20 febbraio 2013
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Egidio Osio precettore di Vittorio Emanuele III
• Su consiglio del Principe Ereditario di Germania, grande amico di Umberto e Margherita, a fargli da precettore fu chiamato il colonnello Osio, addetto militare della nostra Ambasciata a Berlino, al quale sono state attribuite molte colpe pedagogiche. Si è detto che plagiò il suo pupillo e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d’inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l’animo di sordi rancori.
• Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. «Il Principe è libero di fare tutto quello che voglio io» diceva. Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l’incarico, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell’educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno “scatto di grado”. Quanto ai sentimenti di ribellione e di animosità ch’egli avrebbe suscitato nel pupillo, è un fatto che le uniche lettere di Vittorio Emanuele in cui si avverte un palpito di affettuosa e rispettosa gratitudine sono quelle ch’egli seguitò a scrivere al suo ex precettore, il quale gli rispondeva seguitando a sua volta a trattarlo da ex-pupillo. Quando Morandi, scelto da Osio come insegnante di lettere, pubblicò un libro pieno di piaggerìe per il Principe e di velenose insinuazioni contro Osio che gli aveva affidato quell’incarico, Vittorio Emanuele scrisse al Colonnello: «Ha visto il libro di Morandi? Non avrei mai pensato che si potessero stampare tante ridicolaggini».
• La verità è che i metodi di Osio, per quanto duri, e forse proprio per questo, erano i più congeniali all’allievo. Certi suoi caratteri erano ereditari, e quindi irrevocabili: la diffidenza e l’orgoglio dinastico. A dieci anni, sapeva già a memoria l’albero genealogico e l’ordine di successione dei Savoia da Umberto Biancamano in giù. Di suo, aveva in più un certo interesse per la cultura, ma concepita soltanto come cumulo di nozioni, di date e di dati. Fu il primo Savoia a saper scrivere l’italiano senza sfondoni. Ma era assolutamente privo di fantasia e refrattario alle idee generali. Quando andava a visitare una mostra di pittura, l’unica cosa di cui s’informava erano i dati anagrafici di opere e di autori. Quanto alla musica, una volta disse che per lui ne esistevano due sole: la Marcia Reale e la non Marcia Reale. Della letteratura, detestava tutto ciò che puzzava di retorica: il che, di una letteratura come quella italiana, gli consentiva di apprezzare ben poco. Per i giornalisti aveva un’antipatia istintiva e irriducibile: li chiamava “parolai”, s’indignava delle loro inesattezze, e non capiva perché i giornali non si limitassero alla pubblicazione delle notizie e degli atti ufficiali.
• Alla dura disciplina che per otto anni Osio gl’impose non si ribellò mai, sebbene gli esercizi fisici, e soprattutto il cavallo, gli costassero atroci dolori di gambe e di piedi. La pedagogia di casa Savoia era sempre stata spartana, e che nelle sue particolari condizioni fosse controindicata è smentito dal fatto che il suo corpo stortignaccolo e meschinello si rivelò resistentissimo alle fatiche, godette sempre ottima salute, e fece di lui il più longevo di tutti i Re Savoia. In una giornata che cominciava all’alba e che fra lezioni ed esercizi non gli dava tregua fino alle nove di sera, non c’era posto per svaghi e divaghi. Tuttavia quando gli fecero dono di una macchina fotografica col soffiettone, ne fece uno dei suoi due hobbies, cui resterà fedele per tutta la vita. L’altro era la numismatica, cui si appassionò fin dai dieci anni, quando gli regalarono un soldo di Pio IX. Ciò che gli piaceva delle monete non erano i pregi estetici, ma i1 destro che gli offrivano di ricostruirne a vista l’anagrafe: epoca, paese eccetera. Forse non era soltanto pignoleria, ma anche un’istintiva reazione polemica a quelli ch’egli sempre considerò i peggiori difetti nazionali: il pressappochismo, la faciloneria, il dilettantesimo.
• «Si ricordi che il figlio di un Re, come il figlio di un calzolaio, quando è asino, è asino», gli aveva detto Osio insediandosi nella sua carica di precettore. Ma non ebbe bisogno di ripeterglielo spesso perché il pupillo dimostrò una vocazione financo eccessiva al lavoro di tavolino. Un po’ perché si vergognava della sua miseria fisica, un po’ per le pene che gli procurava il camminare e più ancora il cavalcare, preferiva la vita del topo di biblioteca. Anzi, ci si sentiva così vocato che, da quanto egli stesso raccontò tanti anni dopo al suo aiutante di campo Puntoni, chiese a suo padre di esentarlo dalla successione e di lasciarlo alla sua prediletta attività di sommozzatore di archivi. L’unico esercizio all’aria aperta che gli piaceva era la caccia. Fu subito un buon fucile. Ma per via di quelle maledette “gambe di vetro”, lo usava solo da fermo, alla “posta”. Come aveva, stringendo i denti, imparato a cavalcare, così imparò anche a ballare, e pare che lo facesse anche con una certa grazia. Ma appena salito al trono, abolì i balli di Corte.
• A completamento della sua educazione, Osio lo condusse a fare i soliti giri in Europa. Per conservare l’incognito, il Principe aveva un passaporto intestato al Conte di Pollenzo, lo stesso nome che adottò partendo per l’esilio. Visitò un po’ tutti i Paesi guardando ciò che Osio gli diceva di guardare e stendendone ogni sera per iscritto il bilancio in resoconti minuziosi, corredati di tutti i particolari - di clima, di orario, di prezzi -, ma assolutamente privi d’impressioni e opinioni. Vedeva il mondo come lo vedeva la sua Kodak, e senza mai uscire dal binario che il precettore gli tracciava. È lecito supporre che, fin quando rimase sotto la sua giurisdizione, cioè fino ai vent’anni, non conobbe altre donne che quelle che frequentavano la Corte, ne ebbe con loro altro rapporto che il baciamano.
• Osio prese congedo da lui l’11 novembre 1889, quando ormai erano pari grado. Iscritto pro forma al collegio militare della Nunziatella, il Principe aveva avuto la carriera rapida di tutti i figli di Re: sottotenente di fanteria a diciassett’anni, a venti era colonnello come il suo precettore, dalla cui tutela veniva ora emancipato. A quanto pare, non la considerò una liberazione. Per quanto severo sino alla crudeltà, Osio era stato in quegli otto anni l’unica persona con cui aveva avuto un rapporto umano. Coi genitori si era ritrovato solo due volte la settimana, il giovedì e la domenica, a pranzo. Non aveva mai fatto loro confidenze, ne mai ne aveva ricevute. In quell’immenso Quirinale, di cui detestava la solennità, il lusso e le cerimonie, aveva vissuto da estraneo. Ma anche questo era in perfetto stile Savoia. Dopo che Osio se ne fu andato, seguitò a scrivergli quasi tutti i giorni. Quando i giornali riportarono la notizia del suo matrimonio e ironizzarono sul fatto che la sposa aveva venticinqu’anni meno di lui, il Principe ne fu furioso come di un insulto alla propria persona.