La Gazzetta dello Sport, 8 febbraio 2013
Appena s’è saputo che anche Paolo Scaroni, l’a.d. dell’Eni, era finito nel mirino della magistratura, sono stato assediato da parenti e amici, nessuno dei quali sa per chi votare, e tutti stremati, adesso, dalla seguente domanda: dopo Mps, dopo Finmeccanica, dopo Ligresti e dopo Fiorito, esiste ancora qualche azienda o qualche istituzione, in Italia, del tutto esente dalla possibilità di un avviso di garanzia, di un’inchiesta, di un titolo di giornale carico di sospetto?• Che è successo a Scaroni? Le riferisco quello che pensano i pm, le ricordo come al solito che la verità vera non potrà essere proclamata prima di un processo e che fino a quel momento sono tutti innocenti
Appena s’è saputo che anche Paolo Scaroni, l’a.d. dell’Eni, era finito nel mirino della magistratura, sono stato assediato da parenti e amici, nessuno dei quali sa per chi votare, e tutti stremati, adesso, dalla seguente domanda: dopo Mps, dopo Finmeccanica, dopo Ligresti e dopo Fiorito, esiste ancora qualche azienda o qualche istituzione, in Italia, del tutto esente dalla possibilità di un avviso di garanzia, di un’inchiesta, di un titolo di giornale carico di sospetto?
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Che è successo a Scaroni?
Le riferisco quello che pensano i pm, le ricordo come al solito che la verità vera non potrà essere proclamata prima di un processo e che fino a quel momento sono tutti innocenti. Quello che i magistrati suppongono è questo: poiché il governo algerino voleva aumentare la produttività del giacimento di Menzel Ledjement Est, l’Eni e la sua controllata Saipem si fecero avanti per ottenere la commessa. Si trattava di un business da 11 miliardi di dollari e, secondo i giudici, per persuadere gli algerini i nostri ricorsero alla mediazione di una società di Hong Kong – la Pearl Partners Limited – alla quale versarono 197 milioni di euro, lasciando poi che fosse la Pearl a ungere, con quei soldi, tutto ciò che c’era da ungere. Il titolare di questa Pearl eccetera è Farid Noureddine Bedjaoui, nipote di un ex ministro degli Esteri di quel paese, ed è noto a tutti che in Algeria, se non si passa per Bedjaoui, non si combina niente. Ci sono state perquisizioni negli uffici dell’Eni di Milano e di San Donato Milanese e altre perquisizioni in casa dell’amministratore dell’Eni in viale Majno, sempre a Milano. L’affare si sarebbe chiuso attraverso cinque incontri, a uno dei quali avrebbe preso parte anche Scaroni. Piero Franco Tali, vicepresidente e amministratore delegato di Saipem, e Alessandro Bernini, direttore finanziario, si sono già dimessi. Pietro Varone, direttore dell’area Engineering &Construction, è stato sospeso. L’ex moglie di Varone ha una tenuta agricola in società con Bedjaoui. Qui sarebbero arrivati versamenti sospetti. Saipem avrebbe operato a Menzel con l’azienda di stato algerina Sonatrach. Il caso avrà forse conseguenze anche laggiù ed è probabile che perderemo la commessa di 11 miliardi, il che spiega anche il crollo in Borsa di Saipem, pochi giorni fa. Tra gli operatori c’è sempre qualcuno che sa le cose prima degli altri. •
Si poteva ottenere una commessa simile senza ungere ruote?
Direi di no. Dal tempo della tangente Eni-Petromin, risalente alla fine degli anni Settanta, sappiamo che non si opera sui mercati orientali senza stringere in mano parecchi biglietti di banca. Trent’anni fa lo scandalo scoppiò perché la parte italiana della tangente era finita alla sinistra socialista, e ai craxiani – rimasti a bocca asciutta – la cosa non era andata giù. Stavolta chi ha dato fuoco alle polveri? I magistrati che indagano sono Fabio De Pasquale, Giordano Baggio e Sergio Spadaro. •
Come spiega questa esplosione a catena di scandali?
Sotto certi aspetti è un’esplosione persino tardiva. Sto parlando del Monte dei Paschi. Ieri Draghi è intervenuto duramente in difesa dell’operato della Banca d’Italia ed è comprensibile, dato che tutte le vicende tirate fuori dalla magistratura risalgono all’epoca in cui era governatore della Banca d’Italia. Le riferisco tra virgolette quello che ha detto: «C’è un rapporto dettagliato della Banca d’Italia, che ha fatto tutto quello che doveva e ha agito velocemente, nell’ambito delle sue competenze legali. L’operato fu corretto, lo ha riconosciuto anche il Fondo Monetario: c’è il rapporto del team di valutazione finanziaria del Fmi, secondo il quale l’azione di Bankitalia fu tempestiva e appropriata». Draghi aggiunge che i governatori delle banche centrali «dovrebbero avere il potere di rimuovere i manager». •
Difesa corretta?
Sì. Il rapporto della Banca d’Italia sui rischi a cui si stava esponendo Mps esiste ed è già chiaro. Ma è stato ignorato da chi avrebbe dovuto prenderlo in considerazione. Forse Bankitalia avrebbe potuto lanciare un allarme più forte in occasione dell’operazione Antonveneta... •
Sta accusando la magistratura?
Vittorio Feltri ha osservato che per molto meno, quando si tratta di Berlusconi, i telefoni dei sospettati vengono messi sotto controllo. Anche le denunce di Antonio Rizzo, il funzionario di Dresdner che ha rivelato l’esistenza della banda del 5%, risalgono al 2008. Nessuno le ha prese in considerazione. Oppure il bubbone era ancora più grosso e non si poteva farlo scoppiare? Con la Lutifin di Lugano, come abbiamo già scritto, hanno fatto affari un po’ tutti in Italia e in Europa, benché avesse un curriculum ridicolo per il livello dei suoi clienti. Ma sa qual è la cosa che ci deve far riflettere? Che anche Mps nel 2010 fu sottoposta a stress test da parte di quei cerberi della Committee of European Banking Supervisors. Lo stress test doveva verificare la solidità delle grandi banche europee e renderci certi che sarebbero stata capace di superare le crisi. Vuole saperlo? I senesi, benché già con l’acqua alla gola, superarono l’esame a pieni voti.