Vanity Fair, mercoledì 6 febbraio 2013, 20 febbraio 2013
Tags : Beppe Grillo
Signor Grillo le devo parlare (intervista a Cristina Giberti del 6/2/2013)
Vanity Fair, mercoledì 6 febbraio 2013
«Non cerco nulla, se non la verità. Mi rifiuto di essere strumentalizzata da una politica in cui non mi riconosco, e dopo questa intervista non intendo tornare sull’argomento, quindi prego giornalisti e fotografi di non cercarmi più. Chiedo solo di incontrare il signor Grillo. È un gesto che devo a me stessa, ma anche ai miei genitori e a mio fratello, che non possono più parlare: lo faccio io a nome loro. Molte volte mi sono chiesta che cosa proverei ad averlo davanti a me, di persona, per chiedergli di quel giorno. Fra tutti quelli che in questo periodo sentono continuamente parlare di lui e vedono la sua faccia e leggono ovunque le sue parole ci sono anche io, e lui dovrebbe ricordarselo, e dovrebbe capire l’effetto che mi fa. Ogni giorno penso a come sarebbe la mia vita se i miei genitori e mio fratello fossero ancora con me».
7 dicembre 1981
«Mamma, posso restare a vedere un cartone?». Cristina ha 7 anni il giorno in cui saluta il padre Renzo Giberti, la madre Rossana e il fratello Francesco, di due anni più grande. Sono a Limone Piemonte, dove la famiglia genovese ha una casa di montagna, e a passare con loro il ponte dell’Immacolata c’è un ospite famoso che per loro è di casa: Beppe Grillo è un vecchio amico di papà. È una splendida giornata e si decide, dopo pranzo, di andare un paio d’ore a godersi il sole su, in alto, al Duemila, una baita sulla Via del Sale, il vecchio passo per la Francia. Una strada stretta, sterrata, ma praticabile anche in inverno se non c’è neve, come oggi. Il Range Rover di Renzo è ingolfato, Grillo offre di usare la sua Chevrolet. Cristina si ferma a casa dell’amichetta che l’ha invitata.
Quasi a destinazione, dietro una curva, il sole illumina un lungo lastrone di ghiaccio: a destra la parete di roccia, a sinistra lo strapiombo. L’auto comincia a slittare all’indietro, diventa ingovernabile, urta la roccia, si gira, cade con il muso nel burrone. All’ultimo momento Grillo riesce a spalancare la portiera e a buttarsi. Per i Giberti non c’è niente da fare.
«In questo momento il ricordo struggente va ai poveri Renzo, Rossana e Francesco, i miei cari amici genovesi che non ci sono più: anche se non mi sento – e per la magistratura non sono – colpevole della loro morte, l’immagine spaventosa di quel che è accaduto quel giorno a Limone non mi abbandonerà mai più»: così, secondo La Stampa, Grillo commenta nel 1984 la sentenza di assoluzione con formula dubitativa del Tribunale di Cuneo. A Cristina, i cui familiari si sono costituiti parte civile, viene destinato un risarcimento. L’anno dopo però la Corte di Appello di Torino ribalta la sentenza e condanna il comico, per omicidio colposo, a un anno e due mesi di reclusione, per avere «proseguito nella marcia, malgrado l’avvistamento della zona ghiacciata, mentre avrebbe avuto tutto lo spazio per arrestare la marcia, scendere, controllare, retrocedere o, quanto meno, proseguire da solo».
Sentenza condonata ma confermata in Cassazione, e che motiverà Grillo – come lui stesso spiegherà in campagna elettorale – a non candidarsi, sulla base del regolamento del Movimento 5 Stelle che esclude i condannati.
Gennaio 2013
Altra città, altro cognome: quello del marito della sorella della madre, che la adottò all’indomani della tragedia. Gli zii sono diventati genitori, i cugini fratelli. Cristina è cresciuta in una famiglia unita e benestante. Oggi è madre, ha 38 anni, una professione, fa volontariato per l’infanzia. Affronta l’intervista divisa tra il bisogno di ricevere verità da quello che lei chiama «il signor Grillo» e la ritrosia naturale. «Non amo parlare di me, forse la vita mi ha resa introversa. Ma oggi sono matura, ho fatto i conti con il passato e ho trovato il coraggio di guardare indietro».
Cristina, perché proprio oggi, alla vigilia delle elezioni, dopo più di trent’anni di silenzio?
«Gliel’ho detto: il signor Grillo è una presenza pubblica come mai prima, e come mai prima è forte la mia esigenza di confrontarmi con lui. La mia non è certo l’unica vita segnata da un lutto, mi guardo intorno e ne vedo tante di storie simili. La differenza è che nel mio caso – con i media che parlano continuamente di lui e del perché non si candida, e ogni tanto fanno anche vaghi riferimenti alla morte dei miei cari – dimenticare è impossibile. Tutte le domande che ho cercato di seppellire – che mi tormentano con i loro “perché” – sono tornate a galla. Ora ho bisogno delle risposte, una volta per tutte, per guardare avanti».
Non poteva contattarlo privatamente?
«Ci ho provato. Non sa quante volte mi ero detta: ora vado in una sede dei 5 Stelle e mi presento. Tempo fa ho scritto sul suo blog, spiegando che avevo bisogno di parlare con lui, ma il mio commento non è mai andato online, forse non mi hanno dato credito, forse un moderatore lo ha cancellato. Allora, più di recente, ho telefonato al suo ufficio stampa: ho detto chi ero, ho espresso il desiderio di un confronto privato, mi hanno promesso che mi avrebbero fatto sapere. Mi ha richiamato un nipote di Grillo: mi ha spiegato che non era possibile venire incontro alla mia richiesta, che tutta la sua famiglia aveva sofferto per l’incidente, che non era il momento di ritornare sull’argomento. Ma per me il momento è questo: sono cresciuta, sono mamma, sono pronta per sapere e per parlare. Solo dopo quel “no” ho accettato di raccontare a voi».
Che cosa ricorda di quel 7 dicembre?
«Che dovetti insistere con la mamma per avere il permesso di andare a casa della mia amica: lei inizialmente non voleva. Poi più niente. Ho ricordi sporadici dei mesi successivi. Il trasferimento in un’altra città, il cambio della scuola, i compagni che mi guardavano diversamente dai miei vecchi amici, come se sapessero già tutto, o almeno questo io intuivo. Oggi so che, quando si subiscono forti traumi, si tende a rimuovere i momenti più dolorosi. Ecco il perché dei miei vuoti di memoria. Se sfoglio gli articoli di allora con le mie foto, non ricordo quasi niente».
In passato, Grillo l’ha cercata?
«Mai. Tutto quello che so dell’incidente me lo ha detto mia zia, che mi ha cresciuta e mi è stata sempre vicina. Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da lui, l’unico che possa davvero farlo, visto che era alla guida ed è stato con i miei genitori e mio fratello fino all’ultimo istante della loro vita. Lui mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l’esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo? Non dico una richiesta di perdono, ma almeno un segno di interesse. Eppure sapeva dove fossi e con chi vivessi: se avesse voluto mi avrebbe trovata in un attimo».
Se lui le chiedesse perdono, lei glielo darebbe?
«Mi hanno insegnato a non odiare nessuno e a non serbare rancore. Però le responsabilità da qualche parte esistono – lo ha stabilito anche la sentenza –, non si può imputare tutto al fato. Con il tempo ho imparato ad accettare quello che è successo alla mia famiglia, ma perdonare... non lo so, non fino a quando avrò un confronto diretto con lui».
Qual è la prima cosa che gli vuole chiedere?
«Perché non si è mai fatto avanti. Capisco che è un confronto doloroso, che spaventa. Io oggi sono madre, quando ho in auto con me gli amici dei miei figli sto doppiamente attenta, però un incidente può succedere. Ripeto: per una parte do la colpa al destino, per un’altra sono convinta che ci siano responsabilità umane, ma non voglio giudicare: dico solo che, se mi capitasse una cosa del genere, mi sentirei per sempre responsabile e mi sforzerei di essere un po’ un angelo custode verso un innocente che ha pagato il prezzo più caro. Finché non avrò un suo chiarimento continuerò a pormi domande, e a fare supposizioni: le risposte me le può dare solo lui, e me le deve dare. Ora sa che lo cerco: smetterò di farlo, a meno che non sia lui a cercare me. Un chiarimento indotto è meglio di niente: magari adesso succederà. Mi premeva recapitargli il mio messaggio».
Che cosa pensa della politica italiana?
«Non posso restare indifferente di fronte agli scandali e allo spazio dato a quelli che secondo me sono personaggi di spettacolo, più che cittadini interessati alla cosa pubblica. Metterei più gente comune a difendere gli interessi degli italiani. Basta con le solite facce».
Lo chiede anche il Movimento 5 Stelle.
«Lo so, e credo sia la loro forza. Come la maggior parte della gente sono d’accordo su questo punto del loro programma, e anche con l’idea di abolire i privilegi economici della classe politica. Siamo tutti stanchi, delusi, arrabbiati».
Se non fosse successo quello che è successo, lo voterebbe Grillo?
«No, non credo. Perché non lo trovo diverso dagli altri. I politici che vedo mi sembrano tutti uguali: concentrati sui propri interessi più che su quelli della collettività».
Ha scelto di non mostrarsi in volto. Perché?
«Nessuno, a parte gli amici più intimi, conosce il mio vero passato. Nemmeno i miei figli sanno la verità: sto aspettando che crescano ancora un po’ prima di raccontargliela. La morte non è facile da capire quando si è così piccoli: lo so bene, mi creda. Anche per questo chiedo a tutti che la mia privacy venga rispettata».
A lei chi disse la verità?
«Per un mese mi raccontarono che i miei genitori e mio fratello erano in ospedale dopo un incidente. Una bugia imposta ai miei familiari dallo psicologo del tribunale, per evitarmi un trauma immediato. Solo che piangevo in continuazione - me lo racconta mia zia, io non ricordo - perché non capivo che cosa fosse successo: chiedevo di parlare con il papà, con la mamma, con Francesco, di sentirli al telefono, ma mi dicevano che non si poteva, e ogni volta c’era una scusa diversa».
Interviene la zia, che è presente all’intervista. «Una crudeltà insopportabile: Cristina aveva diritto di sapere. Un mese dopo la tragedia - di ritorno dalla messa di suffragio per mia sorella, mio cognato e mio nipote - decidemmo, con mio marito e i miei genitori, di dirle che mamma, papà e Francesco erano andati in Paradiso. La strinsi tra le braccia mentre singhiozzava, ma la sensazione che percepii fu quella di una liberazione. Credo avesse già capito tutto, e aspettasse solo una conferma per andare avanti. Mi chiese: “Zia, mi farai tu da mamma?”. “Certo”, risposi, “saremo la tua famiglia, e ti proteggeremo sempre”».
Com’è stata la sua vita, Cristina?
«Nella grande disgrazia, mi ritengo molto fortunata. Non mi è mai mancato nulla. I miei zii mi hanno davvero protetto, difeso, e hanno avuto la grande forza di aiutarmi a superare il lutto senza farmi pesare anche il loro dolore. Mi sono sentita amata due volte. All’affetto della mia famiglia devo tutto: anche il coraggio di affrontare finalmente la verità e di dare voce al mio dolore. Voglio anche andare nel luogo dove tutto è successo: prima o poi sarò pronta a farlo».
«Non cerco nulla, se non la verità. Mi rifiuto di essere strumentalizzata da una politica in cui non mi riconosco, e dopo questa intervista non intendo tornare sull’argomento, quindi prego giornalisti e fotografi di non cercarmi più. Chiedo solo di incontrare il signor Grillo. È un gesto che devo a me stessa, ma anche ai miei genitori e a mio fratello, che non possono più parlare: lo faccio io a nome loro. Molte volte mi sono chiesta che cosa proverei ad averlo davanti a me, di persona, per chiedergli di quel giorno. Fra tutti quelli che in questo periodo sentono continuamente parlare di lui e vedono la sua faccia e leggono ovunque le sue parole ci sono anche io, e lui dovrebbe ricordarselo, e dovrebbe capire l’effetto che mi fa. Ogni giorno penso a come sarebbe la mia vita se i miei genitori e mio fratello fossero ancora con me».
7 dicembre 1981
«Mamma, posso restare a vedere un cartone?». Cristina ha 7 anni il giorno in cui saluta il padre Renzo Giberti, la madre Rossana e il fratello Francesco, di due anni più grande. Sono a Limone Piemonte, dove la famiglia genovese ha una casa di montagna, e a passare con loro il ponte dell’Immacolata c’è un ospite famoso che per loro è di casa: Beppe Grillo è un vecchio amico di papà. È una splendida giornata e si decide, dopo pranzo, di andare un paio d’ore a godersi il sole su, in alto, al Duemila, una baita sulla Via del Sale, il vecchio passo per la Francia. Una strada stretta, sterrata, ma praticabile anche in inverno se non c’è neve, come oggi. Il Range Rover di Renzo è ingolfato, Grillo offre di usare la sua Chevrolet. Cristina si ferma a casa dell’amichetta che l’ha invitata.
Quasi a destinazione, dietro una curva, il sole illumina un lungo lastrone di ghiaccio: a destra la parete di roccia, a sinistra lo strapiombo. L’auto comincia a slittare all’indietro, diventa ingovernabile, urta la roccia, si gira, cade con il muso nel burrone. All’ultimo momento Grillo riesce a spalancare la portiera e a buttarsi. Per i Giberti non c’è niente da fare.
«In questo momento il ricordo struggente va ai poveri Renzo, Rossana e Francesco, i miei cari amici genovesi che non ci sono più: anche se non mi sento – e per la magistratura non sono – colpevole della loro morte, l’immagine spaventosa di quel che è accaduto quel giorno a Limone non mi abbandonerà mai più»: così, secondo La Stampa, Grillo commenta nel 1984 la sentenza di assoluzione con formula dubitativa del Tribunale di Cuneo. A Cristina, i cui familiari si sono costituiti parte civile, viene destinato un risarcimento. L’anno dopo però la Corte di Appello di Torino ribalta la sentenza e condanna il comico, per omicidio colposo, a un anno e due mesi di reclusione, per avere «proseguito nella marcia, malgrado l’avvistamento della zona ghiacciata, mentre avrebbe avuto tutto lo spazio per arrestare la marcia, scendere, controllare, retrocedere o, quanto meno, proseguire da solo».
Sentenza condonata ma confermata in Cassazione, e che motiverà Grillo – come lui stesso spiegherà in campagna elettorale – a non candidarsi, sulla base del regolamento del Movimento 5 Stelle che esclude i condannati.
Gennaio 2013
Altra città, altro cognome: quello del marito della sorella della madre, che la adottò all’indomani della tragedia. Gli zii sono diventati genitori, i cugini fratelli. Cristina è cresciuta in una famiglia unita e benestante. Oggi è madre, ha 38 anni, una professione, fa volontariato per l’infanzia. Affronta l’intervista divisa tra il bisogno di ricevere verità da quello che lei chiama «il signor Grillo» e la ritrosia naturale. «Non amo parlare di me, forse la vita mi ha resa introversa. Ma oggi sono matura, ho fatto i conti con il passato e ho trovato il coraggio di guardare indietro».
Cristina, perché proprio oggi, alla vigilia delle elezioni, dopo più di trent’anni di silenzio?
«Gliel’ho detto: il signor Grillo è una presenza pubblica come mai prima, e come mai prima è forte la mia esigenza di confrontarmi con lui. La mia non è certo l’unica vita segnata da un lutto, mi guardo intorno e ne vedo tante di storie simili. La differenza è che nel mio caso – con i media che parlano continuamente di lui e del perché non si candida, e ogni tanto fanno anche vaghi riferimenti alla morte dei miei cari – dimenticare è impossibile. Tutte le domande che ho cercato di seppellire – che mi tormentano con i loro “perché” – sono tornate a galla. Ora ho bisogno delle risposte, una volta per tutte, per guardare avanti».
Non poteva contattarlo privatamente?
«Ci ho provato. Non sa quante volte mi ero detta: ora vado in una sede dei 5 Stelle e mi presento. Tempo fa ho scritto sul suo blog, spiegando che avevo bisogno di parlare con lui, ma il mio commento non è mai andato online, forse non mi hanno dato credito, forse un moderatore lo ha cancellato. Allora, più di recente, ho telefonato al suo ufficio stampa: ho detto chi ero, ho espresso il desiderio di un confronto privato, mi hanno promesso che mi avrebbero fatto sapere. Mi ha richiamato un nipote di Grillo: mi ha spiegato che non era possibile venire incontro alla mia richiesta, che tutta la sua famiglia aveva sofferto per l’incidente, che non era il momento di ritornare sull’argomento. Ma per me il momento è questo: sono cresciuta, sono mamma, sono pronta per sapere e per parlare. Solo dopo quel “no” ho accettato di raccontare a voi».
Che cosa ricorda di quel 7 dicembre?
«Che dovetti insistere con la mamma per avere il permesso di andare a casa della mia amica: lei inizialmente non voleva. Poi più niente. Ho ricordi sporadici dei mesi successivi. Il trasferimento in un’altra città, il cambio della scuola, i compagni che mi guardavano diversamente dai miei vecchi amici, come se sapessero già tutto, o almeno questo io intuivo. Oggi so che, quando si subiscono forti traumi, si tende a rimuovere i momenti più dolorosi. Ecco il perché dei miei vuoti di memoria. Se sfoglio gli articoli di allora con le mie foto, non ricordo quasi niente».
In passato, Grillo l’ha cercata?
«Mai. Tutto quello che so dell’incidente me lo ha detto mia zia, che mi ha cresciuta e mi è stata sempre vicina. Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da lui, l’unico che possa davvero farlo, visto che era alla guida ed è stato con i miei genitori e mio fratello fino all’ultimo istante della loro vita. Lui mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l’esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo? Non dico una richiesta di perdono, ma almeno un segno di interesse. Eppure sapeva dove fossi e con chi vivessi: se avesse voluto mi avrebbe trovata in un attimo».
Se lui le chiedesse perdono, lei glielo darebbe?
«Mi hanno insegnato a non odiare nessuno e a non serbare rancore. Però le responsabilità da qualche parte esistono – lo ha stabilito anche la sentenza –, non si può imputare tutto al fato. Con il tempo ho imparato ad accettare quello che è successo alla mia famiglia, ma perdonare... non lo so, non fino a quando avrò un confronto diretto con lui».
Qual è la prima cosa che gli vuole chiedere?
«Perché non si è mai fatto avanti. Capisco che è un confronto doloroso, che spaventa. Io oggi sono madre, quando ho in auto con me gli amici dei miei figli sto doppiamente attenta, però un incidente può succedere. Ripeto: per una parte do la colpa al destino, per un’altra sono convinta che ci siano responsabilità umane, ma non voglio giudicare: dico solo che, se mi capitasse una cosa del genere, mi sentirei per sempre responsabile e mi sforzerei di essere un po’ un angelo custode verso un innocente che ha pagato il prezzo più caro. Finché non avrò un suo chiarimento continuerò a pormi domande, e a fare supposizioni: le risposte me le può dare solo lui, e me le deve dare. Ora sa che lo cerco: smetterò di farlo, a meno che non sia lui a cercare me. Un chiarimento indotto è meglio di niente: magari adesso succederà. Mi premeva recapitargli il mio messaggio».
Che cosa pensa della politica italiana?
«Non posso restare indifferente di fronte agli scandali e allo spazio dato a quelli che secondo me sono personaggi di spettacolo, più che cittadini interessati alla cosa pubblica. Metterei più gente comune a difendere gli interessi degli italiani. Basta con le solite facce».
Lo chiede anche il Movimento 5 Stelle.
«Lo so, e credo sia la loro forza. Come la maggior parte della gente sono d’accordo su questo punto del loro programma, e anche con l’idea di abolire i privilegi economici della classe politica. Siamo tutti stanchi, delusi, arrabbiati».
Se non fosse successo quello che è successo, lo voterebbe Grillo?
«No, non credo. Perché non lo trovo diverso dagli altri. I politici che vedo mi sembrano tutti uguali: concentrati sui propri interessi più che su quelli della collettività».
Ha scelto di non mostrarsi in volto. Perché?
«Nessuno, a parte gli amici più intimi, conosce il mio vero passato. Nemmeno i miei figli sanno la verità: sto aspettando che crescano ancora un po’ prima di raccontargliela. La morte non è facile da capire quando si è così piccoli: lo so bene, mi creda. Anche per questo chiedo a tutti che la mia privacy venga rispettata».
A lei chi disse la verità?
«Per un mese mi raccontarono che i miei genitori e mio fratello erano in ospedale dopo un incidente. Una bugia imposta ai miei familiari dallo psicologo del tribunale, per evitarmi un trauma immediato. Solo che piangevo in continuazione - me lo racconta mia zia, io non ricordo - perché non capivo che cosa fosse successo: chiedevo di parlare con il papà, con la mamma, con Francesco, di sentirli al telefono, ma mi dicevano che non si poteva, e ogni volta c’era una scusa diversa».
Interviene la zia, che è presente all’intervista. «Una crudeltà insopportabile: Cristina aveva diritto di sapere. Un mese dopo la tragedia - di ritorno dalla messa di suffragio per mia sorella, mio cognato e mio nipote - decidemmo, con mio marito e i miei genitori, di dirle che mamma, papà e Francesco erano andati in Paradiso. La strinsi tra le braccia mentre singhiozzava, ma la sensazione che percepii fu quella di una liberazione. Credo avesse già capito tutto, e aspettasse solo una conferma per andare avanti. Mi chiese: “Zia, mi farai tu da mamma?”. “Certo”, risposi, “saremo la tua famiglia, e ti proteggeremo sempre”».
Com’è stata la sua vita, Cristina?
«Nella grande disgrazia, mi ritengo molto fortunata. Non mi è mai mancato nulla. I miei zii mi hanno davvero protetto, difeso, e hanno avuto la grande forza di aiutarmi a superare il lutto senza farmi pesare anche il loro dolore. Mi sono sentita amata due volte. All’affetto della mia famiglia devo tutto: anche il coraggio di affrontare finalmente la verità e di dare voce al mio dolore. Voglio anche andare nel luogo dove tutto è successo: prima o poi sarò pronta a farlo».
Chiara Bruschi