in vendita, ossia quelle tre frequenze televisive (più antenne e tralicci) che assieme valgono circa 450 milioni e che potranno essere valorizzate in altro modo. [4]

• «Diciamola tutta: il vero obiettivo degli acquirenti di La7, tv che seppure di prestigio grazie ai suoi anchorman perde oltre 100 milioni a causa degli elevati cachet (200 milioni il costo del palinsesto nel 2012) è proprio il numero 7. Quel tasto nella prima decina del telecomando, subito a ridosso dei canali Rai e Mediaset, fa gola a tanti, forse tutti i broadcaster». [5] 

• A pochi giorni dalle elezioni politiche, anche questa partita dentro la polemica tra Pd e Pdl (Bersani attacca parlando di «conflitto di interessi» e «posizioni dominanti», affermazioni che per Berlusconi sono «avvertimenti mafiosi»). La stampa enfatizza che a inizio carriera Cairo è stato l’assistente di Berlusconi, autorizzando il Fatto quotidiano a titolare «Telecom regala La7 a Cairo, ora Berlusconi ha quattro tv». [1]

• Meletti del Fatto: «La Telecom consegna all’ex assistente personale di Berlusconi la tv che negli ultimi due o tre anni era diventata una spina nel fianco di Mediaset. È la stessa Telecom Italia Media a denunciare nei verbali del suo consiglio d’amministrazione che il cattivo andamento dei conti di La7 è da attribuirsi principalmente a due cause: i comportamenti asseritamente scorretti di Cairo nella raccolta della pubblicità, per i quali la stessa società è ricorsa in Tribunale chiedendo la rescissione del contratto; le denunciate manipolazioni dei dati Auditel, che hanno attribuito a La7 un sospetto crollo degli ascolti nel 2012 rispetto al 2011». [6] 

• Urbano Cairo, 55 anni, cresciuto ad Abazia di Masio in provincia di Alessandria, piemontese innamorato di Milano, bocconiano. «I tratti del suo carattere, sempre gioviale, sono a volte rumorosi. È ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio». Riesce a organizzare pensieri e azioni solo camminando. «All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare». [7]

• Manacorda: «Molti lo chiamano – non certo per fargli un complimento – “Berluschino” ma quel giovane manager è diventato grande da tempo, cammina con le sue gambe e anzi – rivendica spesso – “a Berlusconi faccio concorrenza”; un po’ perché di diminutivo, nella considerazione che Cairo ha di se stesso c’è davvero poco. Per capirlo basta ricordare il regalo che fece proprio a Silvio e Veronica per le loro nozze: un ritratto – il suo – opera della pittrice Lila De Nobili». [4]

• «Edilnord. 8880. Un centralone. “Mi passa il dott. Berlusconi?”. Mi passano la segretaria. “Signora buongiorno, sono uno studente della Bocconi, vorrei parlare col dott. Berlusconi”. “Se vuol dire a me io riferisco senz’altro”. “No, guardi, vorrei parlare con lui, richiamerò”. Metto giù e ci ripenso. Due ore dopo richiamo. Di nuovo la segretaria. “Signora, sono sempre io. Ho due idee eccezionali che vorrei spiegare al dottor Berlusconi. Se lei non mi permette di parlare con lui, lei rischia davvero di fargli un danno”. Mi fissò un appuntamento con Marcello Dell’Utri. E poi con Berlusconi». [8]

• «Berlusconi, intuendone l’ambizione e i talenti, mandò Cairo a farsi le ossa in Publitalia, e, dopo poco tempo, lo chiamò in Mondadori pubblicità come amministratore delegato. Marcello Dell’Utri, ai vertici di Publitalia, non ne voleva sapere, ma Berlusconi, quella volta, si impose. I risultati furono piuttosto buoni, il fatturato cresceva, ma Dell’Utri era sempre lì, a remare contro. E venne il giorno, nel 1995, in cui Franco Tatò, amministratore delegato di Fininvest, chiamò Cairo nel suo ufficio e gli disse: “Bravo Urbano, apprezziamo il tuo lavoro. E abbiamo pensato a te per sviluppare il business di Pagine Utili”. Cairo, a quanto sembra, deglutì, contò fino a dieci e rispose: “Grazie mille Franco, sono molto onorato che tu abbia pensato a me per Pagine Utili. Ma, visto il mio buon lavoro in Mondadori Pubblicità, mi aspettavo qualcosa di diverso. Potrei accettare l’offerta in Pagine Utili, ma solo se mi venisse girato anche il 50% della società”. Tatò strabuzzò gli occhi, congedò Cairo, che poi venne chiamato direttamente da Berlusconi. Il Cavaliere ascoltò il punto di vista di Urbano, e quindi lo salutò amichevolmente. Ma nei giorni successivi il manager comprese che erano iniziati i suoi ultimi giorni in Mondadori. Di lì a poco arrivò un ordine di servizio che gli toglieva ogni delega operativa sulla concessionaria, e nel dicembre del 1995, venne messo alla porta, con tanto di lettera di licenziamento. Al suo posto fu nominato Giuseppe Pilera, fedelissimo di Dell’Utri». [9]

• «Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il “Berluschino” che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. [...] Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. E me ne trovi un altro che – da licenziato – si rimbocca le maniche e si mette a costruire da zero la sua impresa multimediale: vendo pubblicità su ogni mezzo di comunicazione, sono editore di un numero elevato di periodici, da quelli più pop a marchi prestigiosi, sono presidente di una squadra di calcio. Mi si accusa che così sembro proprio un piccolo B.? Non posso vietare che anche lei lo pensi, affari suoi. Però è falso. Amo la televisione e ancor di più i giornali. Anzi, a dirla tutta mi sarebbe piaciuto fondare un quotidiano. Non ho trovato il giornalista giusto, poi la crisi economica si è messa di mezzo e mi sono arreso all’evidenza». [7]

• «L’uomo ha già dimostrato di essere un amante dell’“usato sicuro”. Compra società che sono decotte o quasi e poi, senza colpi d’ala ma con grande costanza, le rimette in sesto, scegliendo manager, direttori e allenatori non esattamente di primo pelo, ma di provata capacità ed esperienza. È successo con il Torino, che ha preso nel 2005 per un pugno di euro dopo il fallimento e dal quale però non è ancora riuscito a tirare fuori soldi; è accaduto con l’acquisto di attività editoriali, a partire dalla Giorgio Mondadori, che ha rilevato nel 1999. Nella pubblicità, invece, si è fatto da solo o quasi [4]: nel ’95 ha fondato la sua concessionaria pubblicitaria e cinque anni dopo ha quotato in Borsa la sua Cairo Communication. [6] 

• Editore di carta che più di carta non si può (internet non lo prende neanche in considerazione), «ridendo e scherzando ha sviluppato una casa editrice che, non esitando ad andare in edicola a 50 centesimi, fattura 320 milioni e ne ha guadagnati 18 nel 2012» [2] Il gruppo, che ha sede in corso Magenta a Milano, e che a inizio 2004 vendeva zero copie di settimanali, ora si consolida a quota 1,9 milioni ogni sette giorni (Dipiù, Dipiù Tv, Tv Mia, Diva & Donna, Settimanale Nuovo, F), diventando il primo venditore di settimanali popolari d’Italia (rosicchiando quote di mercato anche a Mondadori). [10]

• L’avventura calcistica è cominciata nel 2005, quando i granata lo osannavano per avere comprato il Toro a prezzo di sconto. «Lo chiamavano “Papa Urbano” il giorno dell’acquisto della società, appena fallita, salvo poi dargli del “banfone” (bugiardo in piemontese) qualche anno dopo per via di alcuni acquisti avventati che avevano fatto retrocedere il Toro in serie B. Adesso, dopo sette anni di alti e bassi, sta tornando la pace tra Cairo e i tifosi perché il patron ha rinunciato a quell’atteggiamento accentratore che imbrigliava le scelte del club: si è convinto a dare qualche delega ai suoi collaboratori e si fida del nuovo allenatore Giampiero Ventura; per la cronaca, i granata sono a metà classifica in serie A». [1]

• Da giovane giocava a calcio: «Ero un “veneziano”, un’ala destra dribblomane. Mi ispiravo a Claudio Sala, il Poeta del Toro dello scudetto 1976». Sposato in terze nozze (dopo Tove Hornelius e Anna Cataldi) con Mali Pelandini, madre di tre dei suoi quattro figli. «Il primo voto l’ho dato alla Dc, nel ’75, quando c’era Benigno Zaccagnini. Poi ho cambiato. Non ho mai votato per il Msi o per la Lega. Forza Italia? L’ho votata nel ‘94». Grande passione per l’arte contemporanea (un amore per Schifano). [8]

• «Ah, dimenticavo: non ho mai licenziato nessuno». [7]


Note: [1] Alberto Brambilla, Il Foglio 20/2/2013; [2] Giovanni Pons, la Repubblica 19/2/2013; [3] Massimo Sideri, Corriere della Sera 20/02/2013; [4] Francesco Manacorda, la Stampa 20/2/2013; [5] Andrea Montanari, MF-Milano Finanza 8/2/2013; [6] Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 19/2/2013; [7] Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 7/2/2013; [8] Dell’Arti-Parrini, Il Catalogo dei viventi 2009; [9] Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 13/7/2011; [10] Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 17/7/2012.