Il Sole 24 Ore, sabato 16 febbraio 2013, 20 febbraio 2013
Tags : Alessandro Proto
L’arresto di Alessandro Proto (articolo del 16/2/2013)
Il Sole 24 Ore, sabato 16 febbraio 2013
«So che sta mettendo il naso fra le mie cose. Lasci perdere. Non c’e niente di interessante». Con queste parole in un messaggio di posta elettronica, Alessandro Proto si era presentato al giornalista del Sole 24 Ore. Ma si sbagliava. Le «cose» di Proto si sono ora rivelate molto interessanti. A partire dalla sua straordinaria parabola professionale. Aveva iniziato il 2010 da illustre sconosciuto e lo aveva finito come capo di una cordata di investitori privati che si diceva pronta a rilevare il 10% della Tod’s. Nel 2011 aveva annunciato il suo ingresso in Fiat, Mediaset, UniCredit, sempre per conto di misteriosi investitori. Nel 2012 aveva poi preso di mira il salotto buono della borghesia milanese, la Rcs, casa editrice del Corriere della Sera. Il 2013 è andato meno bene. Giovedì scorso è finito a San Vittore. Su richiesta del procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco e del sostituto Isidoro Palma, che lo hanno accusato di manipolazione del mercato.
Una cosa è certa: come tutti gli uomini fattisi da soli, Alessandro Proto è uno straordinario venditore. Soprattutto di se stesso. E come per tutti i venditori, anche per lui i fatti e la realtà sono optional. Nel gennaio del 2010, quando nel suo ufficio di Via Lavizzari a Lugano c’era solo lui e a Milano non era ancora stata aperta la sede in Galleria, il sito della Alessandro Proto Consulting parlava già di una società che «opera a livello internazionale offrendo servizi a privati e aziende a 360 gradi». E sotto la foto di cinque baldi giovani spiccava il nome del partner di New York: «Blackstone Group», la più grande società di investimento al mondo. Era un sogno. Ma faceva una gran bella figura. Immaginario si è scoperto essere anche il rapporto con un’altra icona del mondo finanziario-immobiliare newyorkese, Donald Trump. A maggio del 2011, Proto aveva annunciato di averlo convinto a sbarcare in ltalia con un fondo di private equity da 300 milioni di euro per le piccole e medie imprese. Ma quando Il Sole 24 Ore ha chiesto conferma alla portavoce di Trump, Rhona Graff, la sua risposta è stata tanto concisa quanto definitiva: «Quell’informazione è errata».
Va bene, i rapporti con Blackstone e Trump se li è sognati, ma quelli con il Vaticano? Anche lì diceva di avere contatti. Ad altissimo livello. Il Sole 24 Ore ha trovato solo una labile traccia. Si tratta di una mail inviata il 3 ottobre 2012 dalla sede di Chiasso del Credit Suisse. Oggetto: «Richiesta informazioni». Ecco il testo: «In seguito ai nostri controlli interni sulla movimentazione dei conti della Alessandro Proto Consulting, in particolare sui bonifici “causale Ior”, le chiedo gentilmente di volermi fornire i retroscena economici (come copia delle fatture, motivi del pagamento, ecc.) delle operazioni in essere». Di fronte a un provato millantatore non si può affatto escludere che la causale attribuita a quei bonifici sia inventata. Un suo ex collaboratore ci ha comunque detto che a ottobre Credit Suisse ha chiuso quel conto e poco tempo dopo la Procura di Lugano ha aperto un’inchiesta per riciclaggio.
Ma veniamo alle attività che effettivamente conduceva questo sedicente «novello Cuccia» (nelle sue brochure presentava la Proto Consulting come una «piccola Mediobanca»). Il suo modello di business era relativamente semplice. Si trattava di sposare due esigenze opposte e complementari, quella di chi necessita di capitali per far crescere la propria piccola o media impresa con quella di chi è alla ricerca di opportunità di investimento. Perlomeno era così che presentava ai suoi interlocutori il suo fondo Caronte. Visto che nella mitologia greca Caronte era colui che traghettava i nuovi morti da una riva all’altra del fiume Acheronte, il nome è risultato meno inappropriato di quanto non si potesse pensare. Perché dalle indagini emerge che il traghettamento in cui si cimentava Proto portava semplicemente da una riva all’altra dell’inferno imprenditoriale.
L’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Milano Stefania Donadeo dice che l’attività d’intercettazione condotta dalla polizia giudiziaria prova «in maniera inequivocabile che i dipendenti di Proto sono intenti ad allettare ingenui imprenditori con proposte di finanziamento, evocando nomi prestigiosi di istituti di credito anche stranieri con i quali millantano rapporti di joint-venture in realtà inesistenti, ovvero evocando l’esistenza di investitori riuniti nel fondo Caronte». Nella sua inchiesta, Il Sole 24 Ore ha appurato che nei primi sei mesi del 2010 la Proto Consulting ruotava attorno a tre persone: lo stesso Proto, che operava per lo più dall’ufficio di Lugano, un suo vecchio socio in affari di nome Bruno Arini, che faceva la spola tra Svizzera e Italia, e un giovane collaboratore che da Milano si occupava delle analisi economiche e aziendali. Proto e Arini si occupavano della gestione degli investitori. Al loro collaboratore era assegnato il compito di selezionare gli imprenditori tra le decine che rispondevano alle inserzioni con le quali la Proto Consulting pubblicizzava il Fondo Caronte.
Claudio Carlot è stato uno di loro. «Avevo un disperato bisogno di fondi per dare respiro alla mia impresa, e dalle banche non riuscivo ad avere niente. Quell’annuncio mi faceva sperare in un’alternativa. Per questo decisi di contattarli», ricorda oggi l’imprenditore. «Nel primo incontro prospettai a Proto una richiesta di finanziamento di circa 150/250mila euro, sufficienti a mio avviso ad avviare una crescita costante. Ma il signor Proto mi disse che non dovevo aver paura a chiedere di più, perché i suoi investitori andavano “incoraggiati” a investire. Sbirciando appena i bilanci che gli avevo portato, mi parlò subito di un possibile intervento in termini di circa 800mila euro». Sarebbe stato prima necessario sviluppare un business plan. Poi, una volta trovati gli investitori interessati al progetto – e Proto contava di individuarli nel giro di pochissimo tempo – si sarebbe costituita una società anonima in Svizzera che avrebbe iniettato nuovi fondi in quella italiana rilevandone le quote. Il controllo azionario sarebbe comunque rimasto a Carlot. Impossibile rifiutare un’offerta così ghiotta. E infatti Carlot l’accettò. Il primo versamento che gli fu richiesto serviva a pagare il business plan (che però alla fine fece lui stesso). A questo seguì un secondo: per avviare le pratiche per la costituzione della società di diritto svizzero. Poi un terzo: per le spese notarili. E così via. Carlot si era rivolto a Proto per ottenere finanziamenti, ma per mesi ebbe soltanto richieste di fondi per sovvenzionare il progetto.
Il bello che soldi non ne vedevano neppure i collaboratori di Proto. All’inizio di agosto del 2010, non avendo avuto un compenso per mesi, il primo di loro decise di lasciare. Sei mesi dopo, lasciò anche il suo successore, che in seguito alla denuncia per truffa sporta da Carlot nel novembre 2011, è stato sentito dai Carabinieri. Ai quali confermò «di aver svolto su incarico di Proto alcune consulenze a favore della ditta rappresentata dal querelante tese a reperire risorse finanziarie», ma spiegò che «il suo rapporto di lavoro con l’indagato, iniziato nel mese di luglio 2010, si interrompeva a dicembre di quell’anno poiché questi non lo retribuiva». «Più passava il tempo più venni preso dal panico – spiega Carlot –. Ma non avendo alternative restai attaccato a quella speranza come ultima spiaggia». Anche perché Proto gli aveva detto di aver trovato un investitore interessato. Carlot andò appositamente a Milano per incontrarlo. Era Bruno Arini, il vecchio socio di Proto. Con il quale l’imprenditore cominciò una massacrante trattativa. Ma i finanziamenti continuarono a non vedersi. Per motivi sempre diversi. Emblematico è il testo (oltre che l’italiano) di una mail che Proto inviò a Carlot il 4 maggio 2011: «Abbiamo spinto per far accettare il suo progetto. Io personalmente ci credo e anche molto, ma non ho (personalmente) i soldi sufficienti per investirci sopra, altrimenti lo avrei già fatto. Sono riuscito a convincere l’investitore nel farlo... Purtroppo il discorso è che i tempi erano e sono ristretti e non abbiamo potuto muoverci con più investitori dovendoci soffermarci solo su uno/due e anche se siamo riusciti a far passare l’investimento, nel momento in cui sorge qualche intoppo questo non aiuta di certo».
Con l’investitore che continuava a latitare, nella primavera del 2011 dal cilindro di Proto uscì una nuova proposta: Carlot avrebbe potuto acquisire una quota della Proto Consulting per poi ottenere, in qualità di socio, un prestito di 300mila euro. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. E che spinse Carlot a rivolgersi ai Carabinieri. Nel corso di un anno, ha riferito nella sua denuncia per truffa, Proto gli aveva spillato 17.800 euro. Il Sole 24 Ore ha ripetutamente dato a Proto l’opportunità di presentare la sua versione dei fatti. Ma poco prima del suo arresto ha respinto l’offerta con una mail in cui ci invitava ad andare a «rompere il c...a qualcun’altro».
«So che sta mettendo il naso fra le mie cose. Lasci perdere. Non c’e niente di interessante». Con queste parole in un messaggio di posta elettronica, Alessandro Proto si era presentato al giornalista del Sole 24 Ore. Ma si sbagliava. Le «cose» di Proto si sono ora rivelate molto interessanti. A partire dalla sua straordinaria parabola professionale. Aveva iniziato il 2010 da illustre sconosciuto e lo aveva finito come capo di una cordata di investitori privati che si diceva pronta a rilevare il 10% della Tod’s. Nel 2011 aveva annunciato il suo ingresso in Fiat, Mediaset, UniCredit, sempre per conto di misteriosi investitori. Nel 2012 aveva poi preso di mira il salotto buono della borghesia milanese, la Rcs, casa editrice del Corriere della Sera. Il 2013 è andato meno bene. Giovedì scorso è finito a San Vittore. Su richiesta del procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco e del sostituto Isidoro Palma, che lo hanno accusato di manipolazione del mercato.
Una cosa è certa: come tutti gli uomini fattisi da soli, Alessandro Proto è uno straordinario venditore. Soprattutto di se stesso. E come per tutti i venditori, anche per lui i fatti e la realtà sono optional. Nel gennaio del 2010, quando nel suo ufficio di Via Lavizzari a Lugano c’era solo lui e a Milano non era ancora stata aperta la sede in Galleria, il sito della Alessandro Proto Consulting parlava già di una società che «opera a livello internazionale offrendo servizi a privati e aziende a 360 gradi». E sotto la foto di cinque baldi giovani spiccava il nome del partner di New York: «Blackstone Group», la più grande società di investimento al mondo. Era un sogno. Ma faceva una gran bella figura. Immaginario si è scoperto essere anche il rapporto con un’altra icona del mondo finanziario-immobiliare newyorkese, Donald Trump. A maggio del 2011, Proto aveva annunciato di averlo convinto a sbarcare in ltalia con un fondo di private equity da 300 milioni di euro per le piccole e medie imprese. Ma quando Il Sole 24 Ore ha chiesto conferma alla portavoce di Trump, Rhona Graff, la sua risposta è stata tanto concisa quanto definitiva: «Quell’informazione è errata».
Va bene, i rapporti con Blackstone e Trump se li è sognati, ma quelli con il Vaticano? Anche lì diceva di avere contatti. Ad altissimo livello. Il Sole 24 Ore ha trovato solo una labile traccia. Si tratta di una mail inviata il 3 ottobre 2012 dalla sede di Chiasso del Credit Suisse. Oggetto: «Richiesta informazioni». Ecco il testo: «In seguito ai nostri controlli interni sulla movimentazione dei conti della Alessandro Proto Consulting, in particolare sui bonifici “causale Ior”, le chiedo gentilmente di volermi fornire i retroscena economici (come copia delle fatture, motivi del pagamento, ecc.) delle operazioni in essere». Di fronte a un provato millantatore non si può affatto escludere che la causale attribuita a quei bonifici sia inventata. Un suo ex collaboratore ci ha comunque detto che a ottobre Credit Suisse ha chiuso quel conto e poco tempo dopo la Procura di Lugano ha aperto un’inchiesta per riciclaggio.
Ma veniamo alle attività che effettivamente conduceva questo sedicente «novello Cuccia» (nelle sue brochure presentava la Proto Consulting come una «piccola Mediobanca»). Il suo modello di business era relativamente semplice. Si trattava di sposare due esigenze opposte e complementari, quella di chi necessita di capitali per far crescere la propria piccola o media impresa con quella di chi è alla ricerca di opportunità di investimento. Perlomeno era così che presentava ai suoi interlocutori il suo fondo Caronte. Visto che nella mitologia greca Caronte era colui che traghettava i nuovi morti da una riva all’altra del fiume Acheronte, il nome è risultato meno inappropriato di quanto non si potesse pensare. Perché dalle indagini emerge che il traghettamento in cui si cimentava Proto portava semplicemente da una riva all’altra dell’inferno imprenditoriale.
L’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Milano Stefania Donadeo dice che l’attività d’intercettazione condotta dalla polizia giudiziaria prova «in maniera inequivocabile che i dipendenti di Proto sono intenti ad allettare ingenui imprenditori con proposte di finanziamento, evocando nomi prestigiosi di istituti di credito anche stranieri con i quali millantano rapporti di joint-venture in realtà inesistenti, ovvero evocando l’esistenza di investitori riuniti nel fondo Caronte». Nella sua inchiesta, Il Sole 24 Ore ha appurato che nei primi sei mesi del 2010 la Proto Consulting ruotava attorno a tre persone: lo stesso Proto, che operava per lo più dall’ufficio di Lugano, un suo vecchio socio in affari di nome Bruno Arini, che faceva la spola tra Svizzera e Italia, e un giovane collaboratore che da Milano si occupava delle analisi economiche e aziendali. Proto e Arini si occupavano della gestione degli investitori. Al loro collaboratore era assegnato il compito di selezionare gli imprenditori tra le decine che rispondevano alle inserzioni con le quali la Proto Consulting pubblicizzava il Fondo Caronte.
Claudio Carlot è stato uno di loro. «Avevo un disperato bisogno di fondi per dare respiro alla mia impresa, e dalle banche non riuscivo ad avere niente. Quell’annuncio mi faceva sperare in un’alternativa. Per questo decisi di contattarli», ricorda oggi l’imprenditore. «Nel primo incontro prospettai a Proto una richiesta di finanziamento di circa 150/250mila euro, sufficienti a mio avviso ad avviare una crescita costante. Ma il signor Proto mi disse che non dovevo aver paura a chiedere di più, perché i suoi investitori andavano “incoraggiati” a investire. Sbirciando appena i bilanci che gli avevo portato, mi parlò subito di un possibile intervento in termini di circa 800mila euro». Sarebbe stato prima necessario sviluppare un business plan. Poi, una volta trovati gli investitori interessati al progetto – e Proto contava di individuarli nel giro di pochissimo tempo – si sarebbe costituita una società anonima in Svizzera che avrebbe iniettato nuovi fondi in quella italiana rilevandone le quote. Il controllo azionario sarebbe comunque rimasto a Carlot. Impossibile rifiutare un’offerta così ghiotta. E infatti Carlot l’accettò. Il primo versamento che gli fu richiesto serviva a pagare il business plan (che però alla fine fece lui stesso). A questo seguì un secondo: per avviare le pratiche per la costituzione della società di diritto svizzero. Poi un terzo: per le spese notarili. E così via. Carlot si era rivolto a Proto per ottenere finanziamenti, ma per mesi ebbe soltanto richieste di fondi per sovvenzionare il progetto.
Il bello che soldi non ne vedevano neppure i collaboratori di Proto. All’inizio di agosto del 2010, non avendo avuto un compenso per mesi, il primo di loro decise di lasciare. Sei mesi dopo, lasciò anche il suo successore, che in seguito alla denuncia per truffa sporta da Carlot nel novembre 2011, è stato sentito dai Carabinieri. Ai quali confermò «di aver svolto su incarico di Proto alcune consulenze a favore della ditta rappresentata dal querelante tese a reperire risorse finanziarie», ma spiegò che «il suo rapporto di lavoro con l’indagato, iniziato nel mese di luglio 2010, si interrompeva a dicembre di quell’anno poiché questi non lo retribuiva». «Più passava il tempo più venni preso dal panico – spiega Carlot –. Ma non avendo alternative restai attaccato a quella speranza come ultima spiaggia». Anche perché Proto gli aveva detto di aver trovato un investitore interessato. Carlot andò appositamente a Milano per incontrarlo. Era Bruno Arini, il vecchio socio di Proto. Con il quale l’imprenditore cominciò una massacrante trattativa. Ma i finanziamenti continuarono a non vedersi. Per motivi sempre diversi. Emblematico è il testo (oltre che l’italiano) di una mail che Proto inviò a Carlot il 4 maggio 2011: «Abbiamo spinto per far accettare il suo progetto. Io personalmente ci credo e anche molto, ma non ho (personalmente) i soldi sufficienti per investirci sopra, altrimenti lo avrei già fatto. Sono riuscito a convincere l’investitore nel farlo... Purtroppo il discorso è che i tempi erano e sono ristretti e non abbiamo potuto muoverci con più investitori dovendoci soffermarci solo su uno/due e anche se siamo riusciti a far passare l’investimento, nel momento in cui sorge qualche intoppo questo non aiuta di certo».
Con l’investitore che continuava a latitare, nella primavera del 2011 dal cilindro di Proto uscì una nuova proposta: Carlot avrebbe potuto acquisire una quota della Proto Consulting per poi ottenere, in qualità di socio, un prestito di 300mila euro. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. E che spinse Carlot a rivolgersi ai Carabinieri. Nel corso di un anno, ha riferito nella sua denuncia per truffa, Proto gli aveva spillato 17.800 euro. Il Sole 24 Ore ha ripetutamente dato a Proto l’opportunità di presentare la sua versione dei fatti. Ma poco prima del suo arresto ha respinto l’offerta con una mail in cui ci invitava ad andare a «rompere il c...a qualcun’altro».