La Gazzetta dello Sport, 19 febbraio 2013
La parola chiave di quest’ultima settimana di campagna elettorale è “piazze”. Come mai tutti evitano le piazze tranne Grillo e, in questi utlimi giorni, Bersani? È proprio vero che sarà la piazza televisiva a determinare la vittoria finale, come sembra di capire guardando i palinsesti zeppi di politica? E perché riunirsi nel chiuso di un teatro invece che affrontare la folla dei propri sostenitori all’aperto?• Forse non esiste più «la folla dei propri sostenitori»? È un problema
La parola chiave di quest’ultima settimana di campagna elettorale è “piazze”. Come mai tutti evitano le piazze tranne Grillo e, in questi utlimi giorni, Bersani? È proprio vero che sarà la piazza televisiva a determinare la vittoria finale, come sembra di capire guardando i palinsesti zeppi di politica? E perché riunirsi nel chiuso di un teatro invece che affrontare la folla dei propri sostenitori all’aperto?
• Forse non esiste più «la folla dei propri sostenitori»?
È un problema. In tempi normali, il Pd o i sindacati aggirano il problema della disaffezione dei loro ipotetici supporter moltiplicando il numero delle manifestazioni, in modo che giornali e tg possano titolare «cento città in piazza» o simili. Nessuno va a vedere quanti militanti stanno poi effettivamente in ogni singola piazza, e così non si viene a sapere che quasi sempre si tratta di poche decine o di poche centinaia di persone. Sul profilo twitter di Bersani è apparsa una foto di piazza del Duomo gremitissima, e il sottinteso era che si trattasse della manifestazione di sabato scorso. Ma i navigatori si sono accorti subito che quella era una piazza del Duomo del 2011, in occasione del comizio finale di Pisapia, e la foto quindi è stata ritirata con tante scuse. Un incidente, ma significativo di una specie di nostalgia per il tempo che fu. Oltre tutto, sabato scorso in piazza del Duomo, con Vendola, Pisapia, Ambrosoli e Prodi, i militanti sotto il palco di Bersani non erano mica pochi.
• Ma non erano tanti come due anni fa. Quindi, nel frattempo, è successo qualcosa.
La piazza è luogo della politica dal tempo dei tempi. Si può andare a ben prima di Bava Beccaris e risalire fino alle manifestazioni con più di venti morti a Torino quando si decise di spostare la capitale a Firenze (1864) o agli immensi cortei romani, sapientemente organizzati, per papa Pio IX (1846-1847). Poi ci sono le grandi marce di questo dopoguerra, i metalmeccanici, la scuola, la grande manifestazione che nel 1994 fece cadere Berlusconi. Perché una volta sì, e adesso non più? Perché, con la disillusione e la fine delle ideologie, è finita l’emozione, ingrediente essenziale per questi spettacoli politici. A Roma questi o quelli sfilano praticamente tutti i sabati, gridano, cantano, ma sono sempre poche decine e il loro sbracciarsi è assolutamente inutile. Le do la controprova di questo ragionamento: domenica scorsa piazza San Pietro era di nuovo piena di pellegrini venuti ad ascoltare il penultimo Angelus del Papa. Le dimissioni hanno agito fortemente sul cuore del popolo, il quale s’è schierato col cuore prima ancora che col cervello a fianco al Pastore tradito dai suoi. Ma dalla morte di Wojtyla a oggi, invece, quella piazza era andata lentamente svuotandosi, fino ad indurre commentatori, sociologi, giornalisti a interrogarsi sulla perdita di affetto per la Chiesa. Il freddo ragionare di Benedetto XVI, un uomo dal fuoco tutto interiore, aveva a poco a poco spento le emozioni che aveva suscitato Wojtyla. È per l’emozione che sapeva trasmettere che risulta indimenticabile un uomo come Giovanni XXIII, il cui pontificato durò poco meno di cinque anni. Ma sempre a piazze piene.
• Grillo perciò trasmette soprattutto un’emozione.
Sì, la benzina di Grillo è la rabbia di tutti verso i nostri politici incapaci e corrotti. Senza eccezioni. Non eravamo a Cremona, per il comizio di ieri sera, ma il giornale del posto, “La Provincia”, ha titolato su Google «Piazza Stradivari stracolma». Dentro, la foto è simile a quella di Pisapia del 2011: gente accalcata ovunque, comprese le strade adiacenti. Il comico tra l’altro ha detto: «Noi non abbiamo più bisogno della televisione. È questa, la piazza, la nostra tv».
• Cioè, c’è chi la piazza se la può permettere e chi no.
Bersani un qualche recupero della piazza, visti i successi della tournée di Grillo, lo sta tentando. Domani sarà a Palermo con Matteo Renzi e il governatore Crocetta, giovedì andrà a Napoli (piazza del Plebiscito), venerdì sarà a Roma anche lui, ma al chiuso del teatro Ambra Jovinelli, col candidato alla presidenza della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Oltre tutto, lo diciamo per chi non ha dimestichezza con la capitale, l’Ambra Jovinelli è a meno di un chilometro da piazza Sam Giovanni, qualche mescolanza con i grillini sarà inevitabile. Quanto a Berlusconi, la piazza e il grande comizio organizzato alla maniera del 1° maggio non fa per lui. Preferisce i teatri o i luoghi comunque chiusi, dove i suoi tifosi stanno seduti e ingannano il tempo applaudendo. Ieri, alla Fiera di Milano, un tizio lo ha contestato tirandogli addosso degli aeroplanini di carta e mentre una decina di militanti furiosi lo allontanavano al grido di «Monte dei Paschi!», s’è sentita la voce del Cav gridare: «È il solito juventino».
• Ma la televisione conta ancora o no?
Chi sa. All’inizio degli anni Novanta la Lega entrò in Parlamento benché del tutto ignorata dai tg. Oggi è un bombardamento, con risultati tutti da capire. Negli Stati Uniti è capitato quasi sempre che il candidato vincitore del confronto televisivo sia poi uscito battuto al voto. Il grande successo del Cavaliere da Santoro non garantisce affatto la vittoria il 24-25 febbraio, anche se Berlusconi ha conquistato l’Italia con le sue tre reti. Grillo, a non andare in tv, forse l’ha indovinata. E però le televisioni non fanno altro che parlare di lui e mostrarcelo che grida dal palco insulti asssai graditi, in genere, alle orecchie dei telespettatori. Alla fine, in televisione ci va in realtà anche lui, e parecchio.