13 febbraio 2013
Tags : Elio Ciol
Biografia di Elio Ciol
• Casarsa della Delizia (Pordenone) 3 marzo 1929. Fotografo. • «“Ho attraversato tutta l’evoluzione della fotografia. Ho cominciato in camera oscura con le lastre fotosensibili per arrivare attraverso le pellicole ortocromatiche e quelle pancromatiche fino al digitale” (...) È uno dei più grandi fotografi italiani. Sa vivere il presente perché legato al suo passato e aperto al futuro. Valuta vantaggi e svantaggi della moderna tecnologia, mai pago di imparare, e non ha perso il gusto di stupirsi: “Il digitale rende ancora più della pellicola. Vede più in profondità e riesce a riprodurre perfettamente tutte quelle gradazioni dei toni nelle ombre che invece la pellicola schiacciava”. E il fatto che con il digitale sia più facile manipolare l’immagine? “La fotografia ha sempre manipolato l’immagine, ma con fatica. Oggi è molto facile. L’importante è essere fedeli a se stessi. Alla base c’è una scelta etica nei confronti della realtà”. Dalla prima mostra di Udine nel 1949 (...) ha esposto in tutto il mondo, con quasi centoventi personali e altrettante collettive. Ha pubblicato oltre duecento volumi, e sue opere sono conservate nei musei di Stati Uniti, Canada, Inghilterra e Belgio. Grande sperimentatore, spesso ha fatto uso di pellicole all’infrarosso: la prima, una bobina per foto aeree, acquistata nel 1945 presso la rivendita dell’esercito alleato. Attraverso quelle pellicole, alberi e campi si accendono di una luce interna che ha fatto definire “trascendentali” i suoi paesaggi. Dalla campagna friulana ai canyon americani, dalla Libia alla Palestina, il bianco e nero di Ciol sa cogliere di ogni luogo la vita silenziosa e il mistero. (...) “Sono praticamente nato in camera oscura. Mio padre era fotografo a Casarsa della Delizia, in Friuli, dove tuttora risiedo. Fin da piccolo quella era la mia stanza segreta. Ho cominciato a lavorare con mio padre a quattordici anni. I miei primi soggetti sono stati gli ufficiali tedeschi che venivano a farsi ritrarre in sala posa. Ma la mia aspirazione era diventare meccanico. Vedevo i miei amici, figli di contadini, capaci di risolvere ogni problema tecnico e ne ero affascinato”. Il mondo contadino è uno dei soggetti più ritratti dal suo obiettivo... “La cosa più interessante è che, nonostante l’avessi sempre sotto gli occhi, l’ho scoperto davvero solo grazie alla fotografia. Un giorno un soldato dell’Asse mi portò delle pellicole da sviluppare. Ce n’erano alcune di nostri contadini: fu come se li vedessi per la prima volta. Quelle foto mi hanno aperto gli occhi, mi hanno fatto capire che occorre uno sguardo particolare per cogliere ciò che ci circonda”. (...) Ritrae la campagna e più in generale un mondo plasmato dai ritmi della natura e insieme dalla fatica dell’uomo. Sono immagini capaci di giungere alle soglie dell’astrazione. (...) “Ho scoperto i disegni della campagna, dei gelsi, delle viti, uscendo dalla camera oscura, quando per l’impatto con la luce sei costretto a stringere gli occhi. Chiudendo le palpebre restavano solo le linee essenziali, l’ossatura interiore delle creature e del creato. Così è cambiato il mio modo di vedere: quando uscivo in campagna socchiudevo gli occhi per cogliere l’essenzialità del disegno. Quando inquadro un paesaggio nel mio obiettivo non cerco di cogliere l’attimo ma un’armonia ben più profonda. La cura che metto in ogni scatto l’ho imparata dai contadini”. L’altro grande tema da lei affrontato è l’arte. Ci sono affinità con il fotografare la natura? “In entrambi i casi ciò che importa è la distribuzione delle masse e delle luci, del chiaro e dello scuro. In natura e arte solo una cosa conta: l’armonia. La scultura è una buona pietra di paragone per valutare le qualità di un fotografo, perché vive di luce come la fotografia. L’ho imparato lavorando nello studio di posa, dove la luce è naturale, come nello studio di uno scultore. Quando coglie nel segno, la fotografia permette di vedere le opere d’arte in modo nuovo, inedito. Quando Pope-Hennessy, già direttore del Victoria and Albert Museum, e poi del British Museum di Londra e infine del Dipartimento di pittura europea del Metropolitan di New York, nel 1991 vide le mie foto delle opere padovane di Donatello mi volle a tutti i costi per realizzare le immagini della sua monografia dedicata allo scultore fiorentino” (...) Assisi è centrale nella sua opera e nella sua vita (...) “Innanzitutto perché nel 1963 vi ho conosciuto Rita, che ho sposato due anni dopo. E poi perché ad Assisi ho scattato alcune delle mie foto più belle. L’ho scoperta un inverno (...) La valle era piena di nebbia e, salendo alla rocca, a un tratto sono uscito nel sole e sotto di me c’era un mare di nuvole. (...) Come un passaggio dalle cose tetre a quelle splendenti, in uno spazio che si allunga all’infinito (...) La fotografia per me è un modo più profondo di vedere la realtà. Il vero ha un fascino estremo. Per questo ho scelto di fotografare cose semplicissime. È il mio modo di essere contemporaneo”» (Giovanni Gazzaneo) [Avv 1/3/2009].