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 2013  febbraio 12 Martedì calendario

I commenti sulle dimissioni di Benedetto XVI

• Scrive Massimo Franco sul Cds: «Forse, però, colpisce di più che fosse all’oscuro di tutto il cardinale Angelo Sodano, ex segretario di Stato e numero uno del Collegio Cardinalizio; e con lui altre eminenze, che parlano di “fulmine a ciel sereno”. È come se perfino in queste ore si intravedesse una singolare struttura tribale, che ha dominato la vita di Curia con amicizie e ostilità talmente radicate da essere immuni a qualunque richiamo all’unità del pontefice. Sotto voce, si parla del contenuto “sconvolgente” del rapporto segreto che tre cardinali anziani hanno consegnato nei mesi scorsi a proposito di Vatileaks, la fuga di notizie riservate per la quale è stato incriminato e condannato solo il maggiordomo papale, Paolo Gabriele. Si fa notare che da oltre otto mesi lo Ior, l’Istituto per le opere di religione considerato “la banca del Papa”, è senza presidente dopo la sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi. Rimane l’eco intermittente dello scandalo dei preti pedofili, che pure il pontefice ha affrontato a costo di scontrarsi con una cultura del segreto ancora diffusa negli ambienti vaticani. E continuano a spuntare “buchi” di bilancio a carico di istituti cattolici, dopo la presunta truffa milionaria a danno dei Salesiani: un episodio imbarazzante per il quale il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha inutilmente cercato la solidarietà e la comprensione della magistratura italiana».  

• Sempre sul Cds fa notare lo storico della chiesa Vittorio Messori che «l’11 febbraio, ricorrenza della prima apparizione della Vergine a Lourdes, è stata dichiarata dall’“amato e venerato predecessore”, come sempre lo ha chiamato, Giornata mondiale del malato. Ha detto Ratzinger, nel latino della breve e sconvolgente dichiarazione: “Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Terenzio, e poi Seneca, Cicerone e tanti altri avevano ricordato mestamente: senectus ipsa est morbus, la vecchiaia stessa è una malattia. Dunque, è infermo comunque chi, come lui, il prossimo 16 aprile compirà 86 anni. Ha aggiunto, infatti: “Il vigore del corpo e dell’animo negli ultimi mesi in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Quale giorno più adeguato, dunque, per prendere atto davanti al mondo della propria infirmitas di vegliardo di quello dedicato alla Madonna di Lourdes, protettrice dei malati? In fondo, anche in questo vi è un segno di solidarietà fraterna per tutti coloro che, per morbi o per anni, non possono più contare sulle proprie forze».  

• Eugenio Scalfari su Rep: «La Chiesa si laicizza. Il Papa è stato finora considerato all’interno della Chiesa e della comunità dei credenti, come Vicario di Cristo in terra e, infatti, quando parla “ex cathedra” su questioni di fede la sua parola è infallibile come decretò il Concilio Vaticano I del 1870. Questo punto è ancora l’ostacolo non superato che ha impedito l’unificazione tra cattolici e anglicani e tra cattolici e ortodossi della Chiesa orientale. Gli altri ostacoli erano in gran parte superati, perfino quelli della supremazia del Vescovo di Roma su tutti gli altri: il primate della Russia era pronto a riconoscere al Vescovo di Roma la primazia di “primus inter pares” ma non quella di Vicario in terra della Divinità. Le dimissioni di Benedetto XVI cancellano questo ostacolo; il canone infatti pone una sola condizione: che il Papa prenda la sua decisione in piena libertà, cioè che non gravi su di essa alcuna ombra di pressione e di ricatto. Il volere di Cristo non è neppure citato né Ratzinger ne fa menzione nelle brevi parole con le quali ha comunicato la sua decisione al Concistoro convocato ieri mattina per occuparsi di tutt’altri oggetti. Viene dunque meno il rapporto diretto tra il Capo della Chiesa e il Figlio di Dio e l’autorità del Vescovo di Roma su tutta la cristianità non deriva da altro che dall’elezione in conclave da parte dei cardinali, una cerimonia del tutto laica salvo il luogo in cui si svolge (la cappella Sistina che è una chiesa consacrata) e il profumo d’incenso e il suono delle campane che accompagnano il “Veni Creator Spiritus”».  

• Su Rep Vito Mancuso evidenzia su cosa significhi veramente fare il Papa: «Fino a ieri “essere papa” e “fare il papa” era la medesima cosa. Fino a ieri la persona e il ruolo si identificavano, non c’era soluzione di continuità, ed anzi, se tra le due dimensioni doveva prevalerne una, era certamente quella di “essere papa” a prevalere, facendo passare in secondo piano il fatto di avere o no le piene possibilità di poterlo fare. Tutti ricordano, ai tempi della conclamata malattia di Giovanni Paolo II, le ripetute assicurazioni della Sala stampa vaticana sulle sue condizioni di salute. Giovanni Paolo II non poteva più fare il papa, ma lo era, e ciò bastava. Prevaleva la dimensione sacrale, legata all’essenza, al carisma, allo status, all’essere papa a prescindere anche dal proprio corpo. E non a caso Giovanni Paolo II, quando qualcuno gli prospettava l’ipotesi delle dimissioni, era solito ripetere che «dalla croce non si scende». Benedetto XVI vuole forse scendere dalla croce? No, si tratta di altro, semplicemente del fatto che egli ha prima riconosciuto dentro di sé e poi ha dichiarato pubblicamente che il calo progressivo delle forze fisiche e psichiche non gli permette più di “fare il papa” e quindi intende cessare di “essere papa”. La funzione ha avuto la meglio sull’essenza, il ruolo sull’identità. Io aggiungo che la laicità ha avuto la meglio sulla sacralità».  

• Sulla Stampa Marcello Sorgi si concentra sulla reazione dei politici italiani alla notizia: «Ci sono alcuni chiari effetti che, già nella giornata di ieri, le dimissioni del Papa hanno provocato sulla tormentata campagna elettorale italiana, giunta alla corsa finale. Il primo è la sostanziale indifferenza di più o meno tutti i leader alla notizia, unita all’incapacità di coglierne la portata epocale. Tolto il presidente Napolitano, gli altri candidati si sono limitati a qualche ricordo personale o a un rammarico formale, senza capire che l’uscita di scena di Benedetto XVI parla anche a loro, e non solo alla Chiesa e ai fedeli.   Il secondo effetto - checché ne dicano i sondaggisti, affrettatisi a rassicurare i politici sul fatto che la rinuncia del Pontefice non sposterà voti -, sarà che l’opinione pubblica reagirà molto probabilmente nel modo opposto. (…) Agli occhi degli elettori, dopo quel che è successo, il divario tra l’uomo, divenuto Papa, che di fronte alla propria incapacità di cambiare la Chiesa, dopo soli otto anni matura il “gran rifiuto”, e una classe dirigente che da vent’anni prospera sui propri fallimenti, non potrà apparire più stridente».