La Stampa, lunedì 11 giugno 1984, 17 febbraio 2013
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Un cantante che non stecca da oltre vent’anni (articolo dell’11/6/1984)
La Stampa, lunedì 11 giugno 1984
Vi sono musicisti che alla fine del loro lavoro appaiono come una stonatura. L’immagine di Domenico Modugno invece non «stecca» da oltre vent’anni.
Dopo aver alimentato le nostre emozioni di ragazzi sempre troppo pronti a sussurrare Resta cu’mmè, o ad esaltarci nel maschio sacrificio de Lu pisci spada; dopo aver provocato dentro di noi il sopito fantasma in erba dell’Uomo in frac e sofferto le nostre pene d’amore in una Strada ’nfosa, non ha più smesso d’intrigarci. Ha tremato, accarezzato, baciato, le nostre amorose; gioito, pianto, urlato il suo amore incontenibile. È riuscito anche a dare un tocco di blu madonna al blu di un cielo musicale che fino ad allora possedeva soltanto toni di grigio.
Adesso ripropone il suo volto di «gatto paterno» sugli schermi di Canale 5, in una trasmissione dal titolo che è già una favola: La luna nel pozzo.
Domenico Modugno a 56 anni è ancora intento a cogliere con uno sguardo le immagini del mondo.
«Ma quante cose entrano in un occhio!» osserva con quella sua voce profonda, urlante, carica di entusiasmo che non si rassegna alla banalità di un successo acquisito.
«Esiste una originalità per difetto che non riesce a librarsi fino alla banalità. Ecco i limiti di tanti. Io dico cose vere, amo le emozioni, mi emoziono ancora per una vita spesa per dare, dare, dare. Eccomi dunque in un’altra parentesi faticosa della vita. Com’è bello mischiare le carte e divertirmi in un nuovo ruolo qui a Canale 5!». Perché una tv privata?
«Perché la simpatia è una delle componenti di un ambiente favorevole alla vita e qui ce n’è tanta. Ecco, è un po’ come lavorare in proprio invece che sotto padrone».
Lei ne ha avuti molti di padroni?
«Era il 1948 ed ero al bar ristorante Orfeo al parco del Valentino di Torino. Ricordo la mia fisarmonica e tanti chilometri a piedi perché servivo ai tavoli. Ma quanto coraggio! Scusa mai annoiarmi però, perché ci sono persone che si annoiano e cercano cose che non li annoino: è l’artista che è annoiato dalle cose ma non si annoia mai. Poi le prime conquiste nel mondo dello spettacolo».
Il successo?
«Quello è davvero una marcia longa, un punto X da raggiungere senza bussola e senza stelle, a cavallo di un cammello che scalpita, ti sconquassa, ti distrugge».
Adesso è ricco?
«Sì, almeno tanto da non aver problemi. Ma io ho avuto ed ho tanta vitalità e gioia da dividere con tutti e ho conquistato tutto a poco a poco, che se uno non inizia a mangiare, la fame non gli viene».
Qualche spezzone televisivo a volte ripropone le sue mani tese Nel blu dipinto di blu e le gambe che si muovono a ritmo con uno svolazzio di calzoni. Un po’ come rivedere Fausto Coppi che scala lo Stelvio. Si è mai rivisto?
«Sì, purtroppo. E mi faccio ridere, sono comico. Non si dovrebbe mai registrare mo... che so, fermare quell’immagine con un dipinto. Chissà che parte farebbe Ermete Zacconi se lo potessimo rivedere in tv».
Com’è Berlusconi?
«Non è la classica “leccata”, ma è uomo velocissimo a dare un giudizio che si rivelerà poi giusto, anche in campo artistico. Ecco, uno che ha intelligenza e sensibilità: possiede insomma un’antenna in più».
In 31 anni di carriera che cosa ricorda volentieri?
«Montale. Eugenio Montale espresse il desiderio di conoscermi. Seppi che mi amava moltissimo. Mi volle a casa sua per fargli sentire Lu pisci spada. Ero imbarazzato ma la cantai. Era entusiasta. Poi mi disse: “Senta Modugno, lei che ha tanta sensibilità, mi ascolti per favore, dia un giudizio su come canto”. Con una splendida voce mi cantò un pezzo d’opera. E allora? Mi guardava come un ragazzo. Montale era carico di quell’ironia che non sai mai dove termina e dove comincia la verità. Sempre molto imbarazzato dovetti dirglielo: “Se lei non fosse quel gran poeta che è avrebbe una carriera assicurata”».
Che cos’è la famiglia?
«Il centro dell’universo. Senza mi perderei nello spazio».
Lei ha tre figli. Si ritiene un buon padre?
«Non so. Come si fa a dire. Sono sempre stato un figlio. Ma ho dato ciò che i miei genitori hanno insegnato a me e che avevano appreso dai loro genitori. So che viviamo bene insieme».
Gli amici?
Ride: «Tre, no, due, no, uno, forse nemmeno quello».
Le donne?
Domenico Modugno ha un gorgoglio nella voce, un sussulto vocale che cresce, un richiamo d’amore: «Ah, sono la gioia degli occhi, del cervello, del cuore, dell’anima, di tutto. Un gineceo, l’utero del mondo! Dio, come le amo!».
Vi sono musicisti che alla fine del loro lavoro appaiono come una stonatura. L’immagine di Domenico Modugno invece non «stecca» da oltre vent’anni.
Dopo aver alimentato le nostre emozioni di ragazzi sempre troppo pronti a sussurrare Resta cu’mmè, o ad esaltarci nel maschio sacrificio de Lu pisci spada; dopo aver provocato dentro di noi il sopito fantasma in erba dell’Uomo in frac e sofferto le nostre pene d’amore in una Strada ’nfosa, non ha più smesso d’intrigarci. Ha tremato, accarezzato, baciato, le nostre amorose; gioito, pianto, urlato il suo amore incontenibile. È riuscito anche a dare un tocco di blu madonna al blu di un cielo musicale che fino ad allora possedeva soltanto toni di grigio.
Adesso ripropone il suo volto di «gatto paterno» sugli schermi di Canale 5, in una trasmissione dal titolo che è già una favola: La luna nel pozzo.
Domenico Modugno a 56 anni è ancora intento a cogliere con uno sguardo le immagini del mondo.
«Ma quante cose entrano in un occhio!» osserva con quella sua voce profonda, urlante, carica di entusiasmo che non si rassegna alla banalità di un successo acquisito.
«Esiste una originalità per difetto che non riesce a librarsi fino alla banalità. Ecco i limiti di tanti. Io dico cose vere, amo le emozioni, mi emoziono ancora per una vita spesa per dare, dare, dare. Eccomi dunque in un’altra parentesi faticosa della vita. Com’è bello mischiare le carte e divertirmi in un nuovo ruolo qui a Canale 5!». Perché una tv privata?
«Perché la simpatia è una delle componenti di un ambiente favorevole alla vita e qui ce n’è tanta. Ecco, è un po’ come lavorare in proprio invece che sotto padrone».
Lei ne ha avuti molti di padroni?
«Era il 1948 ed ero al bar ristorante Orfeo al parco del Valentino di Torino. Ricordo la mia fisarmonica e tanti chilometri a piedi perché servivo ai tavoli. Ma quanto coraggio! Scusa mai annoiarmi però, perché ci sono persone che si annoiano e cercano cose che non li annoino: è l’artista che è annoiato dalle cose ma non si annoia mai. Poi le prime conquiste nel mondo dello spettacolo».
Il successo?
«Quello è davvero una marcia longa, un punto X da raggiungere senza bussola e senza stelle, a cavallo di un cammello che scalpita, ti sconquassa, ti distrugge».
Adesso è ricco?
«Sì, almeno tanto da non aver problemi. Ma io ho avuto ed ho tanta vitalità e gioia da dividere con tutti e ho conquistato tutto a poco a poco, che se uno non inizia a mangiare, la fame non gli viene».
Qualche spezzone televisivo a volte ripropone le sue mani tese Nel blu dipinto di blu e le gambe che si muovono a ritmo con uno svolazzio di calzoni. Un po’ come rivedere Fausto Coppi che scala lo Stelvio. Si è mai rivisto?
«Sì, purtroppo. E mi faccio ridere, sono comico. Non si dovrebbe mai registrare mo... che so, fermare quell’immagine con un dipinto. Chissà che parte farebbe Ermete Zacconi se lo potessimo rivedere in tv».
Com’è Berlusconi?
«Non è la classica “leccata”, ma è uomo velocissimo a dare un giudizio che si rivelerà poi giusto, anche in campo artistico. Ecco, uno che ha intelligenza e sensibilità: possiede insomma un’antenna in più».
In 31 anni di carriera che cosa ricorda volentieri?
«Montale. Eugenio Montale espresse il desiderio di conoscermi. Seppi che mi amava moltissimo. Mi volle a casa sua per fargli sentire Lu pisci spada. Ero imbarazzato ma la cantai. Era entusiasta. Poi mi disse: “Senta Modugno, lei che ha tanta sensibilità, mi ascolti per favore, dia un giudizio su come canto”. Con una splendida voce mi cantò un pezzo d’opera. E allora? Mi guardava come un ragazzo. Montale era carico di quell’ironia che non sai mai dove termina e dove comincia la verità. Sempre molto imbarazzato dovetti dirglielo: “Se lei non fosse quel gran poeta che è avrebbe una carriera assicurata”».
Che cos’è la famiglia?
«Il centro dell’universo. Senza mi perderei nello spazio».
Lei ha tre figli. Si ritiene un buon padre?
«Non so. Come si fa a dire. Sono sempre stato un figlio. Ma ho dato ciò che i miei genitori hanno insegnato a me e che avevano appreso dai loro genitori. So che viviamo bene insieme».
Gli amici?
Ride: «Tre, no, due, no, uno, forse nemmeno quello».
Le donne?
Domenico Modugno ha un gorgoglio nella voce, un sussulto vocale che cresce, un richiamo d’amore: «Ah, sono la gioia degli occhi, del cervello, del cuore, dell’anima, di tutto. Un gineceo, l’utero del mondo! Dio, come le amo!».
Nevio Boni